Responsabilità irresponsabile. Criticità e limiti nelle finalità etiche della Responsabilità Sociale d`Impresa.

 

 

 

Fabrizio Ceciliani

Roma, 12/04/2013

 

Sommario

 

Introduzione

Brevissimi cenni sulla Responsabilità Sociale d’Impresa

Novartis e le organizzazioni volte a promuovere la Responsabilità Sociale d’Impresa

Il lato oscuro

Il marketing di Novartis

L’ambiente di Novartis

Le donne di Novartis

Un competitore di Novartis: Bayer

L’ambiente secondo Bayer

L’etica secondo Bayer

Il marketing secondo Bayer

La concorrenza secondo Bayer

La “catena degli stakeholders” e la possibilità di discriminare i fornitori: McDonald's e i suoi subfornitori

Il Mc libel

Il Mc marketing

Il Mc Job

Il Mc food

I Mc fornitori: Cremonini-Inalca

Il re della bistecca

Le reazioni dell’opinione pubblica e dell’azienda

I fornitori dei Mc fornitori

La relatività del concetto di “responsabilità”. I settori esclusi dalla RSI

Un prodotto-spreco: l’inefficienza del prodotto “carne”

L’impatto delle pratiche zootecniche su ambiente e società

Gli animali: la responsabilità “vicariata” di determinare vita e morte di altri esseri senzienti

Un prodotto pericoloso: l’impatto della carne sull’organismo umano

Una questione di punti di vista: Richard Berman e il Center for Consumer Freedom

Conclusioni


Introduzione

 

Assumendo come punto d’osservazione l’impatto sull’ambiente, questo lavoro vorrebbe sostanzialmente dimostrare quanto sia parziale e abusato il concetto di responsabilità, sia nella "responsabilità sociale" che si danno le imprese nelle loro comunicazioni e nelle loro pratiche, che nelle scelte dei singoli individui come consumatori.

Si tenterà di raggiungere decorosamente l’obiettivo per gradi, attraverso l’analisi di alcuni casi di aziende (pochi, in verità, ma assai esplicativi e altrettanto impattanti) la cui responsabilità sociale è pubblicamente dichiarata e riconosciuta, per passare all’analisi di un settore chiave, quello zootecnico, e di una scelta di consumo dominante, quella alimentare, analizzando il grado di responsabilità reale assunto da ciascun attore nei confronti dell’ambiente in cui vive.

La prospettiva d'indagine vorrebbe essere non quella particolare dell'investitore, o dell'accademico, che potrebbero avere a disposizione fonti specialistiche di accesso non immediato a chiunque, ma quella del comune consumatore che voglia informarsi attraverso i suoi mezzi "quotidiani", consistenti in una connessione internet e nella conoscenza della sola lingua inglese (solo una fonte è in lingua francese ma in questo caso è stato consultato l'abstract in lingua anglosassone). E' proprio quello che arriva (o può arrivare) al consumatore ad interessare la trattazione, volendosi stabilire se sia possibile o meno, per l'individuo, giudicare l'effettiva corrispondenza tra quanto dichiarato dalle imprese circa il loro agire etico e il loro operato effettivo nella realtà dei fatti.

Intorno alla reperibilità delle fonti, è doveroso premettere che, senza l'utilizzo di un mezzo tecnico moderno (rappresentato da un computer connesso al web), al consumatore medio arriverebbe ben poco, almeno attraverso i soli media tradizionali: una rassegna stampa sulle maggiori testate giornalistiche cartacee italiane, per reperire fonti e per confermare le notizie negative sulle aziende, che invece circolano copiose sulla rete, è stata tentata ma con un misero risultato, evidenziando come la diffusione di scandali riguardanti i loro inserzionisti, o comunque entità dotate di un forte potere di influenza, non rientri propriamente nell'agenda setting dei quotidiani italiani.

Uno spunto di riflessione, fuori degli scopi di questo lavoro, emerge dall'analisi del settore zootecnico; i molti dati negativi ad esso correlati lascerebbero intravedere un possibile e non troppo fantasioso cambiamento di scenario nell'industria della carne: un mutamento radicale, forse peggiore di quello subito dall'industria del tabacco nel momento in cui si cominciavano ad accertare e comunicare i suoi danni ai polmoni dei fumatori.

Le crescenti pressioni ambientali, le sempre più numerose evidenze scientifiche sui danni alla salute, l'evoluzione stessa dei concetti di etica e di responsabilità, sempre più allargati all'ambiente e alle altre specie che lo popolano, unitamente al forte trend di crescita degli individui che hanno scelto di eliminare la carne dai loro acquisti (una proiezione Eurispes del 2006[1] vedrebbe mezza Italia vegetariana entro il 2050), sono fattori, a parere di chi scrive, in grado di compromettere definitivamente la percezione del prodotto carne, e di avvicinarne la fase di senescenza.

Se prevalesse l'informazione, la carne potrebbe diventare un prodotto il cui utilizzo verrebbe associato ad ignoranza, o a debolezza di carattere, o comunque a un comportamento irrazionale. Esattamente come le sigarette.

Nel primo capitolo, dopo una brevissima introduzione al concetto e alle pratiche di Responsabilità Sociale d'Impresa, uno sguardo a tre grandi aziende, negli impegni dichiarati ma anche dietro le quinte della comunicazione che mettono in atto.


Brevissimi cenni sulla Responsabilità Sociale d’Impresa

 

Nelle moderne declinazioni del libero mercato, una crescente centralità è riservata dagli attori economici al termine “responsabilità”. Un termine che viene dal latino e che significa rispondere. Essere responsabili significa sostanzialmente rispondere delle proprie azioni davanti alle generazioni presenti e future, e all’ambiente che le ospita.

Molto brevemente, tentando una definizione personale,[2] la Responsabilità Sociale d’Impresa (RSI) rappresenta quell’insieme di pratiche gestionali, strategiche e comunicative, sposate discrezionalmente dalle imprese, volte a garantire una maggiore sostenibilità sociale e ambientale del proprio business da un lato, ed una sua maggiore profittabilità sul lungo termine dall’altro.

Dietro l’idea di Responsabilità Sociale d’Impresa c’è una potente visione olistica che studia l’impresa come il centro di una relazione tra molti attori, i cosiddetti “stakeholders”, rappresentati da clienti, dipendenti, fornitori, azionisti, istituzioni, media e opinione pubblica.  L’impresa è vista come parte integrante dell’ambiente che condivide con gli altri attori, cui riconosce il merito del proprio successo impegnandosi in un agire etico nei confronti di tutti gli stakeholders e di quell’ambiente condiviso, il pianeta terra.  L’impresa che riesce a conquistare la fiducia dei suoi stakeholders può far leva sulle buone relazioni instaurate con essi per creare ricchezza, per se stessa e per l’ambiente (per una trattazione dell’argomento RSI, si veda per esempio L. Mariano, Responsabilità etica ed impegno sociale nei valori d’impresa, Liguori Editore, Napoli 2005).

Numerose ricerche evidenziano una consistente attenzione dei consumatori nei confronti dell’agire aziendale, con una netta propensione a premiare le imprese socialmente responsabili (a patto che ne vengano percepite come reali le buone intenzioni), finanche con la loro scelta d’acquisto.

Una per tutte, la ricerca ISPO (Istituto per gli Studi sulla Pubblica Opinione) del 2003, [3] dopo aver evidenziato l’importanza delle politiche sociali nella decisione d’acquisto dei consumatori (risultata incidere “abbastanza” o “molto” sul  50,9% del campione),  ha registrato la “Frequenza di mancato acquisto di beni e/o servizi di aziende socialmente criticabili” con un risultato del 43,3% degli intervistati che dichiarano di aver punito le imprese criticabili qualche volta (il 34,1%) o spesso (il 9,2%).

L’aumento del volume di vendite, la fidelizzazione dei clienti, l’apprezzamento di azionisti e investitori, il plauso dell’opinione pubblica e il nulla osta delle istituzioni sono i vantaggi principali che derivano da un comportamento etico proattivo da parte dell’impresa.

L’impegno nella RSI consiste innanzitutto nell’adesione a standard di buone pratiche, ispirate ai diritti e ai valori umani, che guidano l’azienda nel suo governo, nella sua organizzazione e nelle sue strategie.  L’impresa che si dichiara socialmente responsabile si impegna altresì formalmente al rispetto delle norme locali e dell’ambiente, ad una trasparenza finanziaria e a rapporti corretti con clienti, fornitori e dipendenti.

Oltre a procedure gestionali adeguate, l’adesione alla RSI richiede l’adozione di sistemi di misurazione ad hoc, un’intensa attività di relazioni e monitoraggio, la redazione di documenti di rendicontazione (un bilancio sociale e un bilancio ambientale) e l’adozione di un proprio codice etico che espliciti i principi che guidano l’impresa nel suo operato. Sono queste le armi “di ritorno” (degli investimenti) della RSI: i documenti che pubblicamente dichiarano e attestano il proprio impegno sociale. Il processo di comunicazione riveste un ruolo essenziale nelle pratiche di RSI, consentendo di formalizzare e trasmettere gli impegni presi in tale direzione, ma soprattutto di lavorare sull’immagine dell’impresa in modo non commerciale, come invece avviene con uno spot pubblicitario, migliorando i cosiddetti “intangibles” (vantaggi competitivi non direttamente quantificabili in denaro, come la reputazione presso l’opinione pubblica).

Al di là della specificità dei casi che seguono e del fine ultimo di questo lavoro, quello di far riflettere sulla relatività dell’accezione del termine “responsabilità” , ciò che è innegabile è che grazie alla condivisione delle pratiche di responsabilità sociale si è gradualmente pervenuti ad un livellamento verso l’alto degli standard adottati dalle imprese, risultato che rappresenta un universale progresso culturale ed umano.


 Novartis e le organizzazioni volte a promuovere la Responsabilità Sociale d’Impresa

 

Oltre al flusso comunicativo messo in atto dalle aziende, a disposizione del pubblico vi sono diversi strumenti atti a valutare le imprese da un punto di vista etico, come le certificazioni, gli indici di performance e i vari riconoscimenti assegnati da enti che hanno come missione quella di organizzare e diffondere la cultura della Responsabilità Sociale d’Impresa.

Alle imprese virtuose che spontaneamente aderiscono alla RSI viene riservato un posto d’onore in pubbliche classifiche; vengono valutate da index internazionali e godono di recensioni positive, su canali consultati da investitori, fornitori e clienti, acquisiti e potenziali. Canali la cui autorevolezza già contribuisce a garantire e confermare gli intenti etici di chi vi afferisce.

All'interno dell'universo di riferimento del settore farmaceutico, Novartis e Bayer rappresentano due casi di eccellenza nelle pratiche di RSI, pubblicamente riconosciute e valutate.

Novartis "è un’azienda che agisce in modo responsabile e con pieno senso civico, e come tale vuole essere riconosciuta", questo è quanto si può leggere nella frase di apertura della policy di Corporate Citizenship che l'azienda ha esposto sul suo sito istituzionale. Assieme al resto degli impegni etici assunti nei confronti di dipendenti, consumatori e ambiente.

Le iniziative a sfondo etico di Novartis sono molte e ben visibili. Fra le più importanti vi è l'impegno a lungo termine recentemente assunto per la sconfitta definitiva della lebbra: nel gennaio del 2012 l'azienda ha rinnovato la sua collaborazione con l’Organizzazione Mondiale della Sanità per un mondo libero dalla lebbra, prolungando fino al 2020 la donazione delle terapie multifarmaco per il trattamento della malattia, operazione che conta di beneficiare circa 850.000 pazienti.

L’impegno di Novartis contro la lebbra è parte di una campagna coordinata da diversi soggetti pubblici e privati (fra i quali i governi statunitense e britannico e ben tredici case farmaceutiche) per combattere dieci malattie tropicali dimenticate entro il 2020, migliorando la vita di circa un miliardo di persone in tutto il mondo. Solo nel 2010, Novartis ha fornito oltre 82 milioni di trattamenti antimalaria. Il Novartis Institute for Tropical Diseases di Singapore è un centro di ricerca privato dedicato esclusivamente alle grandi "malattie trascurate" del Sud del mondo, come la malaria e la tubercolosi farmaco-resistente. Mentre proprio in Italia, a Siena, è operativo il Novartis Vaccines Institute for Global Health, il primo centro al mondo di ricerca non profit per lo sviluppo di vaccini innovativi.

Il volontariato è ovviamente un valore importante per un'azienda importante che ha abbracciato la filosofia della responsabilità sociale d'impresa. E infatti ogni anno da sedici anni, in occasione del Community Partnership Day, i dipendenti di tutto il Gruppo Novartis, a livello internazionale, dedicano una giornata intera al volontariato, a favore di importanti associazioni impegnate nel sociale quali l'Associazione Italiana Sclerosi Multipla e la Lega del Filo d’Oro.

Perché tutto avvenga in una cornice di eticità, in Italia l'organizzazione del Community Partnership Day è a cura dell'agenzia di comunicazione e marketing sociale VITA Consulting, "professionisti che si sono uniti per uno scopo comune: spingere il mondo avanti".[4]  Grazie a questa iniziativa, Novartis ha vinto nel 2010 il Premio Sodalitas Social Award, che ogni anno viene assegnato ad imprese, associazioni ed organizzazioni che si siano concretamente impegnate in progetti di Sostenibilità d'Impresa. E' dal 2007, anno in cui l'azienda viene premiata grazie al progetto Tigrai, un programma di prevenzione e cura della malaria in Etiopia, che Novartis appare nel libro d’oro della responsabilità sociale, “ormai divenuto il punto di riferimento per tutti coloro che ricercano informazioni sulle 'best practices' di Sostenibilità in Italia". (www.sodalitas.it)

Nata da Assolombarda nel 1995 e trasformatasi in fondazione nel 2007, Sodalitas può vantare di essere la prima organizzazione ad aver introdotto in Italia la cultura della Sostenibilità d’Impresa.

Assieme alle 91 imprese aderenti, attraverso ricerche, progetti, consulenze, recensioni e premi, come il Sodalitas Social Award vinto da Novartis, Sodalitas lavora per "far crescere la coesione sociale nel nostro Paese", muovendosi sempre nelle "4 dimensioni della sostenibilità: ambiente, comunità, lavoro e Mercato".

Essere recensiti e premiati dalla fondazione Sodalitas significa aver dimostrato un impegno di responsabilità sociale che va oltre la pura dichiarazione di intenti, e rappresenta un indubbio vantaggio competitivo sul mercato italiano.

A livello europeo, Novartis è membro di CSR Europe, forse il più importante network di condivisione di pratiche di RSI, nato a Bruxelles nel 1995 in risposta a un appello della Commissione Europea.

Appare fra le case farmaceutiche più trasparenti nel "Trendence Graduate Barometer 2012", un report annuale basato su interviste online circa la soddisfazione delle aspettative di studenti alla loro prima occupazione dopo l'ottenimento del titolo di studio ; è tra le prime 100 nello Swiss Graduate Barometer e tra le prime 500 nel barometro europeo. [5]

Ma è a livello globale che Novartis raccoglie i riconoscimenti e le attestazioni più importanti del suo operato responsabile.

Il suo titolo è quotato al Dow Jones Sustainability World Index dal 2011, anno in cui Dow Jones Indexes e SAM (compagnia di investimento globale votata unicamente agli investimenti sostenibili) hanno creato un nuovo indice di sostenibilità, il World Enlarged Index, allargando il suo ingresso dal 10% al 20% delle 2.500 società che fanno parte degli indici globali Dow Jones, permettendo così l'inclusione di Novartis.

Novartis è stata nominata "la casa farmaceutica più ammirata del 2012" dalla rivista medica specializzata Med Ad News, "The Pulse of the Pharmaceutical Industry", per il quarto anno consecutivo.[6]

In questo stesso anno si è piazzata all'undicesimo posto nella Top 20 Employers list, nella Science Careers Top Employers Survey, un osservatorio che individua i venti migliori datori di lavoro. Novartis si è distinta per l'offerta ai dipendenti di un servizio di consegne di vegetali freschi "dal produttore all'ufficio”.[7]

Sempre a testimoniare una attenzione verso i propri dipendenti, sempre nel 2012, Novartis Pharma US è stata menzionata fra le Working Mother 100 Best Companies, con una percentuale di impiegati di sesso femminile pari al 52 % del totale. [8]

E' quarantottesima nel World's Most Attractive Employers index 2012, un indice globale di attrattività delle imprese come datrici di lavoro, basata sulle preferenze di studenti del Brasile, Canada, Cina, Francia, Germania, Giappone, India, Inghilterra, Italia, Russia, Spagna e Stati Uniti.[9] Grazie al progetto Roll Back Malaria, vince l'Ethical Corporation Award for Best Corporate/NGO Partnership for SMS for Life, edizione 2012, dove viene lodata per l'efficacia nel garantire l'accesso ai farmaci. [10]

Il giornale d'affari americano Barron’s cita Novartis fra le compagnie più rispettate nella classifica "the World’s Most Respected Companies 2012".[11]  La rivista di divulgazione e informazione scientifica The Scientist piazza Novartis al diciassettesimo posto nella classifica "The Best Places to Work Industry, 2012", basata su di una indagine condotta tra i suoi lettori. [12]

E' anche grazie alle azioni socialmente responsabili e agli effetti benefici sugli intangible assets se il brand di Novartis è stato valutato da Interbrand/Bilanz intorno ai 6,8 miliardi di franchi svizzeri, balzando al terzo posto fra i “Most Valuable Swiss Brands" del 2012, e se la rivista di business globale Fortune ha piazzato Novartis al primo posto fra le Società più Ammirate del mondo. [13]

Questi sono solo alcuni fra i riconoscimenti e le recensioni incassati da Novartis, e relativi al solo anno 2012 ma sono sufficienti a testimoniare pubblicamente l'impegno assunto dall'impresa nella direzione di una guida responsabile. Questo è ciò di cui consiste la comunicazione intorno all'impresa gestita dall'impresa, e questo è ciò che percepisce gran parte del pubblico che ne fruisce, lungo tutta la catena degli stakeholders, dall'investitore al potenziale cliente.

Esiste però un altro lato delle interazioni della Novartis con l'ambiente, in contrasto con quello del comportamento responsabile sin qui esplorato, e non altrettanto visibile al pubblico, che vede l'azienda coinvolta in prese di posizione invise a molte associazioni umanitarie e sanzioni internazionali subite per diverse accuse, anche molto gravi.


 Il lato oscuro

 

Da sei anni Novartis è impegnata in una battaglia legale contro il governo indiano, nata per far valere il diritto di brevettare nel Subcontinente il Glivec, un medicinale il cui principio attivo si è rivelato cruciale per prolungare la vita di pazienti malati di leucemia mielocitica cronica (CML, Chronic Myelogenous Leukemia). Il CML è un cancro dei globuli bianchi "che è diagnosticato ogni anno in circa 7.000 pazienti soltanto in Europa".[14]

All'origine della controversia c'è la bocciatura, nel gennaio 2006, della richiesta di brevetto del Glivec da parte di Novartis. L'ufficio brevetti indiano aveva motivato la sua decisione dichiarando che la formulazione del medicinale non era realmente nuova ma si trattava soltanto di una leggera variazione di quello col brevetto in scadenza ("only a new form of an old drug")[15].

Sino al 2005 l'India non concedeva brevetti sui farmaci e poteva produrre liberamente versioni più economiche di farmaci brevettati altrove (da cui l'appellativo di farmacia del terzo mondo); il rilascio di brevetti è cominciato ad avvenire soltanto dopo questa data, per ottemperare agli obblighi dello stato in qualità di membro dell'Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO). Tuttavia, all'interno del "the Indian Patents Act", la nuova legge sui brevetti che l'India si è data, è presente una parte, la Sezione 3, che specifica la nozione di invenzione, specificamente per le sostanze. La nozione di invenzione determina se un prodotto è brevettabile o no, e se al possessore del brevetto può essere accordato un monopolio sulla produzione e la commercializzazione di un prodotto per la durata di 20 anni. 

Quanto riportato nella sezione 3 ha due conseguenze per i prodotti farmaceutici. Da un lato previene la possibilità di brevettare per usi nuovi una sostanza nota (per esempio una sostanza brevettata per la sua azione contro un certo tipo di cancro non può essere brevettata in seguito per la sua azione contro un'altra malattia). Dall'altro lato, previene la possibilità di brevettare forme nuove di una sostanza nota che non migliora la sua efficacia. Ed è questo il caso che l'ufficio brevetti indiano ha ritenuto afferisse al Glivec, non concedendo il brevetto a Novartis.

In risposta al diniego del brevetto per il suo farmaco, nel 2006 la Novartis ha portato il Governo indiano in tribunale, contestando non solo la negazione del brevetto, ma anche la parte della legge indiana, la Sezione 3, che ha costituito la base della decisione. Un’eventuale revoca della Sezione 3 porterebbe di fatto a una maggiore diffusione del sistema dei brevetti in India, limitando fortemente la produzione di farmaci generici a prezzi più accessibili, possibilità che ha immediatamente allarmato molte associazioni umanitarie tra le quali Medici Senza Frontiere.

Medici Senza Frontiere (MSF) è la più grande organizzazione medico-umanitaria indipendente al mondo, creata da medici e giornalisti in Francia nel 1971. "Più dell’80% dei farmaci antiretrovirali usati da MSF nei suoi programmi per l’HIV/AIDS provengono da produttori di generici con sede in India, così come l’80% dei farmaci antiretrovirali acquistati con i fondi dei donatori a livello mondiale hanno origine in India. MSF fa affidamento sui farmaci indiani generici anche per i trattamenti per la malaria e la tubercolosi".[16]  

La campagna "Stop Novartis", messa in atto da Medici Senza Frontiere nel 2006 e promossa con una petizione firmata da quasi mezzo milione di persone, aveva come scopo quello di convincere la casa farmaceutica ad abbandonare la causa, in nome del libero accesso ai farmaci.

Nell'agosto del 2007 la Corte Suprema di Madras si è pronunciata contro la Novartis, la quale però non ha abbandonato l’azione legale, ricorrendo in appello presso il neo-costituito Intellectual Property Appellate Board, che nel 2009 confermerà il giudizio secondo cui il Glivec non è sufficientemente innovativo, rispetto alla precedente versione, per ottenere il brevetto.[17]  

La decisione di contestare le scelte del governo indiano è costata alla casa farmaceutica la vittoria del “Public Eye Swiss Awards 2007”, premio riservato alle imprese irresponsabili assegnatole a Davos, in Svizzera, dalle associazioni Berne Declaration e Pro Natura proprio per il ricorso presentato per i brevetti, il quale, se venisse accolto, “limiterebbe l’accesso a farmaci generici economici in India e nei paesi in via di sviluppo” .[18]

Le altre due imprese svizzere che hanno accompagnato Novartis alle nomination finali sono Ruag Holding, fabbricante d’armi, tra cui le bombe a grappolo, e il gruppo minerario Xstrata, accusato di aver deviato il corso di un fiume australiano per aprire una miniera a cielo aperto, incurante degli impatti ambientali e sociali sulla popolazione aborigena. Le imprese selezionate per le nomination sono state scelte tra 40 compagnie segnalate da organizzazioni di tutto il mondo.

La promotrice dei Public Eye Awards, The Berne declaration, è un'organizzazione non governativa svizzera che conta 20.000 membri e monitora le attività di corporations, banche e agenzie governative svizzere. Dichiarazione di Berna è scesa in campo accanto ai malati di cancro e alle associazioni umanitarie diffondendo una lettera aperta, sottoscritta da numerose associazioni internazionali per la lotta contro il cancro e l'AIDS e altrettanto numerose associazioni umanitarie internazionali, in cui si chiede a Novartis di abbandonare la causa, argomentando su come la sezione 3 della legge indiana sui brevetti non possa essere in contrasto con l'Accordo sugli aspetti commerciali dei diritti di proprietà intellettuale (il cosiddetto accordo TRIPs voluto dall'Organizzazione Mondiale del Commercio). Nella lettera viene ricordato a Novartis che con questa sfida si rischia di limitare l'abilità del Governo indiano nel prendere misure per proteggere la salute pubblica della sua popolazione, dandosi un sistema di brevetti adatto al contesto socio-economico della nazione. I firmatari si dichiarano preoccupati circa i cambiamenti che si avrebbero nella possibilità di accesso ai farmaci generici (particolarmente i medicinali per curare l'AIDS) in caso di vittoria della casa farmaceutica, non solo in India ma anche in tutti i paesi in via di sviluppo che importano farmaci dall'India.[19]

Novartis risponde a questa lettera aperta con un documento formale in cui si può leggere che l'azienda "sente che il caso porterà chiarezza al problema di protezione della proprietà intellettuale in India, e non colpirà negativamente l'accesso ai farmaci come qualcuno sta dicendo". Novartis dichiara altresì un'apertura al dialogo con tutti gli stakeholders, governi e organizzazioni non governative.[20]

Intanto l'11 settembre 2012 è iniziato a New Delhi il processo, giunto all'ultimo grado di giudizio, che vede Novartis davanti alla Corte Suprema di Nuova Delhi sostenere di aver dimostrato una migliorata efficacia della sua medicina anti-cancro Glivec.

Ai reporter della Reuters Novartis dichiara di aver bisogno di certezza nelle leggi, per poter pensare di fare investimenti a lungo termine in India. Secondo Paul Herrling, direttore del Novartis Institute for Tropical Diseases, "il problema non è il Glivec; questo è solo un esempio di quanto noi vogliamo sapere quale tipo di innovazione sia brevettabile in India".[21]

Sul suo sito istituzionale, Novartis ha dedicato una pagina a una breve spiegazione dei motivi della battaglia legale per il brevetto del Glivec. Dopo aver ribadito la necessità di fare chiarezza sulla legge che regola la concessione dei brevetti, si dichiara fermamente convinta che "salvaguardare gli incentivi all’innovazione attraverso i brevetti sia una garanzia per assicurare i farmaci migliori ai pazienti".[22]

Al contrario di quanto afferma Novartis, secondo le associazioni che difendono il governo indiano una eventuale vittoria dei brevetti potrebbe  invece peggiorare anche l'accesso ai farmaci salva-vita. I farmaci contro l'AIDS lo dimostrerebbero: tra il 2000 e il 2002 la competizione tra farmaci generici ha abbassato il prezzo delle cure da più di 10.000 a meno di 150 dollari americani l'anno per paziente.[23] In altre parole: più case producono un farmaco e più quel farmaco avrà il prezzo basso. In quest'ottica, qualsiasi restrizione basata sui brevetti non può che nuocere all'accessibilità economica dei farmaci.

In India, Novartis vende il Glivec al prezzo di 26.000 dollari americani per paziente, per anno; la versione generica del farmaco costa in India circa 2100 dollari per paziente, per anno.[24]

Medici Senza Frontiere fa notare, su un botta e risposta tra la casa farmaceutica e l'associazione umanitaria pubblicato sul suo sito, che "migliorare l’accesso ai farmaci non significa solamente rendere disponibile il farmaco, ma anche far sì che sia i pazienti che i governi siano in grado di acquistarlo. Milioni di persone sono morte nei paesi in via di sviluppo, soprattutto in Africa, perché i prezzi erano troppo alti. I brevetti sui farmaci sono un ostacolo fondamentale per rendere i farmaci accessibili, in quanto impediscono l'accesso a chi non può permetterselo".[25]

Sul sito di Novartis si può leggere che l'azienda "sostiene attivamente le modalità più innovative per incrementare nel mondo l’accesso ai farmaci" anche attraverso il trattamento gratuito del “Glivec International Patient Assistance Program”, che può vantare una percentuale del 95% degli utilizzatori indiani di Glivec a cui il farmaco viene distribuito gratuitamente.[26]

Nei fatti, il programma donazione Glivec di Novartis non può rappresentare una soluzione perché innanzitutto non risolve il problema dei prezzi proibitivi nel resto dei paesi in via di sviluppo che acquistano farmaci dall'india. Ma, per restare in India, è stimato che nel paese ci siano tra i 20.000 e i 30.000 nuovi casi all'anno; questo numero eccede di molto quello dei 7000 pazienti che fruiscono del programma di donazioni.[27]

Inoltre questi programmi non rappresentano soluzioni sicure per i malati cronici, che si gioverebbero maggiormente di una struttura locale capace di assicurare loro assistenza sul lungo periodo.

Indubbiamente il ricorso della Novartis tocca un punto cardine della nuova legge indiana sulla protezione della proprietà intellettuale, che allo stato attuale impedisce di brevettare come nuovi farmaci i banali miglioramenti apportati su principi attivi già noti, evitando il fenomeno del così detto evergreening; "In molti Paesi basta cambiare il sapore del medicinale per ottenere un nuovo brevetto e prolungare il monopolio".[28]

Il problema dei brevetti in India è molto evidente e non si esaurisce con il caso Glivec e con i principi farmacologici.

Per Vandana Shiva, attivista e vicepresidente di Slow Food International, il problema dei brevetti è innanzitutto un problema etico: soltanto considerando questa dimensione si può costruire un sistema legale che li regoli; altrimenti si producono solo squilibri e sofferenza.[29] "Il sapere indigeno relativo a varietà vegetali e a centinaia di altre piante impiegate a scopi alimentari e medicinali, utilizzato in India per secoli al fine di soddisfare bisogni quotidiani, rischia concretamente di essere brevettato dal mondo occidentale ai soli fini di profitto commerciale... Le proprietà che rendono il neem prezioso come biopesticida sono note e sfruttate in India da secoli: non sono state certo inventate dagli scienziati che hanno ottenuto i brevetti per il biopesticida al neem. Questo diritto di proprietà intellettuale è, in realtà, un diritto di pirateria intellettuale".[30] In ogni pubblica occasione, Vandana Shiva non si stanca di ripetere che “solo sette grandi aziende controllano il 75% delle sementi commercializzate nel mondo”.[31]

Anche nel caso specifico del Glivec, che pure è frutto di ricerca e che rappresenta un progresso in campo medico, bisogna considerare che una eventuale vittoria della Novartis creerebbe un precedente, e aprirebbe una falla nell'applicazione pratica della legislazione indiana sui brevetti, in particolare della sezione 3 (la parte "etica" della legge).

E mentre Novartis continua ad assicurare che "l'azione legale intrapresa in India... Non riguarda in alcun modo l'accesso ai farmaci nei Paesi più poveri",[32]  associazioni umanitarie come Medici Senza Frontiere ci avvertono, attraverso una petizione internazionale, che "In tutto il mondo moltissime persone sono curate con farmaci made in India: se la Novartis vincerà la causa, la loro vita sarà in pericolo".[33]

Da un lato gli argomenti della Novartis, che puntano sulla giustizia delle norme, sulla profittabilità della proprietà intellettuale e sulla ricerca resa possibile da questa profittabilità; dall'altro lato gli argomenti del governo indiano, che propugna il libero accesso ai farmaci. In mezzo, milioni di malati poveri in balia di decisioni che non spetta a loro prendere.

Un osservatore neutro dovrebbe concludere che quella di Novartis è sicuramente una posizione legittima ma il comportamento dell'azienda non è responsabile di quelle molte migliaia di malati che potrebbero non più avere accesso domani ai farmaci che gli prolungano la vita oggi.

Il caso Glivec però si presta ancora ad una certa possibilità interpretativa, poiché uno dei parametri necessari a formulare un giudizio di valore, lo scenario post-sentenza, riguarda circostanze che devono ancora avvenire. Variando gli scenari post-sentenza che si ritengono possibili, può variare anche il giudizio circa l'eticità delle scelte di Novartis: per giustificarle è sufficiente non ammettere come possibile lo scenario pessimistico disegnato dal governo indiano, dalle associazioni umanitarie e dalle organizzazioni non governative schieratesi contro la concessione del brevetto.

Come dire “è difficile crederlo ma egli lo crede, e dunque agisce in buona fede”.

Ci sono però altri fatti, meno controversi di quello appena esaminato e svoltisi più recentemente, quando Novartis aveva già sposato la filosofia della Responsabilità Sociale d'Impresa, che mostrano un comportamento incontrovertibilmente discorde da quello etico proclamato nelle comunicazioni dell'azienda.


Il marketing di Novartis

 

Il 30 settembre 2010 a Washington, Novartis Pharmaceuticals Corporation patteggia con il dipartimento della Giustizia statunitense il pagamento di 422,5 milioni di dollari, per chiudere le cause civili e penali, in cui è accusata di “marketing illegale” di alcuni medicinali.

Come già annunciato dalla stessa Novartis, nel proprio rapporto sui risultati del 2009, l’accordo chiude i procedimenti che la vedono accusata di aver promosso illegalmente sei farmaci, per indicazioni terapeutiche non autorizzate dalla Food and Drug Administration (FDA), e di aver effettuato pagamenti a medici e fornitori di servizi sanitari, affinché incrementassero il numero di prescrizioni.

I farmaci oggetto di marketing illegale sono: l’antiepilettico Trileptal (Tolep in Italia), il Diovan, l’Exerforge, il Sandostatin, il Tekturna e lo Zelnorm, per il trattamento del colon irritabile.[34]

Nel maggio del 2010 la Food and Drug Administration (FDA) lancia il “Bad Ad Program”, allo scopo di aiutare gli operatori sanitari a riconoscere le promozioni scorrette dei farmaci soggetti a prescrizione, e a facilitarne la segnalazione all’Agenzia di controllo sui farmaci.

Tra gli obiettivi del programma “Bad Ad” c'è anche quello di limitare il potere di influenza dei rappresentanti delle case farmaceutiche che visitano gli studi medici, oltre che le attività promozionali illecite in occasioni di eventi e pranzi aziendali.

I richiami alle case farmaceutiche per pubblicità ingannevole sono in crescita; tra gli ultimi interventi dell’FDA, ci sono quelli nei confronti di GlaxoSmithKline, Sanofi-Aventis, Shire, Roche e Novartis. A Novartis l’FDA ha contestato i contenuti di due siti web sponsorizzati dalla casa farmaceutica, giudicati falsi e fuorvianti. I siti promuovevano il farmaco per un uso non autorizzato e omettevano importanti indicazioni sui rischi e sui dosaggi.[35]

Il 4 maggio 2010 Novartis Vaccines & Diagnostics Inc. e Novartis Pharmaceuticals Corporation patteggiano con il dipartimento della Giustizia statunitense il pagamento di 72,5 milioni di dollari, per chiudere la causa in cui sono accusate di aver promosso l’antibiotico per via inalatoria TOBI, indicato per le infezioni associate a fibrosi cistica, anche per indicazioni terapeutiche non autorizzate dalla Food and Drug Administration (FDA) e per pazienti che non soddisfacevano i parametri compresi nell’autorizzazione.[36]


L’ambiente di Novartis

 

Il 22 settembre del 2008 il Financial Times pubblica un articolo in cui annuncia che l' Organizzazione mondiale della sanità (Oms) potrebbe revocare a Sandoz, la divisione dei farmaci generici di Novartis, l’autorizzazione alla vendita di alcuni antibiotici a causa del fatto che nel maggio dello stesso anno, nello stabilimento Sandoz di Kempton Park, in Sud Africa, sono stati rinvenuti quarantuno diversi problemi nella qualità della produzione, tra cui pericoli di contaminazione, a cui la casa farmaceutica non ha posto rimedio.[37]

Nello stesso anno, Il Political Economy Research Institute, dell’Università del Massachusetts, aggiorna il “Toxic 100”, la classifica delle cento industrie più inquinanti.[38]

La classifica considera l’inquinamento atmosferico valutando le quantità di emissioni rilasciate negli Stati Uniti, il loro livello di tossicità e il numero di persone esposte agli inquinanti.

Bayer Group viene piazzato al quarto posto. Da allora, la multinazionale non ha mai mancato un appuntamento in classifica, guadagnando il primo posto della “casa della vergogna” nella recente edizione del 2012.[39]

Le compagnie oggetto di analisi sono quelle comprese nelle classifiche Fortune 500, Fortune Global 500, Forbes Global 2000 e Standard & Poor's 500, e comprende anche compagnie non statunitensi con impianti produttivi negli Usa.  La classifica Fortune Global 500 è una lista basata sul fatturato, compilata e pubblicata ogni anno dalla rivista Fortune; l'indice S&P 500 è realizzato da Standard & Poor's e segue l’andamento di un paniere azionario formato dalle 500 aziende statunitensi a maggiore capitalizzazione; mentre la classifica di Forbes sulle 2000 aziende più grandi del mondo si basa su vendite, profitti, assets e valore di mercato delle imprese.

L'11 luglio 2007 il Tribunale di primo grado dell’Unione Europea accoglie il ricorso presentato dalla Svezia contro la Commissione europea, annullando la direttiva che autorizza l’utilizzo dell’erbicida paraquat. Il paraquat è un erbicida chimico capace di controllare una gamma estesa di erbe infestanti ed è utilizzato per produrre il Gramoxone, uno dei tre diserbanti maggiormente diffusi al mondo, prodotto da Syngenta.

Novartis era sino a poco tempo fa un colosso del transgenico ma dal 2000 fa produrre pesticidi e sementi OGM da Syngenta, frutto di una fusione tra la Novartis Agribusiness e la Zeneca Agrochemicals, lasciando a questa l'onere dell'immagine negativa dovuta alla fabbricazione di prodotti universalmente considerati nocivi.[40]

Sulla Sentenza del Tribunale di primo grado si può leggere che "il Regno di Svezia afferma che il paraquat è la sostanza maggiormente pericolosa per la salute – in termini di tossicità acuta – che sia mai stata inserita nell’allegato I della direttiva 91/414, poiché le lesioni provocate da tale sostanza hanno carattere irreversibile. A tal proposito, l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) afferma che in caso di introduzione del paraquat nel corpo, ovvero in caso di versamento dello stesso in forma concentrata sulla pelle, si producono, dopo un determinato lasso di tempo, effetti gravi se non addirittura mortali". [41]

Il Tribunale rileva notevoli irregolarità e omissioni sulla gestione della pratica di autorizzazione all'uso dell'erbicida. Nonostante alcuni studi abbiano evidenziato una correlazione tra il paraquat e il morbo di Parkinson, "tale questione non è mai stata sollevata dal notificante. Inoltre i rapporti della Commissione non contenevano alcuna valutazione della letteratura medica relativa".[42]

Il testo della sentenza motiva la revoca dell'autorizzazione concludendo che "Quanto affermato nel rapporto d’esame della Commissione, e cioè che non vi sono indicazioni di neurotossicità del paraquat, è dunque frutto di una gestione della pratica non conforme ai requisiti procedurali imposti dalle norme comunitarie".

In seguito alla decisione del Tribunale europeo, l'associazione Dichiarazione di Berna ha chiesto il ritiro del prodotto a livello mondiale, osservando che numerosi studi “hanno provato chiaramente che ogni anno decine di migliaia di utilizzatori sono avvelenati dal paraquat, principalmente nei paesi in via di sviluppo” .[43]


Le donne di Novartis

 

L’ambiente dove maggiormente si specchiano le politiche di responsabilità sociale messe in atto dalle imprese è quello interno all’azienda, l’ambiente di lavoro. E’ qui che si gioca il primo rapporto con gli stakeholders, ed è qui che si può osservare concretamente il comportamento etico dell’azienda, “in casa propria”.

I dipendenti sono i primi artefici del valore generato. In una metafora familiare, per l’impresa, i dipendenti sono i figli. Nella stessa metafora, Novartis non può rappresentare un buon padre di famiglia, perché non tratta i suoi figli allo stesso modo.

Il 14 luglio 2010, infatti, dinanzi alla United States District Court for the Southern District of New York, Novartis sceglie di patteggiare la chiusura della class action per discriminazione sessuale delle proprie dipendenti, invece di ricorrere in appello contro la sentenza che a maggio dello stesso anno l’ha condannata a risarcire 250 milioni di dollari, a titolo punitivo, a circa 5.600 sue dipendenti, oltre a 3,36 milioni alle dodici donne che avevano avviato la class action.

Novartis è stata giudicata colpevole di aver pagato le donne meno degli uomini, averle penalizzate nelle promozioni e in caso di maternità.

Il patteggiamento annulla la condanna già pronunciata contro Novartis e ferma gli atti successivi. In alternativa, Novartis accetta di pagare alle circa 5.600 dipendenti della multinazionale farmaceutica svizzera un risarcimento complessivo di 152,5 milioni di dollari e spenderà 22,5 milioni, in tre anni, per migliorare le sue politiche del personale.

Nell’annunciare il patteggiamento, Novartis respinge nuovamente l’accusa di discriminazione sistematica delle proprie dipendenti donne riconoscendo soltanto che durante il processo sono emersi casi addebitabili alla responsabilità di singoli manager.[44]

Novartis non è un caso isolato di scarsa corrispondenza fra responsabilità comunicata e responsabilità nei fatti; è solo un caso perfettamente rappresentativo del suo universo di riferimento, quello del settore farmaceutico. A testimonianza di questa affermazione, e per restare nel settore che, per sua natura, più degli altri dovrebbe rispondere del benessere degli individui e dell’ambiente in cui questi sono inseriti, il prossimo caso che verrà preso in esame sarà quello della Bayer, altra grande casa farmaceutica che ha scelto di seguire la strada della Responsabilità Sociale d'Impresa.


Un competitore di Novartis: Bayer

 

Ci sono delle notizie alle quali è difficile credere. I motivi delle resistenze risiedono in parte nella fiducia innata verso l'animo umano (scommettendo sul fatto che il prossimo, essendo appunto così prossimo,  non possa essere poi tanto peggiore di sé), e in parte nella fiducia che il soggetto oggetto delle notizie è riuscito a costruire nell'osservatore.

Prima di iniziare questo lavoro, chi scrive era tra quelli che, intorno alla notizia che l'eroina fosse stata inventata e commercializzata dalla Bayer, pensavano si trattasse di una storia fantastica, appartenente al filone delle teorie del complotto, una leggenda internazionale invece che metropolitana.

Chi scrive si è ricreduto. E la Bayer non solo ha inventato e commercializzato l'eroina ma la ha anche pubblicizzata come un farmaco d'uso comune, indicato per curare sintomi blandi come irritazione della gola o tosse, e consigliato anche per somministrazioni ai bambini.

Sono proprio i bambini ad essere oggetto della pubblicità lanciata in Spagna nel 1912 da Bayer per il suo "ben tollerato rimedio per la tosse" di nome Heroin.  

Secondo quanto riportato da Business Insider, il giornale che nel 2011 ha ritrovato e pubblicato le pubblicità spagnole, i medici dovevano essere a conoscenza del potere di indurre dipendenza del nuovo farmaco già durante la campagna poiché la discussione intorno a questo aspetto problematico dell'eroina, in quel periodo, era già di pubblico dominio. "Agli inizi del 900 la BAYER aveva iniziato una campagna pubblicitaria senza precedenti. Le sue pubblicità in tutto il mondo lodavano enfaticamente il prodotto. Non c'era praticamente malattia per la quale non fosse raccomandata la ‘formula magica’: sclerosi multipla, asma, cancro dello stomaco, epilessia, schizofrenia e molte altre. Si sosteneva che l'eroina fosse efficace anche contro le coliche intestinali dei bambini. E, per la prima volta, migliaia di campioni gratuiti furono distribuiti ai medici".[45]

Per il Financial Times, Il successo commerciale di Eroina, assieme a quello dell'antidolorifico Aspirina suo contemporaneo,"mise le basi per l'ascesa della BAYER, che in origine produceva vernici, a multinazionale globale".[46]

Oggi, la Bayer AG opera nella maggior parte dei paesi del mondo in quattro distinti settori: salute, agricoltura, polimeri (plastiche e gomma sintetica) e chimica. Ha recentemente acquisito Aventis CropScience, l'industria di scienza dei raccolti, facendone una azienda chiave nello sviluppo e nella vendita di organismi geneticamente modificati.

Nella sua massiccia partecipazione, per oltre 125 anni, in questi quattro settori chiave, la Bayer ha accumulato una “notevole storia di accuse per crimini multinazionali, che vanno dalla fabbricazione di sostanze mediche controverse (eroina, Ciproxin, Baycol), allo sviluppo di veleni e agenti chimici per uso bellico (Chlorine gas, Zyklon B e VX), all'utilizzo del lavoro forzato durante la seconda guerra mondiale, a numerosi casi di avvelenamenti, effetti collaterali e inquinamento ambientale, collegati ai suoi prodotti chimici e farmaceutici”.[47]

Sarebbe arduo elencare in maniera esaustiva tutte le accuse rivolte alla Bayer nel tempo e la rassegna stampa raccolta per elaborare parte del lavoro, trattando quest'ultimo delle incongruenze tra comunicazioni e comportamenti nelle pratiche di Responsabilità d'impresa, circoscrive quando possibile le notizie ad un contesto temporale in cui tutti gli attori hanno già abbracciato la Responsabilità Sociale d’Impresa.[48]


L’ambiente secondo Bayer

 

Fra le prime cause di critiche recenti all'azienda vi è il prodotto del rapporto di questa con l'ambiente. Rapporto che è anche il tema centrale della visione responsabile di Bayer, che si pone "come punto di riferimento per lo sviluppo della cultura ambientale delle imprese".[49]

La moria delle api che si sta tuttora verificando in molti paesi industrializzati nell’ultimo decennio è un problema ambientale molto grave perché segnala un ecosistema degradato: le api, potendosene osservare la mortalità giornaliera sotto gli alveari ed analizzare il polline e la cera prodotti, sono considerate sentinelle ambientali; ma soprattutto dalle api dipende l'impollinazione di oltre 225.000 specie vegetali, circa il 70% di quelle di interesse agricolo.

Il progressivo declino della sopravvivenza delle api è stato attribuito a varie cause tra cui quelle climatiche e veterinarie, ma un numero sempre maggiore di studi e ricerche evidenzia come il problema sia conseguente all’espandersi del modello di produzione agricola agroindustriale (che prevede il reiterarsi delle monocolture in monosuccessione) e al crescente uso di pesticidi, in particolare dei nuovi insetticidi neonicotinoidi, l'Imidaclopride e la Clothianidina, entrambi prodotti da Bayer.

I neonicotinoidi sono pesticidi neurotossici sistemici, ovvero si diffondono nell’intera pianta, compresi polline, nettare e goccioline d’acqua essudate dai germogli.

Una recente ricerca giapponese avrebbe evidenziato effetti dannosi di insetticidi derivati dalla nicotina anche sulle cellule celebrali dei mammiferi, contraddicendo l’asserita selettività della loro azione e la sicurezza del loro utilizzo sulla salute umana.[50]

Negli Stati Uniti il Clothianidin è ammesso dal 2003; l’Unione Europea ha dato il via libera nel 2006 e l’anno successivo è entrato in uso in Italia.[51]

"I due insetticidi, usati nella coltivazione della rapa, della barbabietola da zucchero e del mais, vengono esportati in 120 paesi, con il risultato che la Svizzera si è ritrovata con il 25% di api in meno, e l'Italia, la Germania e la Francia con metà delle api morte; in Francia, dove l'imidaclopride è vietata dal 1999 e l'approvazione della clothianidina è stata appena respinta, in dieci anni sono morte 90 miliardi di api, con un calo della produzione di miele attorno al 60%. Il fenomeno si è registrato anche negli Stati Uniti con proporzioni ancora più catastrofiche: 60-70% di api morte".[52]  E' questo il parere degli apicoltori. E anche di molti studiosi. Le ricerche che attribuiscono agli insetticidi della Bayer la moria delle api sono sempre più numerose e nessuna di queste viene mai confutata.

Nell'agosto 2010 il Guardian pubblica un articolo che fa scalpore in Gran Bretagna, riguardante i contenuti di una ricerca pubblicata sulla rivista scientifica Toxicology, che spiegava "perchè minuscole quantità di imidacloprid possono causare a lungo termine il declino delle api" attraverso la loro lunga permanenza nella terra e nell’acqua. Secondo il professor Henk Tennekes, che ha condotto la ricerca, "I limiti di accettabilità di queste sostanze sono stati definiti soprattutto in base ad accertamenti condotti sul breve termine... Se venissero effettuati studi a lungo termine, potrebbero essere considerate pericolose anche concentrazioni molto più basse".[53]  

L'articolo provoca scalpore e indignazione nell'opinione pubblica perché la ricerca indipendente nega i presupposti di sicurezza assicurati invece da Bayer, e accertati dall'EPA, su cui si basa la commercializzazione di Imidacloprid e Clothianidin.

Ma soprattutto la ricerca fornisce una lettura plausibile della crescente moria, spiegando il fenomeno con la persistenza delle sostanze velenose che si andrebbero ad accumulare di anno in anno, rendendo vane le osservazioni fatte sulle concentrazioni di singole irrorazioni. In breve: ciò che è appena velenoso un anno, lo è maggiormente l’anno successivo e così via, sino a superare la soglia entro la quale i veleni sono tollerati.

Nel gennaio del 2012 viene pubblicata dai ricercatori dell'americana Purdue University una ricerca intitolata "Multiple Routes of Pesticide Exposure for Honey Bees Living Near Agricultural Fields" ("Molteplici vie di esposizione ai pesticidi, per api mellifere che vivono in prossimità di campi agricoli"), in cui si evidenzia come le api vengano a contatto in più modi con i due insetticidi Gaucho (imdacloprid) e Poncho (clothianidin), attraverso il polline, il nettare e per sfregamento.

Secondo la ricerca, l'esposizione al pesticida porta in molti casi alla morte immediata dell'ape o alla perdita di orientamento, oltre a casi osservabili di interferenze nelle comunicazioni tra le api stesse. A causa della sua alta persistenza, l'ingrediente attivo del Poncho rimane nel terreno per anni e si accumula nelle piante selvatiche, alcune delle quali importanti fonti di cibo per gli insetti in primavera e in autunno. In questa catena le api sono dunque esposte alla sostanza tossica durante tutto l'anno; è questa esposizione cronica ad avere conseguenze devastanti.[54]

I ricercatori della Purdue University hanno trovato la tossina in tutte le api esaminate, e questo dato confuterebbe l'affermazione che avrebbe fatto la Bayer secondo cui "le api non vengono a diretto contatto col Poncho".[55]

Nonostante i danni subiti, e le evidenze scientifiche sul peso che i due pesticidi sembrano avere, in America gli insetticidi Bayer continuano ad essere regolarmente in commercio, alimentando in molti i sospetti di collusione tra la multinazionale e l'Agenzia di Protezione Ambientale americana.

Una nota interna dell'EPA (US Environmental Protection Agency), datata 2 novembre 2010 e, a detta del gruppo ambientalista che la mette a disposizione sul suo sito, resa pubblica da WikiLeaks, dimostra che l'Agenzia Ambientale statunitense sta ignorando gli avvertimenti dei suoi stessi scienziati.

Nella nota, gli scienziati dell’EPA avvertono dei rischi per gli ecosistemi legati all’uso del pesticida, il maggiore dei quali viene evidenziato proprio negli insetti non-target, come le api. Gli studi condotti sulle api dimostrano che il pesticida è altamente tossico sia per ingestione che per contatto.[56] I gruppi ambientalisti fanno notare come tutto il rapporto intercorso fra la Bayer e l'Agenzia di Protezione Ambientale americana per la gestione dell'affare degli insetticidi non sia né trasparente, né lineare. Sul sito degli ecologisti del gruppo PANNA (Pesticide Action Network North America) c'è una ricostruzione temporale degli avvenimenti che parte dal febbraio 2003, quando l'EPA rifiutava la registrazione di clothianidina, dichiarando indispensabili altri studi per escludere possibili danni alle api e prevedendo “La possibilità di esposizione tossica di impollinatori non target".[57]

Soltanto due mesi dopo, nell’aprile 2003, l'EPA faceva marcia indietro dichiarando, "dopo un esame più approfondito", di concedere alla clothianidina ”l’autorizzazione con riserva”, ovvero libertà per la Bayer di commercializzare l’insetticida e di usarlo per la concia dei semi. Contestualmente veniva chiesto alla Bayer di completare lo "studio del ciclo di vita dell’ape".

L’11 marzo 2004, in seguito alla richiesta di Bayer, presentata nello stesso mese, di una proroga per concludere lo studio sul ciclo di vita dell’ape, una decisione dell'EPA concedeva alla multinazionale della chimica una dilazione fino a maggio 2005, per completare la ricerca.

Nell’agosto 2007, molto tempo dopo la scadenza, la Bayer consegnava lo studio che nel novembre 2007 l’EPA dichiarava valido poiché: "soddisfa i requisiti di test di tossicità in campo per le api”[58] , rifiutandosi però di rendere pubblico lo studio, provando ad appellarsi al Freedom of Information Act.

La pubblicazione dello studio avveniva in seguito a una procedura giudiziaria attivata dalla denuncia dell’associazione Natural Resources Defense Council.[59]

Lo studio era stato effettuato per conto di Bayer dai “ricercatori” dell'Università canadese di Guelph e fu complessivamente contestato come privo di “validità ecologica” (la capacità dell’ambiente osservato di predire quello reale) e bollato dagli ambientalisti come "indecente" (fra i difetti più evidenti, la distanza tra le due popolazioni di api osservate, quella esposta all’insetticida e quella non esposta, era troppo breve per insetti abituati a fare chilometri per mielificare, e dunque le differenze dell’effetto venivano minimizzate).[60]

La Bayer ha continuato a vendere clothianidina in America con autorizzazione “provvisoria” fino al 22 aprile 2010, data in cui l’EPA concedeva l’autorizzazione definitiva.

In Italia, il 16 settembre 2008, la Commissione Consultiva per i Prodotti Fitosanitari ha emanato un Decreto Ministeriale di sospensione cautelativa dei pesticidi thiamethoxan, clothianidina, imidaclopride e fipronil, utilizzati nel trattamento di concia delle sementi e ad oggi, un Decreto del 25 giugno 2012 del Ministero della Salute dispone la proroga della sospensione fino al 31 gennaio 2013.

Prima di una nuova decisione, il ministero della Salute si riserva di attendere la relazione richiesta dalla Commissione Europea all’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare, circa un'analisi approfondita degli effetti delle sostanze attive neonicotinoidi sulle api, la cui pubblicazione è prevista per il mese di dicembre 2012.[61]

Il 16 marzo 2011, i responsabili in Italia delle principali multinazionali farmaceutiche produttrici di concianti per seme (Basf Italia Srl, Bayer CropScience Srl e Syngenta Crop Protection SpA) hanno sottoscritto una lettera aperta indirizzata ai Ministri dell’Agricoltura, della Salute e dell’Ambiente, in difesa dei neonicotinoidi, della concia del mais, della competitività e della scienza.

Nella lettera viene elogiato l'impegno delle case farmaceutiche profuso per garantire la convivenza tra coltivazione del mais e apicoltura, e il ruolo dei nicotinoidi nella realizzazione di produzioni e redditi adeguati agli agricoltori.

E' nel finale che il contenuto si fa un po' più invadente, quando recita "Ci appelliamo a voi, Illustri Ministri, affinché le prossime decisioni sulla riammissione dei prodotti per la concia del mais siano basati su dati scientifici... e non siano viceversa influenzate da visioni e proclami ideologici". Praticamente un rimprovero alle Autorità, alle quali Bayer si permette di far notare

di aver commesso un errore prendendo una decisione sbagliata, basata non su dati scientifici ma su scelte ideologiche.[62]

Pochi giorni dopo la lettera aperta delle compagnie, sulle testate specializzate in agricoltura viene pubblicata una lettera di appoggio alla richiesta delle aziende firmata da Agrofarma, Associazione nazionale imprese agrofarmaci che fa parte di Federchimica. Vi si narra del grave danno arrecato alla produzione maidicola nazionale dal decreto di sospensione, a causa di un "presunto impatto sulla salute delle api".[63]

Al momento in cui viene redatto questo lavoro la questione è ancora aperta: le api continuano a morire[64] ma i sostenitori dei pesticidi a base nicotinoide rimangono dell’idea che il fenomeno non sia correlato all’utilizzo dei prodotti, che invece sarebbero sicuri sugli animali non target.

I problemi ambientali di Bayer non si esauriscono con le api.  Nel luglio del 2011, negli USA, Bayer CropScience patteggiava il pagamento di 750 milioni di dollari, per risarcire i circa undicimila agricoltori di Arkansas, Louisiana, Mississippi, Missouri e Texas, che avevano denunciato la multinazionale tedesca, in seguito alla contaminazione delle loro coltivazioni con il riso sperimentale geneticamente modificato Liberty Link, creato per resistere al glufosinato del pesticida Liberty, prodotto dalla stessa Bayer.

Anche se durante il processo si stabilì che il rilascio del riso Ogm nell’ambiente fu accidentale, Bayer fu accusata di negligenza per aver atteso mesi prima di informare il Dipartimento dell’Agricoltura dell'avvenuto incidente.

Secondo le regole del dipartimento dell’Agricoltura Usa, il riso, ancora in fase di test da parte della multinazionale e della Louisiana State University, non doveva essere rilasciato nell’ambiente, mentre gli avvocati dei querelanti sostennero che il 30 per cento delle risaie statunitensi ne era stato contaminato. Nonostante le indagini del dipartimento dell’Agricoltura, le cause della contaminazione non furono accertate.

Nel dicembre del 2009, una giuria del Missouri aveva già condannato Bayer a versare circa due milioni a due risicoltori del Missuri come risarcimento per i danni subiti.[65]

"Questo verdetto", spiegava Federica Ferrario, responsabile della campagna Ogm di Greenpeace, in occasione del processo, "conferma che la responsabilità dei danni causati dalla contaminazione genetica è dell'azienda che rilascia in ambiente gli OGM".[66]

Secondo il rapporto di Greenpeace "Risky Business", pubblicato nel 2007, a livello mondiale i costi causati dalla contaminazione della Bayer si stimano tra 741 milioni e 1.285 miliardi di dollari.[67]

Eppure, sul sito "Bayer per l'ambiente" si può leggere che l'azienda ha "un sistema veramente innovativo di valutazione ecologica unico al mondo, che tiene conto dell'impatto ambientale nelle diverse fasi della filiera, dall'impiego della materia prima fino alla gestione e allo smaltimento finale".[68] E la visione di Bayer è quella di una agricoltura sostenibile che combina gli aspetti economici, ecologici e sociali, per ottenere la quale l'azienda si propone di minimizzare l'impatto delle coltivazioni e di preservare "il più possibile" la biodiversità". [69]

Da diversi anni Bayer può vantare di essere 'best in class' nella sostenibilita'. Il titolo Bayer è infatti quotato al Dow Jones Sustainability World Index (Djsi World) anche per il 2011.

Bayer e' una delle poche aziende tedesche che sono state incluse ogni anno nel Djsi World fin dalla sua istituzione nel 1999. Sino al 2010 (anno dell’allargamento al 20%, citato nel precedente paragrafo) solo il miglior "dieci per cento" delle imprese in ciascun settore, sulle 2.500 società quotate al Dow Jones Global Index, veniva inserito nel Djsi World.

C’è chi la pensa in un altro modo: il 16 giugno 2008 Greenpeace Germania pubblica la prima classifica dei produttori di pesticidi, basata su criteri di rischio per la salute e l’ambiente, un rapporto, intitolato “Lo sporco portafoglio dell’industria dei pesticidi”. Dei 512 pesticidi considerati, 240, pari al 47%, risultano particolarmente pericolosi per l’ambiente e la salute. Nella “Lista nera” prevalgono gli insetticidi e in testa c’è Bayer, con 86 sostanze su 163 prodotte, seguita da Syngenta, con 68 su 166.Greenpeace, conclude dichiarando esplicitamente che queste multinazionali non possono pretendere di essere considerate sostenibili.[70]

Neanche una settimana dopo la pubblicazione di Greenpeace, il 21 giugno 2008, il traghetto “Princess of the Stars” si rovescia al largo delle coste delle Filippine, durante il passaggio del ciclone Fengshen, perdendo 662 passeggeri e 400 bidoni di un pesticida altamente tossico, per un totale di 10 tonnellate, trasportato illegalmente nella stiva. Il pesticida è l’Endosulfan, un insetticida neurotossico a base di organoclorine, prodotto dalla Bayer Crop Science, destinato alle coltivazioni di ananas della multinazionale Del Monte nelle Filippine.

L'Endosulfan è nella lista delle sostanze prese in considerazione per l'eliminazione globale dalla Convenzione delle Nazioni Unite sugli inquinanti organici persistenti, nota come Convenzione di Stoccolma, di cui le Filippine sono firmatarie.[71]


L’etica secondo Bayer

 

Oltre agli oppositori occasionali, come Greenpeace e le altre associazioni ambientaliste e umanitarie, tra i suoi stakeholders di riferimento influenti, Bayer ha un nemico giurato. Si tratta della Coalition against BAYER-Dangers, la Coalizione contro i pericoli derivanti dalla Bayer (CBG), una organizzazione che "sta monitorando la Bayer da 25 anni".

Nata in Germania nel 1978 come iniziativa locale, oggi la CBG ha collaboratori, "interni ed esterni alle fabbriche Bayer, in 46 paesi del mondo" [72] e la sua missione, ben esplicitata nel nome, è quella di contrastare le pratiche pubblicitarie e di lobbying della casa farmaceutica attraverso azioni di investigazione, informazione, organizzazione, pressione e denuncia alle autorità.

Grazie alle informazioni degli "infiltrati" CBG svolge un'importante azione di indagine nei confronti della multinazionale, che si traduce poi nella controinformazione messa in atto attraverso comunicati sul sito e newsletter diffuse tramite mailing list, e si conclude spesso in denunce alle autorità competenti. Buona parte delle fonti di questo paragrafo provengono da questa organizzazione, come anche molti dei fatti narrati sono stati accertati dalle autorità in seguito ad una azione di CBG.

Anche CBG è monitorata da Bayer, visto il numero di denunce subite dall'organizzazione di attivisti.  Il cui esito positivo per il querelato si traduce però in una ragionevole conferma della bontà delle informazioni oggetto della denuncia.[73]

Grazie all’acquisto di un numero simbolico di azioni, e a tanti piccoli azionisti che hanno trasferito il loro diritto di voto e di intervento, gli attivisti della CBG intervengono alle assemblee annuali della Bayer come azionisti, portando all’attenzione del consiglio di amministrazione le loro evidenze sulle presunte violazioni dei diritti umani e sulle controversie ambientali in cui la multinazionale sarebbe coinvolta. Gli attivisti della Coalizione contro i pericoli della Bayer acquistarono la prima azione Bayer nel 1995 e ad oggi ne detengono circa 100 mila. "Monitoriamo ogni giorno la stampa nazionale e internazionale. Nel tempo abbiamo creato una rete internazionale di associazioni per lo scambio di informazioni e contatti diretti, per lo più anonimi, con lavoratori tedeschi e stranieri e se ci sono i soldi finanziamo direttamente ricerche scientifiche", racconta il primo azionista critico di CBG in una intervista.[74]

Il più recente esercizio di azionariato critico svolto da GGB è rappresentato dalle contromozioni introdotte all'assemblea degli azionisti Bayer del 27 aprile 2012 da Axel Koehler-Schnura, fondatore della coalizione, e sua moglie Christiane.

Il tema della prima contromozione, quella di Axel Koehler-Schnura è molto grave, trattando di sperimentazioni di farmaci sugli esseri umani condotte nei paesi poveri. Secondo il fondatore di CBG, un numero sempre maggiore di studi farmaceutici viene condotto nei paesi in via di sviluppo, specialmente in India. I vantaggi sarebbero i costi bassi, la diffusa conoscenza dell'inglese e un numero significativo di soggetti disponibili per i test.

"Le Compagnie occidentali hanno circa 1900 studi clinici in corso in India, che coinvolgono 150.000 soggetti e per i quali esse spendono circa mezzo miliardo di euro l'anno".[75]

Sulla contromozione si narra di come, secondo il Ministero della Sanità Indiano, i soggetti morti nei test negli ultimi quattro anni siano almeno 138 e di come la Bayer abbia pagato indennizzi ai familiari delle vittime intorno ai 5000 dollari, laddove i risarcimenti negli Stati Uniti sarebbero stati milionari.

"La maggior parte di questi soggetti sono estremamente poveri e analfabeti, in molti casi la dichiarazione di consenso è firmata da terzi e pochissimi sono consci dei rischi a cui vanno incontro. I Comitati Etici, responsabili dei controlli sui test, spesso esistono solo sulla carta".[76]

Circa le cifre delle vittime della sperimentazione di farmaci, viene citato Il Dr. Chandra Gulhati, fisico in pensione e redattore della rivista Medical Specialties, che da anni sta seguendo questo caso, il quale sosterrebbe che "Le cifre reali sono molto più alte perché la maggior parte delle morti non viene nemmeno denunciata. I parenti non sanno che le vittime prendevano parte a un test. Non ci sono indagini e non viene fatta l'autopsia per stabilire le cause della morte".[77]

Gli studi condotti in India dalla Bayer sarebbero molti, da quelli relativi al farmaco anticancro Nexavar a quelli sul VEGF, un farmaco per gli occhi. Mentre si sarebbero appena conclusi i test sul Levitra, un farmaco per il trattamento dell'impotenza e sulla spirale agli ormoni Mirena.

Sempre secondo quanto scritto nella contromozione, Bayer conduce esperimenti su esseri umani anche in altri paesi con popolazioni ampie e povere, come la Colombia, il Pakistan, la Moldavia, le Filippine e la Cina.

Nella sua contromozione, Axel Koehler-Schnura ricorda anche la lettera aperta inviata al presidente del Consiglio Direttivo di Bayer AG, Marijn Dekkers, in cui si chiedeva formalmente alla compagnia di rivelare i dati di ogni singolo paziente oggetto di sperimentazione, e il fatto che nonostante la gravità del tema la Bayer non abbia mai fornito nessuna risposta.

Prima di concludere, chiedendo che gli atti del Consiglio Direttivo non vengano ratificati, l'attivista della coalizione cita la Dichiarazione di Helsinki, la quale afferma che: "Nella ricerca medica, la salute del singolo soggetto del test, deve avere la priorità su qualunque altro interesse", e che Bayer starebbe trasgredendo.

Molte delle informazioni presenti nella contromozione di Axel Koehler-Schnura provengono dall'inchiesta sui test clinici praticati in India, pubblicata dal quotidiano inglese The Independent il 14 novembre 2011.

Dall'articolo dell'Indipendent derivano i numeri e le accuse, qui allargate anche ad altre case farmaceutiche come Pfizer, PPD, Bristol-Myers Squibb, Amgen, Bayer, Eli Lilly, Quintiles, Merck KGaA, Sanofi-Aventis e Wyeth, e dettagliate con racconti di singoli casi.[78]

La grave accusa alle grandi multinazionali farmaceutiche aveva preso corpo con la pubblicazione di un lungo articolo sul quotidiano berlinese Der Tagesspiegel, che citava diversi studi e rapporti sulla sperimentazione umana, narrando della pratica diffusa delle case farmaceutiche di condurre test nei i paesi in via di sviluppo. [79]

Impossibile, dopo aver molto indagato sulla Bayer in occasione di questo lavoro, scrivendo di sperimentazione, non pensare alle accuse rivolte alla compagnia relative alla parte che questa avrebbe avuto nei crimini nazisti.

Le fonti sono molte ma sul sito della Coalizione contro i pericoli derivanti dalla Bayer c'è una pagina con una dettagliata quanto toccante ricostruzione ad opera di Giovanni De Martis, presidente dell'Associazione Olokaustos.

Vi si apprende che nelle fabbriche Bayer, dove furono costretti a lavorare gratuitamente migliaia di deportati, fu prodotto il gas zyklon-B, usato per il piano di sterminio sistematico degli ebrei. E che nel 1947 diversi suoi dirigenti furono condannati per crimini di guerra. Secondo la ricostruzione, alcuni farmaci prodotti dalla Bayer per curare malattie infettive quali l'epatite virale (i cui germi furono iniettati preventivamente nelle vittime) vennero sperimentati nei campi di concentramento di Auschwitz, Dachau, Gusen, Lipsia, e Sachsenhausen. Il testo non manca dei particolari di alcuni esperimenti che sarebbero stati condotti sui prigionieri con la collaborazione attiva di Bayer. [80]


Il marketing secondo Bayer

 

Per tornare ai tempi odierni, e alle due contromozioni presentate a Colonia nel 2012 dalla coppia di attivisti della CBG, quella di Christiane Schnura aveva come tema il marketing Bayer, un altro fianco della casa farmaceutica che si offre alle critiche sull'eticità delle sue pratiche.

Nella sua contromozione, Christiane Schnura comincia col ricordare all'assemblea degli azionisti che quasi 9 miliardi di euro sono stati spesi nel 2011 in pubblicità e attività di vendita mentre sono stati spesi per la ricerca solo 2,9 miliardi di euro, cosa che di per sé già dimostrerebbe come l'alto prezzo dei medicinali non sia dovuto ai costi di sviluppo, ma all'esorbitante attività di marketing.

La Bayer non fornirebbe agli azionisti sufficienti informazioni sulle spese di marketing e di vendita, nonostante queste spese siano pari a circa un quarto delle vendite annuali della compagnia. Secondo l'attivista della CBG: "Sulle 256 pagine del Rapporto Annuale della BAYER, solo 8 righe sono dedicate a queste spese, malgrado siano le più alte dopo quelle per il personale. Nel Rapporto, questa somma non viene mai ulteriormente suddivisa. È un comodo sistema per far sparire una enorme quantità di denaro".[81]

Negli 8,96 miliardi di euro spesi in attività pubblicitarie sarebbe infatti compresa anche la "zona grigia del marketing farmaceutico", ovvero le spese per i campioni di medicinali, i costi dei rappresentanti (il solo costo per le spese di questa specie di vendita "porta a porta" ammonterebbe a oltre 4 miliardi di euro), i pagamenti ad associazioni di malati e di medici, le spese per le attività di lobbyng e di public relations e quelle per altre attività volte ad influenzare il pubblico.

Inoltre, la diminuzione delle spese per la ricerca e lo sviluppo sarebbe in contraddizione con quanto dichiarato da Marijn Dekkers nell'assumere il suo incarico di presidente del Consiglio Direttivo: "Il mio compito maggiore è quello di aumentare la nostra forza di innovazione".[82] Christiane Schnura denuncia anche l'uso di internet "come nuovo terreno di battaglia per le attività di marketing" da parte di Bayer, sostenendo che si tratti di un modo per aggirare il divieto europeo di pubblicità dei medicinali prescrivibili. A sostegno di questa affermazione, l'attivista cita alcuni siti che sarebbero camuffati da "servizi informativi", come www.pille.com, un sito in lingua tedesca sulla pillola contraccettiva che, dietro l'apparenza di guida pratica, servirebbe al solo scopo di aumentare le vendite dei prodotti.

"L'ambiguo sito LoveGent.de assolve la stessa funzione per il Levitra, la 'pillola della virilità' della BAYER. Ha l'apparenza di un sito per adulti che offre articoli dedicati ad argomenti come ‘sveltine’, giocattoli erotici o prostituzione, oltre ai consigli 'dell'esperto', il Dr. Frank Sommer. Vi si parla spesso di pillole per la virilità o di medicinali contro l'impotenza, ma, naturalmente, senza fare menzione dei loro effetti collaterali come i danni all'udito, i problemi alla vista o le perdite temporanee di memoria. Solo una piccola scritta, informa che una sussidiaria della BAYER, la JENAPHARM, è responsabile del sito". [83]

Un altro sito similmente camuffato sarebbe www.testosteron.de, che avrebbe la funzione di diffondere l'idea che la deficienza di testosterone sia una malattia, e di spingere la vendita delle pillole appropriate per curarla. Secondo la signora Schnura, in realtà non c'è nessuna prova evidente che la somministrazione di ormoni aiuti ad alleviare i disordini dell'età, e nemmeno sono stati chiariti i rischi a lungo termine del trattamento con testosterone.

Prima di concludere, l'attivista ricorda all'assemblea degli azionisti la massiccia pressione con cui la Bayer cercherebbe di far revocare il bando europeo sulla pubblicità dei medicinali prescrivibili, cosa che darebbe luogo a un marketing scorretto nascosto sotto la forma di "informazioni per il paziente".[84]

Quanto riferito nelle contromozioni ha una sua importanza particolare per via della sede e della formalizzazione del documento prodotto: trattandosi di fatti che vengono esposti davanti all’assemblea degli azionisti, se non fossero supportati da prove concrete costituirebbero un immediato oggetto di denuncia da parte della Bayer.

Il marketing Bayer è stato più volte oggetto di attenzione anche da parte della Prescription Medicines Code of Practice Authority (PMCPA), l’organo di autocontrollo sul rispetto del codice deontologico dell’Associazione Britannica dell’Industria Farmaceutica (ABPI), che nell'agosto del 2011 sanziona la casa farmaceutica a causa di "diverse violazioni del Codice etico dell’associazione, che hanno gettato discredito sull’intero comparto, riducendo la fiducia dei cittadini".[85]  La sanzione di "censura pubblica" comminata dall'organismo di controllo riguarda l’utilizzo di Twitter, da parte di Bayer Healthcare, per lanciare la nuova versione di due farmaci soggetti all’obbligo di prescrizione medica, la cui pubblicità diretta al pubblico è vietata, il Levitra, indicato per la disfunzione erettile, e il Sativex, un antidolorifico derivato dalla cannabis. Qualche tempo prima, la PMCPA aveva emesso alcune linee guida sulla comunicazione digitale in cui aveva indicato proprio l'incompatibilità di Twitter, usato come mezzo per promuovere farmaci soggetti a prescrizione medica, con il Codice etico dell’associazione dell’industria farmaceutica. Il motivo di tale incompatibilità è da ricercarsi nel fatto che, se il farmaco è soggetto a prescrizione, il messaggio dovrebbe arrivare solo ai medici e inoltre contenere al suo interno collegamenti a pagine con maggiori informazioni (per via del limitato numero di caratteri, pari a centoventi, ammesso nei messaggi di Twitter).

Il farmaco Levitra aveva già causato problemi a Bayer nel 2007, quando, con due annunci a pagamento sul British Medical Journal e sul Pharmaceutical Journal, adottando la tecnica del “name and shame” (nome e vergogna), l’Association of the British Pharmaceutical Industry (ABPI) aveva ammonito pubblicamente la casa farmaceutica per un opuscolo in cui si affermava che il suo farmaco contro le disfunzioni erettili facesse effetto soltanto dieci minuti dopo l’assunzione. Nel mese di maggio 2006, l’autorità dell’ABPI incaricata di far rispettare il codice di condotta dell’industria farmaceutica aveva ordinato a Bayer di ritirare l’opuscolo, che invece fu diffuso nuovamente il mese successivo ad una conferenza della British Association of Urological Surgeons.[86]

E' ancora l'Associazione britannica dell'industria farmaceutica, nel febbraio del 2009, ad ammonire Roche e Bayer; la prima per aver regalato buoni da dieci sterline, da spendere in alcuni negozi di giocattoli, ai bambini affetti da fibrosi cistica che avessero raccolto i tappi del Pulmozyme, un farmaco per la prevenzione delle infezioni polmonari; e la seconda per aver promosso un proprio farmaco prima di averne ottenuto l’autorizzazione al commercio, e ricorrendo a quiz promozionali. Il farmaco in questione è l’anticoagulante Xarelto, che fu promosso al pubblico dal giugno 2008, ottenendo però l’autorizzazione al commercio solo nel mese di ottobre 2008.[87]

A parlare delle conseguenze di un marketing aggressivo ci pensa Bloomberg News, notiziario finanziario con oltre 100 sedi dislocate nel mondo, in un articolo del 26 aprile 2012 che ha come oggetto i risarcimenti milionari alle utilizzatrici americane di Yaz e Yasmin.[88] Secondo i giornalisti, che citano la newsletter del primo quadrimestre inviata agli azionisti, Bayer ha dichiarato di aver pagato 142 milioni di Dollari in patteggiamenti per chiudere 651 cause che accusavano le sue pillole Yasmin e Yaz di causare degli emboli, spesso fatali, che potevano portare ad infarti e ictus.

Dal 2009, la compagnia tedesca avrebbe affrontato un’ondata di cause legali sulle pillole. Gli avvocati dei querelanti hanno citato rapporti della Food and Drug Administration che parlano di almeno 50 casi di morte legati alle pillole dal 2004 al 2008. Gli avvocati sostengono che i responsabili della Bayer abbiano pubblicizzato i contraccettivi per usi non approvati e ingannato le donne sui rischi di tali medicinali. Nella newsletter, i portavoce della Bayer avrebbero dichiarato di non aver ammesso alcun misfatto in alcuno dei patteggiamenti, e avvisato che l’assicurazione della Bayer per denunce di responsabilità di prodotto sarebbe potuta non bastare per coprire tutte le spese e una “possibile responsabilità” proveniente dal contenzioso. La compagnia dichiarerebbe di aver affrontato, fino al 18 aprile 2012, 11.900 cause legali contro la Yaz e la Yasmin negli Stati Uniti, riguardanti circa 14.000 querelanti. [89]

E' da molti anni che Bayer viene messa in guardia circa i pericoli dei suoi anticoncezionali e la troppa disinvoltura nel proporli al pubblico, attraverso ricerche indipendenti, report, incidenti, denunce e sanzioni. Nell’ottobre 2008, l’FDA aveva contestato alla multinazionale tedesca due spot pubblicitari della pillola contraccettiva Yaz, dove questa veniva indicata anche per il trattamento dell’acne moderata e dei disturbi premestruali gravi, lasciando intendere che favorisse anche la cura di sintomi come l'ansia, il malumore, l'irritabilità, la fatica, l'emicrania e i dolori muscolari.

L’accusa alla Bayer era di voler fare credere che YAZ potesse curare ogni tipo di acne, anche quella grave, e che il farmaco fosse indicato per il trattamento dei disturbi premestruali in generale, anche di quelli lievi o medi più comuni. Allo stesso tempo, sottolineava l’FDA, i due spot minimizzavano i gravi rischi del farmaco, distraendo lo spettatore con veloci cambi d’immagine e musica di sottofondo.

Nel testo della "Warnig Letter" si può tuttora leggere che "Queste violazioni stanno rappresentando un caso di salute pubblica perché incoraggiano l'uso di Yaz in casi diversi da quelli per cui è stata approvata la medicina, sovrastimando i benefici e minimizzando i rischi."[90]

Nel febbraio 2009, Bayer patteggia con 27 Stati Usa la chiusura di una causa, che la vedeva accusata di promozione ingannevole dello Yaz: la multinazionale tedesca si impegna a sottoporre ogni nuova pubblicità dell’anticoncezionale all’FDA e a spendere 20 milioni di dollari per una campagna informativa sull’anticoncezionale, per correggere le informazioni date in precedenti pubblicità.[91]

Nell'aprile del 2011 il British medical journal pubblica due studi che evidenziano come le donne che facciano uso di contraccezione ormonale a base di drospirenone (un ormone sintetico) abbiano un rischio di sviluppare tromboembolismo venoso, da due a tre volte più alto rispetto alle donne che assumono contraccettivi più datati contenenti levonorgestrel.[92]

La Coalizione contro i pericoli derivanti dalla Bayer invita all'assemblea degli azionisti Bayer del 29 aprile 2011 alcune delle vittime delle pillole contraccettive per denunciare i molti casi gravi di effetti sulla salute, dagli esiti talvolta fatali, e il fatto che questi rischi siano minimizzati dalle pubblicità dei prodotti. Nella contromozione viene evidenziata l'assurdità del fatto che il nuovo farmaco sia più rischioso di quelli vecchi, nonostante quelli vecchi fossero altrettanto efficaci, e vi si ricorda la morte, nel gennaio 2011, di una giovane Austriaca, deceduta per embolia dopo aver assunto Yasminelle, che le era stata prescritta per perdere peso.

Nel documento, gli attivisti denunciano anche lo studio dell'Euras, citato dalla BAYER per dimostrare la sicurezza di Yaz e Yasmin, che sarebbe stato sponsorizzato e realizzato dalla Schering, la quale sarebbe di proprietà della Bayer.[93]

Nel maggio del 2011, Bayer viene sanzionata con censura pubblica a causa di una pubblicità dove si affermava che l’anticoncezionale Yasmin aveva dimostrato di sortire un effetto benefico anche sull’acne non grave, la ritenzione idrica, l’irsutismo e i sintomi premestruali. Questi stessi effetti benefici apparivano, nella stessa pubblicità, tra i possibili effetti collaterali; dopodiché veniva detto che Yasmin non era autorizzato per il trattamento di questi disturbi.

Secondo la Prescription Medicines Code of Practice Authority, però, questa avvertenza non compensava il carattere fuorviante dell’altra affermazione, anche perché il claim della pubblicità era "Contraception and more", affermazione che poteva incoraggiare a prescrivere il farmaco non soltanto per la sua efficacia contraccettiva ma per le altre virtù "secondarie".[94]

Il 10 aprile 2012 la Food and Drug Administration ordina alla Bayer e alle altre aziende che producono contraccettivi contenenti drospirenone di potenziare gli avvisi di rischio di embolia sui propri prodotti. Pillole come la Yasmin, in futuro, dovranno riportare nell'etichetta un avvertimento dove si comunica esplicitamente che i ricercatori hanno scoperto che il farmaco può triplicare il rischio di embolia nel sangue. [95]


La concorrenza secondo Bayer

 

Nella sezione "Valori" del sito myBayerjob.it, Professioni & carriera, un portale di "instradamento" della Bayer, si può leggere la seguente affermazione: "Vogliamo essere riconosciuti per la qualità, la redditività, l’affidabilità, la flessibilità e l’apertura al dialogo, creando fiducia con un comportamento integro..." [96]

La Bayer risulta avere una lunga storia di accuse al suo modo di fare business anche per quanto riguarda la concorrenza.

Nel giugno 2011, alla Bayer Cropscience viene applicata una sanzione amministrativa pecuniaria superiore ai 5 milioni di euro per aver abusato della sua posizione dominante, mettendo in atto una strategia volta ad escludere le aziende concorrenti dal mercato di fungicidi. Alle aziende, costrette ad uscire dal mercato, sarebbe stato negato l'accesso agli studi necessari al rinnovo delle autorizzazioni per la commercializzazione dei prodotti.  Le condizioni favorevoli alla compagnia, viziate dall’elevata quota di mercato detenuta, avrebbero poi consentito all'azienda di far salire i prezzi in modo sostanzialmente arbitrario.

L'accaduto è ben spiegato in due frasi del documento "I procedimenti conclusi nel 2011", pubblicato dall’Authority: a pagina 101 si può leggere che "L’intento escludente di BCS è evidenziato dalla circostanza per cui, a dispetto dei noti obblighi di collaborazione che la normativa comunitaria poneva in capo al titolare degli Studi, irreplicabili in quanto condotti su animali vertebrati, BCS aveva subordinato l’avvio della negoziazione con la Task Force a pre-condizioni che, pur differenti nelle diverse fasi della trattativa, risultavano sempre funzionali all’unico obiettivo di non giungere a un accordo. E ciò nella piena consapevolezza della pretestuosità delle richieste avanzate, confermata da una serie di documenti in cui veniva manifestata soddisfazione per il successo della strategia finalizzata a escludere concorrenti dal mercato".[97]

Nel dicembre del 2009, la Commissione della concorrenza (COMCO) infligge una multa a tre imprese farmaceutiche per fissazione di prezzi di rivendita. Le imprese sono Pfizer, Eli Lilly e Bayer. Sono accusate di aver costituito un cartello illegale sui prezzi raccomandati per i loro prodotti contro la disfunzione erettile, rispettivamente Viagra, Cialis e Levitra.  I tre medicamenti sono detti "fuori lista" perché sono venduti dietro ricetta medica ma, non essendo rimborsati, hanno un prezzo che è fissato dal produttore invece che dall'autorità e dunque sono soggetti al diritto della concorrenza.  La COMCO è dell'avviso che le pratiche delle compagnie incriminate costituiscano degli accordi che impongono dei prezzi di rivendita. L'articolo 5 della Legge federale sui cartelli (LCart) stabilisce che tali accordi sono illeciti.[98]

Il 12 maggio 2009, a Duesseldorf, in Germania, ancora per opera della Coalizione contro i pericoli derivanti dalla Bayer, interviene all'assemblea degli azionisti un ex dipendente della Bayer, Alfredo Pequito.  Durante la sua attività in Bayer, Pequito avrebbe raccolto i nomi di quasi 2500 medici portoghesi indotti a prescrivere medicinali della Bayer, dopo aver ricevuto donazioni in denaro o in pacchetti vacanze. "Cosa spinge questa Compagnia a "comprare" le prescrizioni dei medici? Forse la Bayer non ha fiducia nella bontà dei suoi prodotti? ", domanda Alfredo Pequito al Consiglio di Amministrazione della Bayer. [99]

Il 25 novembre 2008 Bayer patteggia con il Dipartimento della Giustizia statunitense il pagamento di 97,5 milioni di dollari per chiudere una causa in cui Bayer Healthcare era accusata di aver pagato tangenti a undici distributori di dispositivi medici per pazienti diabetici, tra il 1998 e il 2003, affinché favorissero i prodotti della multinazionale tedesca, a danno di quelli dei concorrenti.

I distributori in questione avrebbero rifornito direttamente i pazienti e sarebbero stati pagati per ogni paziente che “convertivano” ai prodotti della Bayer. Liberty Medical Supply, uno dei maggiori fornitori diretti ai pazienti, avrebbe ricevuto da Bayer circa 2,5 milioni di dollari tra il 1998 e il 2002. Agli altri dieci fornitori, Bayer avrebbe pagato tangenti per circa 375.000 dollari. Le tangenti venivano camuffate sotto la voce di spese per pubblicità.  Bayer ha patteggiato senza ammettere responsabilità.[100]

Nel marzo del 2008, undici case farmaceutiche, tra cui Bayer, patteggiano il pagamento di 215 milioni di dollari per chiudere le cause intentate dai consumatori e dalle compagnie assicuratrici statunitensi, che le accusano di aver gonfiato il prezzo medio di alcuni farmaci soggetti a prescrizione medica. Tra i farmaci oggetto della frode vi sarebbero medicinali per il trattamento di malattie gravi come quelle del tumore e dell’Aids.[101] 

Il 29 novembre 2006, la Commissione europea infligge ammende per un totale di 519 milioni di euro a cinque imprese accusate di aver partecipato a un cartello per la fissazione dei prezzi di alcuni tipi di gomma sintetica, largamente impiegata per la produzione di pneumatici e di altri beni di uso comune. Le società coinvolte nel cartello sono Eni, Shell, Dow, Unipetrol, Trade-Stomil e Bayer. La decisione della Commissione si fonderebbe su un'ampia documentazione, fra dichiarazioni delle imprese, risultati delle ispezioni e testimonianze rese dai soggetti che hanno ammesso di aver partecipato alle riunioni del cartello, che si sarebbero svolte in diverse città d'Europa (tra cui Milano). [102]

Analizzando le informazioni sin qui raccolte, la prima cosa che si nota è una mancata corrispondenza tra quanto affermato nei vari documenti di attestazione di responsabilità, autoreferenziale o attribuita da terzi, e le normali pratiche di business.

Da questa discrepanza appare evidente quanto il mondo della comunicazione intorno alla responsabilità sociale si scosti da quello reale. Dicotomia dove però l'uno nega necessariamente l'altro. Si dovrebbe infatti concludere che la comunicazione della RSI proveniente dall'impresa sia del tutto inattendibile ai fini di connotare un’azienda dal punto di vista etico.

Del resto, navigando sul web, si ha la sensazione che la comunicazione di responsabilità sia talmente inflazionata da essere divenuta quasi un "must to have" di siti di qualsiasi genere, finanche personali. Documenti asserenti responsabilità vengono diffusi senza una sufficiente cognizione di causa (difetto evidente anche soltanto da una analisi del contenuto, che restituisce spesso solo una accozzaglia mal organizzata di termini ricorrenti nella RSI, senza alcuna possibilità di applicazione concreta), e con una superficialità che tradisce la totale assenza di ideali in chi li propone.

Ma si assiste anche a un problema nella validità di indicatori, classifiche e recensioni, prodotte da organizzazioni preposte a promuovere la responsabilità sociale d'impresa, e nella capacità che anch'essi avrebbero di certificare realmente una condotta etica.


La “catena degli stakeholders” e la possibilità di discriminare i fornitori: McDonald's e i suoi subfornitori

 

C'è un altra pratica su cui conta il sistema della Responsabilità Sociale d'Impresa per il suo corretto funzionamento: quella di operare una scelta dei propri fornitori e collaboratori esterni che sia basata sugli stessi requisiti etici in possesso dell'azienda. In questo modo, garantendo un agire responsabile lungo tutti gli anelli della catena, si può proporre al consumatore un prodotto etico.

Le aziende prese in esame in questo paragrafo rappresentano un caso in cui fornitori e subfornitori sono considerati "sicuri" per l'impresa responsabile che li sceglie, ossia dichiarano anch'essi in modo formale di agire responsabilmente. Si tratta di Key Log (ex Power log), Cremonini e McDonald’s, tre aziende l'una fornitrice dell'altra.

Il primo ristorante McDonald’s nasce negli Stati Uniti su iniziativa dei fratelli Richard e Maurice McDonald nel 1937. Oggi McDonald’s è attivo in ogni angolo del pianeta e, soltanto in Italia, può contare su oltre 400 "ristoranti" e circa 12.000 dipendenti. [103]

Anche McDonald’s ha sposato la RSI.  "We operate our business ethically. Sound ethics is good business (Noi conduciamo la nostra attività eticamente. La parola etica è sinonimo di buoni affari)", dichiara esplicitamente la missione di McDonald’s, in una frase che continua con una dichiarazione di adesione "ai più alti standard di chiarezza, onestà, e integrità", e di responsabilità "individuale e collettiva". [104]

Il gruppo dichiara pubblicamente di prendere "molto sul serio la sua responsabilità, rivolta all'ambiente in cui è innestato e alle comunità che serve". [105] Il leitmotiv che lega la comunicazione di tutti i suoi siti web, globali e locali, sembra infatti essere sempre ispirato alla responsabilità sociale e all’ecologia, "un filone che caratterizza da tempo, e lo farà ancora di più in futuro, la strategia del gruppo".[106]

Tra le azioni intraprese a salvaguardia dell'ambiente, McDonald's può vantare operazioni di riduzione dell'impatto ambientale quali l'eliminazione degli imballaggi in polistirolo in favore della cellulosa, operata dal 2000 e il riciclo sistematico degli imballaggi in cartone, introdotto nel 2003 in tutti i punti vendita italiani.  Dal 2011 McDonald's segue un programma di riduzione dei consumi di energia e di utilizzo di energia rinnovabile che si concretizza attraverso l'introduzione di meccanismi di misurazione e di macchinari di nuova generazione con minori consumi.[107] Globalmente, McDonald’s può vantare numerosi attestati di eticità che vanno dall'inclusione dal 2005 al prestigioso Dow Jones World and North American Sustainability Indexes (DJSI), l'indice più consultato dagli investitori socialmente responsabile, sino alla nomina nella Green 30 list, una classifica basata sulla percezione dell'eticità dell'impresa da parte degli impiegati, e nella Maclean’s/Jantzi-Sustainalytics list, la lista delle 50 imprese più responsabili, in Canada.

Sul sito aboutmcdonalds.com, è possibile leggere la lunga lista di premi e riconoscimenti ottenuti da McDonald's a livello globale, molti di questi per meriti di responsabilità. Fra i più importanti, soltanto nel 2012, è stato riconosciuto da Interbrand come il settimo miglior marchio globale nel 2012, da Fortune come l'undicesima compagnia più ammirata del mondo, la quarta per quanto riguarda  il “People Management” , e da Barron's come la terza compagnia più rispettata al mondo.[108]

Nelle politiche aziendali del gruppo è contemplata anche la "Charity", beneficenza messa in atto attraverso la Fondazione per l’Infanzia Ronald McDonald, che ha come obiettivo quello di aiutare i bambini malati attraverso l’apertura e la gestione delle Case Ronald nei pressi dei principali centri pediatrici in Italia.  Sul sito della Fondazione per l’Infanzia Ronald McDonald si può leggere che "Nel mondo sono più di 300 le Case Ronald e 152 le Family Room che ogni giorno danno ospitalità a migliaia di persone". [109]

Nata nel 1999, la Fondazione per l’Infanzia Ronald McDonald Italia (negli Stati Uniti è attiva dal 1974), apre la sua prima casa a San Giovanni Rotondo, in Puglia, soltanto il 19 aprile 2007.[110]

Il progetto di costruzione della prima casa in Italia viene recensito anche dalla fondazione Sodalitas, che ne fa un caso di studio fra le buone pratiche d'impresa.

Il 18 ottobre 2012 la Fondazione per l’Infanzia Ronald McDonald Italia inaugura una seconda struttura: una Family Room di otto posti per accogliere i genitori dei bambini ricoverati presso l’Ospedale Infantile Cesare Arrigo di Alessandria. [111]

Sul fronte della comunicazione di prodotto, il marketing McDonald’s insiste sulla qualità e sulla territorialità.  In Italia, diventa "ancora più italiano", vantando nei suoi menu l'utilizzo di un prodotto DOP (il panino con Parmigiano Reggiano) "e confermando la scelta di utilizzare materie prime di alta qualità e di origine italiana".  Il processo di localizzazione dell'offerta è confermato anche dal panino “Sapori di Montagna”, con Speck dell’Alto Adige IGP, dalle ricette McItaly, patrocinate dal Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, e dal rinnovato Happy Meal, il menu più famoso tra i bambini, contenente uno Snack di Parmigiano Reggiano DOP, un succo di frutta e uno yogurt biologici, e una focaccia con olio extravergine di oliva.

Sempre sul sito italiano si può leggere che "Dopo un attento e rigoroso percorso di analisi, McDonald’s è la prima catena di ristorazione italiana ad aver ottenuto lo Standard Qualivita, garante della trasparenza e della veridicità della comunicazione aziendale sulla qualità dei prodotti e dei servizi offerti". La Fondazione Qualivita nasce a Siena nel 2002 e la sua missione è quella di "valorizzare, tramite le proprie attività, il settore agroalimentare di qualità e quindi le produzioni DOP, IGP e STG",  anche attraverso la concessione di un nuovo marchio “alle imprese del settore che rispondono ai requisiti di comunicazione trasparente, attenzione al consumatore, valorizzazione dei prodotti di qualità, codificati nel disciplinare e nel regolamento per l’uso del marchio”.[112]

Queste informazioni restituiscono un'immagine della catena di fast food molto diversa da quella di solo una decina d'anni fa.

Dal 2008 McDonald’s sta mettendo in atto un processo di rinnovamento (definito "reimaging") dei punti vendita, "sempre meno fast-food e sempre più luoghi accoglienti, dove trascorrere il tempo con la famiglia e gli amici".  Più della metà dei ristoranti sono stati completamente rinnovati e l'azienda dichiara che rinnoverà entro il 2013 la totalità dei ristoranti.[113]

Il "Remodelling" di McDonald’s è significativo: "I ristoranti di Piazza Duomo a Milano e di Piazza di Spagna a Roma sono in stile Qualité, il fiore all’occhiello tra gli stili dei ristoranti McDonald’s in Italia: la rappresentazione emblematica della nuova filosofia aziendale e dei valori di qualità che la contraddistinguono. Pareti-vetrina con frutta e verdura si armonizzano con un arredamento contemporaneo arricchito da elementi di design come le sedie e le poltrone di Vitra modello Eames e le lampade di Targetti, creando un ambiente particolarmente ricercato.... Lo stile Qualité è stato pensato per ristoranti che sorgono in zone centrali ed esclusive di grandi città, frequentati da young adults e giovani trend setter. Inoltre, grazie alla presenza della Gym&Fun, sono anche un luogo di ritrovo ideale per giovani famiglie con figli".[114]

Questi "Reimaging" e "remodelling" dei punti vendita sono emblematici del poderoso riposizionamento dell'immagine aziendale in atto presso McDonald’s, che in questo caso rappresenta un tentativo di smorzare un po' la contrapposizione ideologica "fast food versus slow food", dato confermato anche dalla presenza di una pagina, sul sito informativo "sui gustosi alimenti McDonald's", in difesa della felice convivenza di questi due mondi, quello del cibo veloce e quello di una cucina più tradizionale, convivenza che sarebbe appunto assicurata da McDonald's. Nella stessa pagina sono presenti i collegamenti a due articoletti, l'uno a difesa dell'hamburger ("l'hamburger non è mai uguale a sé stesso") a cura di un professore di Storia medievale e Storia dell'alimentazione, e l'altro rappresentato da un'arringa tesa a smontare il mito del fast food come tempio del consumismo e "l'equazione fast food=assenza di convivialità", ad opera di un avvocato civilista. Secondo l'avvocato "A ben vedere, l'insistenza sulla dicotomia slow/fast è il sintomo, neanche troppo dissimulato, di un atteggiamento di imperialismo o addirittura di razzismo culturale".[115]

Elementi di superficialità a parte, alla luce di tutte queste informazioni, ci si domanda se si ha di fronte ancora lo stesso McDonald’s di dieci anni fa.

Ad essere malevoli, c'è un'affermazione, sul sito italiano, che lega il presente del gruppo al suo passato, quasi a giustificarlo: "In ognuno dei 140.000 menù venduti quotidianamente ci sono attenzione per il prodotto offerto, competenza del servizio e un costo accessibile, tutti principi che da oltre 50 anni ispirano il nostro comportamento e le nostre decisioni". [116]

La nota stonata è nell’affermazione di continuità. E' qui che si fanno strada i dubbi circa il fatto che il rinnovamento del gruppo possa essere solo di facciata, una normale operazione di riposizionamento del brand. Un'azienda che ha davvero deciso di voltare pagina, taglia col proprio passato, non lo vanta.


Il Mc libel

 

Il passato di McDonald’s non gode di buona reputazione.  Nel 1994, in Inghilterra, un gruppo di attivisti che distribuiva una indagine di London Greenpeace sotto forma di volantini provocò la reazione di McDonald's. Due degli attivisti, colti in flagranza di volantinaggio, furono denunciati per diffamazione e il 28 febbraio 1996 cominciò il processo.

Il volantino si intitolava "What's Wrong with McDonald's", Cosa c'è di sbagliato con McDonald's, ed era un pesante atto d'accusa nei confronti di molte pratiche della multinazionale.

Il processo si concluse il 2 giugno 1997 con una condanna ai danni dei due attivisti per offese di tipo formale, e al pagamento di una multa di 10 milioni di sterline (che i due disoccupati non pagarono mai) ma McDonald's ne ebbe un duplice danno. Innanzitutto le numerose prove portate dagli attivisti a sostegno del volantino durante il dibattimento sottoposero il processo, passato alla storia col nome di McLibel, all'attenzione dell'opinione pubblica, dando luogo ad una campagna anti-aziendale su scala mondiale. Ma, cosa ancor più grave per il querelante, il giudice convalidò la gran parte delle accuse rivolte alla multinazionale,[117] che divennero il volantino di controinformazione forse più famoso al mondo, per la gravità delle accuse che conteneva e per il fatto che queste erano state provate in un tribunale.

Questo è il testo del volantino, in una traduzione italiana: [118]

“Ogni anno McDonald's spende in tutto il mondo oltre 3.000 miliardi di lire in pubblicità e promozioni commerciali. Il suo obiettivo è di dare un'immagine di se stessa come di un'impresa che ha a cuore i problemi sociali ed ambientali, e che è capace di offrire un posto piacevole per mangiare. I bambini, che naturalmente si trascinano dietro i genitori, sono attratti dalla promessa di giocattoli e altri aggeggi. Ma dietro la facciata sorridente della pubblicità si nasconde un'altra realtà: l'unico interesse di McDonald's è di far quattrini, di guadagnare in tutti i modi possibili come fa ogni altra multinazionale. Nei rapporti annuali di McDonald's si parla di "dominio globale", un'espressione militaresca per dire che l'obiettivo di McDonald's è di essere presente in ogni angolo della terra. Ma se ciò avvenisse sarebbe un guaio per tutti perché avremmo comportamenti uniformati, minori spazi di scelta e un indebolimento delle comunità locali.

CIBO NON SALUTARE - McDonald's cerca di far credere che il cibo servito nei suoi fast-food è un cibo salutare; in realtà danneggia la salute perché è ricco di grassi, zucchero e sale, mentre è povero di fibre e vitamine. Una dieta del genere favorisce l'insorgenza di problemi cardiaci, del cancro, del diabete e di altre malattie. I cibi serviti da McDonald's contengono anche molti additivi chimici, alcuni dei quali possono causare disturbi organici e irrequietezza nei bambini. Non bisogna poi dimenticare che il consumo di carne costituisce una delle principali cause di intossicazione alimentare. Nel '91 McDonald's è stato responsabile di un caso di intossicazione alimentare in Gran Bretagna che ha causato seri danni renali a diverse persone. Infine va detto che i moderni sistemi di allevamento intensivo, basati su metodi innaturali e sull'utilizzo di foraggi pieni di residui chimici, costituiscono un ulteriore rischio per la salute delle persone.

SFRUTTAMENTO DEL LAVORO -  Nell'industria dei fast-food i salari sono bassi e gli straordinari non sono pagati in maniera regolare. La ricerca di profitti sempre più alti e di costi sempre più bassi spinge McDonald's ad impiegare poco personale che è costretto a lavorare più in fretta. Per questo gli incidenti (per lo più ustioni) sono molto frequenti. La maggior parte dei dipendenti di McDonad's è gente con poche scelte di lavoro e per questo è costretta a subire ogni angheria mantenendo il sorriso sempre stampato sulla faccia. Non sorprende quindi che alla McDonald's ci sia un grande ricambio di personale. Questo fatto rende impossibile l'organizzazione di un sindacato e l'avvio di lotte per migliori condizioni di lavoro. Naturalmente ciò fa un enorme piacere a McDonald's che è sempre stato contrario ai sindacati. L'insensibilità di McDonald's per i diritti dei lavoratori è confermata anche dagli abusi a cui sono sottoposti i lavoratori cinesi e vietnamiti che producono i suoi omaggi ai clienti.

FURTI AI DANNI DEI POVERI - Nei paesi poveri, vasti appezzamenti di terreno sono utilizzati per la coltivazione di prodotti per l'esportazione, per l'allevamento di bestiame e per la coltivazione di granaglie da dare in pasto agli animali; che dovranno essere mangiati nelle nazioni ricche. Tutto ciò avviene a spese dei bisogni alimentari delle popolazioni locali. Pubblicizzando la carne McDonald's induce la gente a consumare sempre di più e ciò aggrava lo spreco di preziose derrate alimentari. Bisogna infatti ricordarsi che ci vogliono sette milioni di tonnellate di granaglie per produrne una di carne. Se adottassimo tutti una dieta vegetariana e se la proprietà della terra fosse distribuita equamente, quasi tutte le regioni del mondo potrebbero raggiungere l'autosufficienza alimentare.

DANNI AMBIENTALI - Le foreste del pianeta - indispensabili per ogni forma di vita - sono distrutte ad un ritmo spaventoso dalle multinazionali. Alla fine McDonald's è stata costretta ad ammettere di avere utilizzato bovini che avevano pascolato su terre che prima erano coperte a foreste tropicali, impedendo di fatto la loro rigenerazione. Inoltre l'allevamento del bestiame, da parte delle multinazionali e dei loro fornitori ha costretto le popolazioni locali a spostarsi in altre zone e ad abbattere altri alberi. McDonald's è il più grande trasformatore di carne bovina del mondo. Il metano emesso dal bestiame allevato per l'industria della carne è uno dei principali responsabili dell'effetto serra. La moderna agricoltura di tipo intensivo utilizza molte sostanza chimiche dannose per l'ambiente. ogni anno McDonald's usa migliaia di tonnellate di imballaggi inutili, la gran parte dei quali finisce per strada e nelle discariche come inquinanti.

SOFFERENZA DEGLI ANIMALI - I menù utilizzati nell'interno dei fast-food si basano sullo sterminio di milioni di animali, gran parte dei quali è allevata in maniera intensiva senza avere mai la possibilità di uscire all'aperto, di farsi scaldare da un raggio di sole, di muoversi. I metodi con cui sono uccisi sono barbari. La "macellazione dal volto umano" è una balla. Noi possiamo scegliere se mangiare o non mangiare carne, ma i miliardi di animali massacrati ogni anno per produrre cibo per l'uomo non hanno scelta.

CENSURE E MCQUERELE - McDonald's è stata criticata da tanta gente e da molte organizzazioni su vari temi. A metà degli anni '80 il gruppo inglese London Greenpeace raccolse tutte le critiche che erano state mosse e organizzò una giornata mondiale di resistenza contro McDonald's. Questa giornata di protesta si ripete ogni anno il 16 di Ottobre con picchettaggi e dimostrazioni davanti a tutti i fast-food di McDonald's. Attraverso la via legale, McDonald's sta tentando di ridurre al silenzio tutti i suoi oppositori. Molte persone querelate sono state costrette ad arrendersi perché non avevano denaro per affrontare un processo. Ma Helen Still e Dave Morris, due membri del London Greenpeace, hanno deciso di andare fino in fondo e poiché la legge britannica non prevede avvocato d'ufficio nei processi per diffamazione, Helen e Dave si sono difesi da soli. McDonald's ha tentato di tenere nascosti i fatti rifiutando di fornire montagne di documenti importanti. Ma nonostante tutto tramasse contro di loro, Helen e Dave sono riusciti a rovesciare la situazione trasformando il processo in un atto d'accusa contro McDonald's. Pertanto la protesta contro questo gigante, che ha un fatturato annuo di 51 miliardi di lire, continua. E' importante non soccombere di fronte alle intimidazioni per difendere il nostro diritto di parola.

COSA FARE - Insieme possiamo combattere contro i potenti che dominano le nostre vite e il nostro pianeta. Così potremo costruire una società migliore e senza sfruttamento. I lavoratori possono e devono organizzarsi per difendere i loro diritti e la loro dignità. La gente è sempre più consapevole di dover scegliere minuziosamente ciò che si mangia. Nei paesi del Sud del mondo si stanno organizzando per resistere alle multinazionali e alle banche che dominano l'economia mondiale. In tutto il mondo sta crescendo il movimento di persone che organizzano campagne a difesa dell'ambiente e dei diritti degli animali. Perché non ti unisci anche tu alla lotta per un mondo migliore”?[119]

Il McDonald’s di ieri decisamente non assomigliava a quello che ci raccontano oggi. Resta da vedere se lo scarto è reale o solo nella comunicazione.


Il Mc marketing

 

A proposito dell’offerta alimentare per i bambini e dei giochi in regalo, oggetto di accusa del primo punto del vecchio volantino, nell'ormai lontano 1996, il giudice stabilì che "... In merito alle accuse che McDonald's sfrutta i bambini usandoli, come più influenzabile oggetto della pubblicità, per spingere i loro genitori a portarli da McDonald's, esse sono giustificate. Ciò è vero". [120]

Mentre oggi, sul portale informativo di McDonald's, si può leggere che "In riferimento ai giochi in regalo con l'Happy Meal, per i quali spesso veniamo criticati, possiamo rispondere con i riscontri che riceviamo ogni giorno dai nostri clienti: genitori e famiglie trovano il gioco una parte importante dell'esperienza di divertimento offerta da McDonald's.  Il gioco - la cui sicurezza è garantita da un ente terzo certificatore come Eurofin - rappresenta un momento ludico, che inizia da McDonald's e prosegue a casa. McDonald's crede nella libertà di scelta dei propri clienti e ritiene che i genitori, in particolare, siano persone attente e consapevoli e vogliano poter prendere personalmente le decisioni che riguardano la loro famiglia e i loro figli. In particolare, i genitori portano i loro bambini da McDonald's perché trovano un menu pensato apposta per i più piccoli, perché i ristoranti sono divertenti e colorati, perché possono giocare in tutta libertà nella Playland, l'area gioco a loro dedicata e, dove disponibili, nelle moderne Gym&Fun, le palestre con giochi e attrezzature sportive avanzate".[121]

Sembra pubblicità ma è il pensiero liberale di McDonald's. Sembra una pubblicità perché, invece di recepire il concetto che un bambino vada tutelato anche dal possibile condizionamento della pubblicità, al benefit per i bambini, aggiunge anche il benefit per gli adulti. Sembra pubblicità perché McDonald's è un'impresa, e la pubblicità è il linguaggio naturale delle imprese, le quali sono vocate a vendere i loro prodotti vantandone le qualità.

In un'intervista del 2011 al Financial Times, l’amministratore delegato di McDonald’s, Jim Skinner, attacca i critici del menù per bambini Happy Meal, definendoli come una “polizia del cibo”, che vuole limitare il diritto dei genitori ad assumere decisioni per le proprie famiglie.

Quella di Skinner è una reazione all'ordinanza, approvata dalla Contea di Santa Clara, in California, il 2 settembre dello stesso anno, che vieta di allegare giochi per bambini a menù insalubri, ipercalorici, ricchi di grassi, sale e zuccheri. In risposta all’ordinanza, Skinner afferma che McDonald’s continuerà a vendere gli Happy Meal sino all'entrata in vigore del divieto, nel dicembre del 2011.

Due giorni dopo l’intervista, una mamma californiana di due bambine di sei e due anni, assistita dal Center for Science in the Public Interest (CSPI), annuncia l’avvio di una class action, finalizzata a interrompere l’utilizzo di giocattoli, da parte di McDonald’s, perché costituiscono un metodo di vendita rivolto direttamente ai bambini piccoli.

Secondo i dati forniti dal CSPI, riportati dal Financial Times, nel 2006 le compagnie di fast-food, con McDonald’s in testa, hanno speso oltre 520 milioni di dollari in pubblicità e giocattoli per vendere i menù per bambini. I giocattoli premio hanno rappresentato più di due terzi di tale spesa, con oltre 350 milioni di dollari.[122]

Nel gennaio 2008 McDonald’s aveva dovuto abbandonare sponsorizzazione delle buste contenenti le pagelle degli alunni delle scuole elementari della contea di Seminole, in Florida. Agli studenti con buoni voti veniva offerto gratis un Happy Meal. Il caso era stato sollevato nel dicembre del 2007 dalla Campaign for a Commercial-Free Childhood (CCFC) su segnalazione della mamma di un alunno e aveva avuto ampia risonanza negli Stati Uniti e all’estero.

La sponsorizzazione era accusata di violare l’impegno recentemente assunto dalla compagnia di non fare pubblicità diretta ai bambini delle elementari, per contrastare il diffondersi dell’obesità tra i giovani. L’iniziativa era anche contestata perché, bypassando i genitori, vanificava i loro sforzi educativi volti ad una alimentazione sana, facendoli spesso entrare in conflitto con i propri figli.[123]

Il marketing di McDonald’s è pervasivo: tutti gli esercizi hanno una connessione wi-fi a disposizione di chi volesse navigare sul web, e sui telefoni cellulari con piattaforma Apple e Android (i cosiddetti smartphones) è possibile installare una applicazione che consente di calcolare le calorie e di individuare l'esercizio McDonald's più vicino all'utilizzatore.[124]

Proprio al marketing  del “junk food (cibo spazzatura)” sembrerebbe però essere strettamente correlato l'aumento dell’obesità infantile. Secondo il parere dell'Institute of Medicine, una organizzazione indipendente non profit che negli Stati Uniti "lavora fuori dal governo per "offrire consigli imparziale e autorevoli ai decision makers e al pubblico", il consumo di junk food da parte dei bambini è direttamente proporzionale all’intensità della pubblicità. Dagli studi condotti si evincerebbe come, a partire dai 2 anni di età, i bambini americani ricordino già il nome dei prodotti e manifestino una preferenza per gli spot del junk food.[125]


Il Mc Job

 

Nel mondo dorato del marketing anche lavorare da McDonald’s è una condizione privilegiata. Sul sito italiano di McDonald's si può leggere che: "Primo canale di inserimento nel mondo del lavoro o scelta definitiva per la carriera, McDonald's offre a tutti l'opportunità di scoprire il proprio talento e di farlo crescere sempre più". [126]

Questo nel mondo della comunicazione generata dall'azienda. Nel mondo reale invece funziona così: quando un inglese o un americano vuol dire a qualcuno che ha un pessimo impiego, può dire di avere un "Mc job"; tutti lo capiscono e lui può evitare di pronunciare la parola merda. Capiscono tutti perché il termine "Mc job" è stato recepito ormai da molti anni (dal 1986 circa) niente poco di meno che dall'Oxford English Dictionary, la cui definizione è: "Un lavoro non stimolante, sottopagato, senza prospettive, specialmente nel settore",[127] un "lavoro di merda", insomma. La pubblicità pervasiva si è scontrata con l'informazione, che si può esprimere efficacemente con la stessa lingua della prima. "Mc job" è uno slang, un claim ideale; e suona meglio di "dead-end job" (slang che descrive un lavoro privo di possibilità di avanzamento).

Mc Donald's ritiene che la definizione sia "antiquata e inappropriata". Nel marzo del 2007 la BBC ha annunciato che la compagnia ha pianificato nel Regno Unito una campagna con tanto di petizione per cambiare quella definizione. Lo slogan era: "Cambia la definizione, firma la petizione"; ma l’iniziativa finiva nel nulla. [128] Mc Donald's ha anche provato a rivendicare la paternità del termine, che avrebbe usato nel 1981 per chiamare un "seminario formativo organizzato per il pieno coinvolgimento dei propri Collaboratori disabili".[129]

Mentre a proposito del "Mc lavoro" nelle sue declinazioni reali, nell'agosto del 2009 la denuncia di un lavoratore ventunenne dell’Arkansas crea qualche problema di reputazione alla compagnia.

Il ragazzo era intervenuto mentre era in servizio per fermare il comportamento violento di un uomo nei confronti della moglie, che stava maltrattando fisicamente, alla presenza dei due figli piccoli. Nigel Haskett, definito “un eroe” dal giudice che ha trattato il caso, è stato poi percosso nel parcheggio dall'uomo che aveva neutralizzato all'interno del fast food, ricoverato in ospedale e sottoposto a tre operazioni addominali.

La denuncia è scattata dopo il rifiuto, da parte dell'assicurazione della compagnia, a rimborsare gli oltre 300.000 dollari di spese mediche sostenute dal ragazzo. Il rifiuto di McDonald’s era motivato dal fatto che le lesioni subite non erano avvenute durante lo svolgimento delle sue normali mansioni lavorative.

Il fatto però è stato ripreso dalle telecamere di sorveglianza di McDonald’s, che ne ha immediatamente bloccato la diffusione su YouTube, in nome del diritto d’autore. Il filmato è stato poi trasmesso da una televisione locale e pubblicato nuovamente su YouTube[130], dove McDonald’s non ha più potuto esercitare la censura, essendo il video proveniente da un mezzo d’informazione.

Il caso è stato in seguito ripreso anche dai media nazionali e il proprietario del ristorante McDonald’s di Little Rock ha dichiarato che se Haskett non avesse avuto soddisfazione da McDonald’s, gli avrebbe rimborsato le spese mediche di tasca propria.[131]

Proprio mentre McDonald's sta lanciando la petizione che contesta la definizione di McJob dell’Oxford English Dictionary, due articoli sul China Daily e sul People’s Day accusano la compagnia, assieme ad altre due catene di fast food americane, KFC e Pizza Hut, di sottopagare i propri dipendenti part-time in Cina.

La prima segnalazione delle irregolarità è riportata dal New Express, un giornale locale di Guangzhou, secondo cui i circa 3.000 lavoratori coinvolti, per il 70% studenti, ricevevano una paga fino al 40% inferiore al minimo stabilito per legge. Il 3 aprile 2007, un’indagine disposta dalle autorità locali e dal sindacato unico All-China Federation of Trade Unions (ACFTU) conferma le accuse della stampa e alle tre compagnie viene intimato di regolarizzare i salari e di pagare gli arretrati non corrisposti, pena una denuncia formale.

Sulla stampa, le tre catene di fast food sono anche accusate di costringere i dipendenti part-time a lavorare oltre il limite massimo, stabilito in cinque ore, senza contratto, assicurazione contro gli incidenti e ferie. Secondo il China Daily, in Cina, al marzo 2007, McDonald’s aveva 790 ristoranti, con circa 50.000 dipendenti. [132]

Dal 1° settembre 2007, McDonald’s ha comincia ad aumentare i salari dei suoi dipendenti in Cina per un importo che va tra il 12 e il 56 per cento in più. [133]

Sempre nel periodo della campagna “Not bad for a McJob (Non male per un McJob)", che contemplava l'affissione, in tutti i 1.200 ristoranti britannici, di poster in cui venivano indicate le prospettive e la flessibilità offerte dal Mc lavoro,[134] in Italia,la Corte d'Appello di Catanzaro confermava la pronuncia di primo grado del tribunale di Cosenza, che ha riconosciuto la responsabilità penale del gestore del McDonald's di Rende (Cs), per violazione delle norme di prevenzione degli infortuni sul lavoro.

Questa sentenza negava di fatto lo stato di sicurezza di tutti i Mc lavoratori poiché non condannava un comportamento che si è discostato da quello vigente nei ristoranti McDonald’s, bensì lo schema di lavoro adottato dalla compagnia, ritenuto a rischio per la sicurezza dei dipendenti.

La vicenda giudiziaria seguiva un incidente occorso ad una giovane impiegata mentre trasportava un blocco metallico contenente olio di frittura, che doveva filtrare. Il peso del blocco era di circa 25 chili e la temperatura dell'olio di 160 gradi. L'impiegata, a cui il contenitore stava scivolando, nel tentativo di evitare un danno, ha stretto a sé il blocco metallico bollente con il risultato di un trauma al seno con rischio di danni permanenti alla capacità di allattamento.

Le argomentazioni della difesa si reggevano sulla consuetudine delle procedure dell'organizzazione McDonald's, secondo le quali le mansioni dei ragazzi della "crew" sarebbero indifferenziate, dovendosi occupare degli scontrini alla cassa, della preparazione dei cibi, del filtraggio dell'olio e delle pulizie.

Un articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore del 24 marzo 2006 riportava in calce anche lo stralcio della sentenza emessa dalla Corte d’Appello, nella quale si può tuttora leggere che “la ordinaria diligenza avrebbe permesso di evitare l'incidente”. Sarebbe bastato, continua la sentenza, che il manager del McDonald's avesse previsto “il divieto di effettuare le operazioni a macchina calda, o l'imposizione dell'uso di guanti personalizzati, o la predisposizione di filtri muniti di manici più facilmente apprensibili”.  In sede di processo il magistrato sottolineava anche come la dipendente fosse formalmente addetta alla cassa ma era «prassi più che consolidata» che operazioni come quella del filtraggio dell'olio «fossero, di fatto, compiute da tutti i dipendenti, sulla base della regola non scritta della intercambiabilità», che il tribunale d'appello non ha accettato, "supportando ampiamente l'originario giudizio di responsabilità" emesso dal tribunale di Cosenza.[135]

Il 10 Maggio 2006, Eric Schlosser, giornalista ed autore del best sellers Fast Food Nation, e Charles Wilson, giornalista free-lance per le maggiori testate americane, pubblicano un libro intitolato "Chew on This. Everything You Don't Want to Know About Fast Food (Ruminaci sopra, Tutto quello che non vuoi sapere sul fast food)", un atto d'accusa a molti aspetti della multinazionale degli hamburger, tra cui le strategie di marketing rivolte ai bambini e il Mc lavoro. [136] La recensione del libro, ad opera di Book List, rivista della prestigiosa American Library Association, termina così: "Readers may not lose their appetites for McFood from this compelling study, but they will definitely come away less eager to get a McJob (I lettori potrebbero non perdere i loro appetiti per il McCibo a causa di questo studio irresistibile, ma essi certamente diverranno meno ansiosi di trovare un McJob)".[137]

Sempre a proposito del lavoro da Mc Donald’s, è doveroso citare l'articolo uscito su L'unità del 22 ottobre 2005, intitolato "McDonald's: uno scontrino ogni 40 secondi", che conteneva l'intervista ad una lavoratrice di un fast food romano.

L'articolo cominciava riportando il detto secondo cui "gli addetti Mc Donald’s di lunga data sono facilmente riconoscibili dalle facce: belle o simpatiche che siano, dimostrano sempre qualche anno in più dell’età effettiva" e ospitava i racconti di una dipendente di un ristorante di Cinecittà, che lamentava di avere "le braccia ustionate dappertutto dagli schizzi di olio bollente" e di essersi "ammalata di cervicale a soli trent’anni per l’aria condizionata altissima che c’è sempre in cucina". La temperatura della cucina deve essere bassa per attutire l’odore di fritto; la dipendente e i suoi colleghi si sarebbero finti clienti e avrebbero mandato una lettera di reclamo alla sede centrale, ma nessun risultato.

La donna continuava affermando che "Il timer suona ogni minuto e ci si abbassa l’udito, solleviamo le latte di olio da 25 litri e ci si schiacciano le vertebre, corriamo in continuazione da una postazione all’altra e, sotto le continue pressioni del manager che ci sta con il fiato sul collo, ci ammaliamo di nervi. È davvero un lavoro troppo pesante per farlo nel lungo periodo: purtroppo devo mantenere mio figlio e agli 800 euro di stipendio (part-time più assegni familiari) non posso rinunciare". L'articolo terminava con il racconto di un fatto emblematico dei ritmi a cui sarebbero sottoposti i lavoratori: "Quattro mesi fa si è incendiata una friggitrice, sono venuti i pompieri con gli estintori a spegnere le fiamme che hanno dichiarato inagibile la cucina per almeno 24 ore. Noi dopo tre abbiamo riaperto. La pancetta sapeva di polvere anti-incendio e l’abbiamo dovuta buttare via per due volte prima che tornasse al suo sapore normale».[138]


Il Mc food

 

Nell'universo colorato di McDonald’s, fatto di gadget, Gym&Fun, apps, young adults e trend setter, il cibo è il prodotto.  E' qui che si gioca il cambiamento vero, quello più tangibile per il consumatore.

McDonald's dichiara la qualità dei suoi prodotti garantendo la provenienza dei fornitori, la tracciabilità dei prodotti e la territorialità degli ingredienti, "punti cardine attraverso i quali McDonald’s parla ai consumatori italiani". [139]

Parla di qualità del cibo anche attraverso un "calcolatore nutrizionale", presente in uno dei siti web della compagnia, grazie al quale possibile sommare l'apporto calorico dei diversi prodotti scelti per il proprio mc menu e metterli in rapporto con il proprio GDA (Guideline Daily Amounts, Valori giornalieri di riferimento).[140]

L'igiene è garantito da "70 controlli giornalieri" e durante tutto l’anno è possibile visitare le cucine McDonald’s "semplicemente prenotandosi presso i ristoranti o via internet grazie all’Operazione Cucine Aperte". [141]

Fuori dalla comunicazione pubblicitaria invece, nel mondo reale, il cosiddetto cibo da fast food, con i panini, le patatine fritte e le bibite, non gode di per sé di buona reputazione.

L’indagine “Okkio alla Salute”, a cura del Ministero della Salute, ha rilevato che in Italia più di un bambino su tre (di età compresa tra i 8 e i 9 anni) pesa troppo: il 22,9% dei bambini misurati è risultato in sovrappeso e l’11,1% in condizioni di obesità. "Estrapolando le stime all’intera popolazione di alunni della scuola primaria, il numero di bambini in eccesso ponderale sarebbe pari a circa 1 milione e centomila, di cui quasi 400 mila obesi".

I 42.155 questionari compilati dai genitori confermano la grande diffusione tra i bambini di "abitudini alimentari che non favoriscono una crescita armonica e che predispongono all’aumento di peso". Il 48% dei bambini in sovrappeso consuma quotidianamente bevande zuccherate o gassate.[142]

Nei menù di tutti i fast food del Mondo, l’impasto utilizzato per i panini contiene zucchero e l'alimento più usato per imbottirli è la carne, al consumo elevato della quale si attribuiscono diverse malattie, tra cui proprio l'obesità.  Agli zuccheri d’impasto e alle grandi quantità di proteine e grassi contenuti nella carne dei panini si aggiungono zuccheri e grassi delle salse da condimento, delle patatine fritte, abbondantemente addizionate di sale e delle bibite (composte di acqua con l'aggiunta di anidride carbonica, coloranti, zucchero o edulcoranti artificiali, additivi e acido fosforico).

Le patatine da fast food sono "croccanti fuori e morbide dentro"; per ottenere questa consistenza, si usano grassi di origine vegetale, ma molto ricchi di grassi saturi come gli oli di palma e di cocco.

E' opinione diffusa che Il consumo eccessivo di questo tipo di alimenti rappresenti la prima causa di sovrappeso e obesità. Opinione contrastante, quella del Ceo inglese di McDonald's Steve Easterbrook, che nel 2008 argomenta accusando i videogame: secondo lui le cause dell'obesità infantile sarebbero da ricercarsi nella sedentarietà dei videogiochi.[143]

Le critiche al cibo di McDonald's non si esauriscono con le accuse di favorire l'obesità. Nel cibo a lunga conservazione servito nei fast food ci sono anche gli additivi.

In Europa sono permessi più di 300 additivi alimentari, dai coloranti naturali e artificiali fino agli esaltatori di sapidità (con la sigla da E620 a E640), come il glutammato e l'aspartame, eccitotossine presenti in quasi tutti gli alimenti da fast food, e accusate da molti di essere tossiche.[144]

Dopo la Food Standards Agency britannica, che ha chiesto al governo di premere sui produttori, affinché eliminino volontariamente sei coloranti artificiali utilizzati in cibi, dolciumi e bevande, perché sospetti di essere causa di fenomeni d’iperattività e di diminuzione d’attenzione nei bambini, lo statunitense Center for Science in the Public Interest ha inviato una petizione alla Food and Drug Administration, chiedendo la messa al bando di otto coloranti. [Red 40 (E129), Yellow 5 (E102), Blue 1 (E133), Blue 2 (E132), Green 3 (E143), Red 3 (E127), Yellow 6 (E110), Orange B]

Secondo il CISPI, “l’utilizzo continuato di questi coloranti artificiali non necessari è il vergognoso segreto dell’industria alimentare e delle autorità regolatorie, incaricate di vigilare su di essa”. [145]

L’organizzazione statunitense accusa anche il doppio standard adottato da alcune aziende come McDonald’s, che vendono gli stessi prodotti utilizzando coloranti naturali in Europa e coloranti artificiali in America.

In seguito ad una ricerca pubblicata dalla rivista Lancet nel settembre 2007, realizzata da scienziati dell’Università di Southampton per conto della governativa Food Standards Agency, che metteva in correlazione alcuni mix di coloranti all'iperattività infantile, anche il premier britannico Gordon Brown ha propugnato un divieto europeo dei coloranti sotto accusa. [146]

Sull'argomento il Financial Times sollecita i produttori ad agire autonomamente, in modo volontario e in tempi brevi, senza attendere i tempi burocratici delle decisioni comunitarie. "Le alternative naturali ai coloranti artificiali sono disponibili, chi non procederà si troverà svantaggiato sul mercato". [147]

La reazione della Food and Drink Federation (FDF), associazione che rappresenta gli interessi di alcuni marchi della ristorazione, fra cui McDonald's, va in una direzione diversa, sostenendo che la ricerca dell’Università di Southampton indica che “non c’è un problema di sicurezza nell’uso di questi additivi”. Con un comunicato del settembre 2007, la FDF afferma che i test sono stati condotti utilizzando un mix di coloranti che non viene utilizzato negli attuali prodotti ma che terrà comunque conto delle preoccupazioni dei consumatori e che continuerà nella linea di ridurre l’utilizzo di questi additivi.[148]

Nel cibo da fast food sarebbe presente anche un'altra sostanza, in un certo qual modo naturale, accusata di essere cancerogena: l'Acrilamide, una sostanza chimica prodotta dai cibi ricchi di carboidrati, quali le patatine fritte, quando vengono portati a temperature elevate.

La catena di fast food statunitense KFC ha patteggiato, nel 2007, la chiusura della causa che vedeva la compagnia accusata, insieme ad altre otto tra cui McDonald's, di vendere patatine fritte cancerogene senza avvertire i consumatori, in violazione di una legge statale. Per evitare il processo, KFC ha accettato di avvertire i consumatori californiani, ma solo quelli, e di pagare una multa di 208.000 dollari. In sede di processo è stato accertato che una singola porzione di patatine fritte contiene acrilamide in quantità 82 volte maggiore a quella consentita nell’acqua potabile dai limiti stabiliti dall’Environmental Protection Agency.[149]

La sostanza giudicata a rischio di cancro contenuta nelle patatine, l’acrilamide, è stata studiata per la prima volta nel lontano 2002 e ad alti dosaggi sarebbe causa di cancro e danneggiamenti agli organi riproduttivi. [150]

Le Mc patatine avevano visto il loro annus horribilis nel 2006, quando McDonald’s ha rivelato per la prima volta che esse contengono due ingredienti allergenici tenuti sinora nascosti, il glutine e il latte. La contaminazione delle patatine con questi ingredienti allergenici avviene attraverso un aromatizzante contenuto nell’olio da cucina.[151]

Una nuova indicazione (“Contains wheat and milk ingredients”) viene aggiunta alla lista degli ingredienti dei menù ma il fatto provoca a McDonald’s una class action da parte di alcuni genitori di Miami.[152]

Nello stesso mese Il Financial Times rivelava che, secondo un nuovo metodo di analisi, le patatine fritte di McDonalds risultavano contenere acidi grassi trans in quantità di un terzo superiore a quanto sinora ritenuto: otto grammi in una confezione “large”, anziché i sei indicati sul proprio sito e sulle informazioni nutrizionali.

Acidi grassi trans e acidi grassi saturi causano un aumento del livello di colesterolo e sono contenuti nell’olio vegetale parzialmente idrogenato, procedimento al quale viene sottoposto per garantirne una maggiore durata.

La vicenda degli acidi grassi trans comincia in realtà nel settembre 2002, quando McDonald's annuncia pubblicamente che entro il febbraio successivo avrebbe ridotto la quantità di grassi trans e grassi saturi presente nei propri cibi, attraverso l’utilizzo di un olio più sano. Il 28 febbraio dell'anno successivo la compagnia emette un comunicato, annunciando uno slittamento dei tempi previsti per l’attuazione di quest’impegno.

Nell’ottobre 2003 due denunce accusano McDonald's di non aver adeguatamente informato i consumatori sul mancato passaggio ad un olio più sano, fatto contestato dalla compagnia.

Il 9 febbraio 2005, i due denuncianti e McDonald's raggiungono un accordo basato su una spesa di 1,5 milioni di dollari, da parte di McDonald's, per pubblicizzare il mancato rispetto dell’impegno pubblicizzato nel settembre 2002 e sull'impegno a versare 7 milioni di dollari all’American Hearth Association, per attività informative e educative sui rischi dei grassi trans.[153]

Finalmente, nel 2007, con quattro anni di ritardo rispetto agli impegni presi, McDonald’s annuncia di avere individuato l’olio sostitutivo di quello parzialmente idrogenato, che nella cottura genera gli acidi grassi trans.

Il nuovo olio è una miscela di olio canola e olio di semi di mais, prodotto da Cargill, una multinazionale del settore alimentare. L’olio canola, che sta per “Canadian oil”, è ottenuto da olio di colza geneticamente modificata. Negli Stati Uniti, questo fatto non viene segnalato nei prodotti, perché la legge statunitense non lo richiede.

Nell'annuncio si dice che i ristoranti europei del gruppo dovrebbero sostituire l’olio parzialmente idrogenato con uno ancora da definire tra la fine dell'anno corrente e l’inizio del successivo, cominciando da Svezia, Norvegia e Finlandia.[154]

Oggi, nel novembre 2012, l'olio usato in Italia è olio vegetale, al 70% di girasole e al 30% di colza.[155]

L'olio di colza, come quello di semi di cotone e quello di ricino, deve subire una lavorazione che lo renda adatto all'alimentazione umana. [156] Comunemente utilizzato come lubrificante in campo meccanico, sarebbe poco adatto all'uso alimentare a causa dell'alta concentrazione di acido erucico, un acido grasso che per la sua tossicità è fortemente limitato per legge, con un limite massimo tollerato del 5% nei grassi alimentari.[157] L’olio di canola usato per friggere le patatine americane contiene una colza transgenica proprio per la possibilità di abbassare il contenuto di acido erucico nella qualità geneticamente modificata.

L'olio è un ingrediente chiave per una catena di fast food e come tale va massimizzato. ecco il motivo di tante sperimentazioni, il motore dell'odissea delle patatine.

L'elemento spiacevole, e poco etico, è il ruolo quasi antagonistico che la compagnia gioca nel rapporto con il consumatore quando si tratta di definire la qualità del prodotto. Compiere errori fa parte dell'umano agire, ma talvolta si ha l'impressione che vi si aggiungano elementi di menzogna e di inganno. Come quando, dopo anni di pubblicità a suon di "Le nostre patatine sono fritte solo in oli vegetali", un avvocato vegetariano di origine indiana, Haris Bharti, intenta e vince una causa contro la multinazionale, dimostrando che quella campagna era falsa perché le patatine sono pre-fritte con estratti di oli di manzo.

"Non siamo così grandi da non poterci scusare" è stata la risposta di McDonald's, mentre poco dopo l'esito del processo nel 2001, a Bombay, circa 500 persone distruggevano un fast food al grido di slogan come "We want computer chips, not potatoes chips" e "l'India è una nazione, non è un mercato".[158]  In india, per religione e per filosofia, la maggior parte delle persone si astiene dal cibarsi della benché minima sostanza che abbia a che fare con l'animale sacro in quel paese, la mucca. Un peccato di empatia della multinazionale nei confronti di circa un miliardo di potenziali consumatori.


I Mc fornitori: Cremonini-Inalca

 

In accordo con quanto stabilito dalle buone pratiche di RSI, riguardo al meccanismo di scegliere partners commerciali altrettanto responsabili, McDonald's afferma che: "Garantirvi alimenti sicuri e di qualità significa collaborare solo con fornitori che selezionano le loro migliori materie prime, rispondono a severi requisiti di igiene e sicurezza lungo tutta la filiera alimentare e si attengono a rigide e consolidate procedure di produzione, preparazione e distribuzione dei prodotti. La scelta dei partner è molto rigorosa e il numero delle aziende con cui è possibile collaborare, in questo modo, viene a ridursi notevolmente ma la certezza di offrirvi sempre il meglio dipende proprio dalla capacità di instaurare rapporti continuativi con persone di fiducia, che condividono i nostri valori e il nostro metodo di lavoro". [159]

Dunque, per l'approvvigionamento di materia prima di origine bovina, "Dal 1996 McDonald's si affida a Inalca, società del Gruppo Cremonini, principale produttore italiano di hamburger. Un partner selezionato per la lunga esperienza nella produzione di carne, la competenza e l'italianità. Gli hamburger sono di origine bovina, proveniente da 15.000 allevamenti nazionali".[160]

Anche se, a seguito di quest'ultima affermazione di McDonald's, si potrebbe pensare che il prodotto animale nasca nell'azienda, in realtà Cremonini la carne non la produce ma la lavora; almeno se per carne si intende l'animale che la fornisce. Cremonini non possiede infatti nessun allevamento: il gruppo acquista i capi di bestiame da aziende terze, il nome delle quali non è dato conoscere pubblicamente, che poi fa macellare e lavorare nei propri stabilimenti.

Nato nel 1963, il Gruppo Cremonini è oggi uno dei più importanti operatori nel settore alimentare in Italia e in Europa. In Italia opera attraverso diverse società, tra le quali Inalca, Montana, Marr e Rodhouse Grill Italia.[161] L'attività principale del gruppo, che consiste nella lavorazione di carni bovine e suine, avviene attraverso la società Inalca. La sua struttura produttiva è costituita da dieci stabilimenti specializzati per linee di lavorazione, di cui sei sono dedicati a macellazione, disosso, trasformazione e confezionamento delle carni, e altri  quattro a confezionamento e logistica.[162]

McDonald's dichiara che nel 2011 Inalca gli ha fornito 11.000 tonnellate di hamburger.

I rapporti tra i due attori economici nascono a metà degli anni novanta, quando Cremonini cede a McDonald's la catena di fast food Burghy, in cambio della concessione di fornire la carne bovina ai fast food del gruppo americano in Italia.

Anche il gruppo Cremonini, come McDonald's, dichiara formalmente di abbracciare la responsabilità sociale d'impresa. In una pagina del suo sito web sono pubblicate le "10 regole della responsabilità sociale per Cremonini", una lista di requisiti, valori, impegni e buone prassi che "impegnano e coinvolgono tutti i settori aziendali".

Fra questi vi è la valutazione degli impatti ambientali, "reali o ipotizzabili, che sono o possono essere causati dai processi produttivi e da tutte le attività industriali del Gruppo".[163]

L'impegno nella direzione della salvaguardia ambientale sarebbe perseguito attraverso l’efficienza energetica e l’autoproduzione di energia, il miglioramento del ciclo di vita dei prodotti, l’utilizzo delle fonti rinnovabili e il recupero di scarti e sottoprodotti.[164]

E in effetti, la struttura di Ospedaletto Lodigiano, realizzato dalla controllata Inalca, è destinata alla produzione di energia da fonti rinnovabili, costituite principalmente dalle biomasse e dai sottoprodotti della macellazione dei bovini.[165]

La scelta di vantare risultati nella salvaguardia ambientale è quantomeno curiosa, se si considera l'entità del degrado ambientale provocato dalla produzione di carne, oggetto di analisi nel capitolo successivo, ma rappresenta comunque un impegno reale dell'azienda. Del resto anche McDonald's, che ha fra le accuse più ricorrenti quella di diffondere cibi che provocano malattie, ha scelto di spendere la sua charity proprio nella costruzione di alloggi per famiglie di degenti.

Ad essere completi (e a completare anche il controsenso, qualora fosse vero che la carne faccia male tout court, come sempre più numerose ricerche, anch'esse trattate più avanti, sostengono), il gruppo Cremonini è impegnato anche nel "promuovere e incoraggiare la ricerca nell’alimentazione", attraverso l'assegnazione di un premio, dell'ammontare di 150.000 euro, destinato a "sostenere giovani ricercatori italiani". [166]

La responsabilità sociale di un’impresa però, non si può misurare né dalle dichiarazioni, né dalle iniziative caritatevoli (che rappresentano comunque azioni di marketing a sfondo sociale), ma solo dal reale impegno proferito nel confronto con i propri stakeholder interni ed esterni, nel rendere misurabile e rendicontabile il proprio impegno verso i lavoratori, verso la comunità e verso l’ambiente. Nei fatti insomma.

Mentre sul sito di Cremonini, pur trovandovi spazio informazioni sugli assetti proprietari e sui risultati economici, non c'è la benché minima traccia di bilanci sociali e ambientali.


Il re della bistecca

 

In quanto alla percezione dell'azienda da parte del pubblico, la reputazione di Cremonini ha subito un danno molto grave nel 2005, anno in cui su rai3 esce una puntata di Report dal titolo "Il re della bistecca".[167]

Il protagonista della puntata, ovvero il re della bistecca, è Luigi Cremonini. Tutta la storia, dall'inizio alla fine, è una storia di mancata corrispondenza tra le visioni della realtà dei diversi attori che la mettono in scena. Realtà contrastanti che, proprio per la loro netta inconciliabilità, dimostrano necessariamente la mala fede di uno degli attori.

L'inchiesta è talmente complessa che non può essere compresa se non narrata quasi passo passo. L'autrice, Sabrina Giannini, apre il pezzo allo stabilimento Inalca di Rieti, dove 108 persone sono a rischio licenziamento, domandando al Presidente Inalca Paolo Boni il perché un'azienda florida come quella in cui lavora versi in condizioni di difficoltà. Il presidente dell'Inalca risponde che "Sono questioni di mercato. Purtroppo la carne manca", mentre un dipendente, intervistato subito dopo, afferma che la carne non è mai mancata, nemmeno ai tempi dell'allarme BSE,[168] fatto che avrebbe anzi rafforzato Cremonini, almeno nell'opinione di Matteo Simoni, operaio e sindacalista, per via della reperibilità di capi ad un prezzo minore. Lo stesso Simoni, a proposito del fatto che le scatolette a marchio Montana continuino ad essere prodotte regolarmente,  afferma che ultimamente "hanno trovato modo di reperire la materia prima per le scatolette direttamente dalla carne argentina, che arriva qui già disossata e precotta".

All'osservazione dell'autrice "Ma qui non vedo carne di manzo" viene risposto seccamente da una dipendente "No, per noi è troppo cara".

L'autrice afferma che, dello stabilimento, l'unico reparto che continua a lavorare è quello della carne in scatola, destinata principalmente ai paesi in via di sviluppo. Nel solo 2004 sarebbero state spedite più di 6.000 tonnellate di carne in scatola Texana e Bill beef.

In studio, la conduttrice della trasmissione Milena Gabanelli, informa i telespettatori del fatto che l'Italia esporti cibo in moltissimi paesi in via di sviluppo, come Russia, Pakistan, Birmania, Algeria e Angola, grazie ai contributi che l'Unione Europea ha deciso di dare alle aziende perché possano applicare prezzi concorrenziali nei paesi poveri del mondo. Quando L'italia esporta carne in scatola a cuba, deve applicare un prezzo adeguato al suo mercato, che è ovviamente più basso di quello nostrano. "La differenza", spiega la conduttrice, "la paga il contribuente".

La scena lascia lo studio e vengono trasmessi spezzoni di vecchi notiziari trasmessi dalla rai: il TG2 del dicembre 1999[169] riporta la notizia dell'arresto di un industriale della carne, tale Blangino, che secondo le indagini avrebbe fatto spedire frattaglie ai paesi africani per il commercio con i quali l'azienda riceveva incentivi dalla Cee; mentre l'argomento del TGR Emilia Romagna del maggio 1994[170] è l'arresto (il secondo subito) dei titolari della Beca Carni di Budrio, in provincia di Bologna, che, secondo la ricostruzione dei carabinieri del Nas e del Nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza di Bologna, avrebbero dirottato sul mercato inglese 1500 tonnellate di carne destinate dalla Cee ai mercati dell'ex Unione Sovietica, e inviato in Russia 447 tonnellate di scatolette contenenti carne di scarto.

La scena si sposta in provincia di Modena, a Castelvetro, e la voce fuori campo dell'autrice elenca qualche numero del cavaliere (del lavoro) della carne, primo macellatore d'Italia, uno dei primi d'Europa nella produzione di hamburger e macinati surgelati:  10.000 prodotti alimentari distibuiti (con il marchio Marr) a 30.000 clienti fra "hotel, ristoranti, pizzerie, villaggi turistici, mense, scuole, ospedali e istituzioni pubbliche", "numero uno in Italia nella ristorazione a bordo treno" (con il marchio Chef express), 5 case della bistecca (a marchio Roadhouse Grill), di cui una a Roma, mostrata nella trasmissione con i suoi interni stile texas, 3 aeroporti, 32 stazioni ferroviarie e 33 aree di ristoro nelle autostrade, serviti con punti di ristorazione e servizi di catering. Luigi Cremonini ha meritato una laurea honoris causa in veterinaria anche se, scherza l'autrice dell'inchiesta, "lui gli animali non li cura ma li appende al gancio. Per la precisione 2000 ogni giorno".

Poi la giornalista torna seria. Torna al 2000, quando il virus "della mucca pazza" allarma tutta Europa, e compaiono i primi casi di uomini colpiti dal morbo in Francia. Crollano i consumi di carne bovina e il cavaliere Cremonini appare alla trasmissione "Porta a porta",[171] condotta da Bruno vespa, per rassicurare gli italiani sulla sicurezza delle carni nostrane.

"L'Italia non ha mai importato farine zootecniche inglesi, mai", afferma davanti alle telecamere Luigi Cremonini.

"La mia attività principale è la macellazione di bovini italiani. Io macello 2.200 bovini al giorno, tutti italiani, esclusivamente italiani", è la risposta dell'industriale alla domanda di Bruno Vespa, su quanta carne straniera importasse.[172]

L'autrice della puntata di report mostra una inserzione pubblicitaria su La Stampa di Torino del 23 novembre del 2000; mentre la prima pagina era occupata dalla notizia della BSE che sconvolgeva i francesi, la pubblicità del gruppo Cremonini garantiva che la carne distribuita con i tre marchi Inalca, Montana e Marr proveniva da bovini allevati in Italia.

Tre mesi dopo, anche l'Italia si allinea al resto d'Europa e procede con i primi test per cercare la BSE negli animali con più di 24 mesi di vita, che restituiscono il primo caso positivo su una mucca macellata proprio nello stabilimento Inalca di Ospedaletto.

L'autrice sfodera la sentenza del processo di primo grado che condanna Luigi Cremonini e un dirigente dell'Inalca, per il reato di frode nell'esercizio del commercio, alla pena di otto mesi di reclusione, sospesa con la condizionale. Le prove raccolte nel corso delle indagini dimostrerebbero che "il gruppo macellava anche animali francesi, tedeschi e olandesi. E che il 40 per cento della carne commercializzato con il marchio Marr veniva acquistato all'estero già macellato. Tutto questo mentre la pubblicità del gruppo assicurava di vendere soltanto carne italiana. 'Potete starne certi', c'era scritto, facendo riferimento a quel sistema di rintracciabilità che il gruppo Cremonini vantava di possedere ma che, secondo la sentenza, non poteva garantire soprattutto per le carni che arrivavano in Italia già macellate". [173]

Nella minimizzazione dei pericoli della diffusione del virus "della mucca pazza" in italia, la giornalista individua un secondo responsabile, l'allora direttore del Dipartimento Alimenti Ministero della Sanità Romano Marabelli. Nella stessa puntata di Porta a porta del 13 novembre, alla domanda di Bruno Vespa "Lei è il nostro grande tutore per quanto mi pare di capire. Abbiamo cercato insomma di capire a chi dobbiamo rivolgerci al di là delle responsabilità politiche. Lei è in grado di garantirci, stiamo tranquilli?", egli aveva risposto che "Parlare di garanzia totale nell'ambito medico è una dichiarazione che mi sembra eccessiva. Parlare di garanzie correlate ad un controllo permanente della sicurezza del consumatore, in particolare attraverso un controllo dagli allevamenti alla macellazione alla distribuzione, questo sicuramente sì".[174]

Secondo l'autrice, il dottor Marabelli in quell'autunno del 2000 doveva ben sapere che l'Italia, e già da qualche mese, era un paese a rischio, più della Gran Bretagna, come anche di "avere autorizzato l'importazione di farine di carne dall'Irlanda, uno dei paesi con il più alto numero di casi di mucca pazza d'Europa, esponendo così i bovini italiani (e noi) al contagio. Il dottore e il cavaliere sono tra i pochi a non averci rimesso dalla vicenda della BSE. Il primo è rimasto al posto di altissimo funzionario di quel ministero che dovrebbe tutelare la nostra salute, l'altro da una vicenda così penalizzante per tutto il settore ne è uscito economicamente rinvigorito. Perché in quel periodo le vacche anziane nessuno le avrebbe volute anche se grazie ai test per la BSE erano assolutamente sane. Cremonini era tra i pochi che le ritirava volentieri, trasformandole in carne macinata e hamburger. Però mentre lui pagava i bovini anziani circa il trenta per cento in meno, noi continuavamo a pagare i prodotti a base di carne macinata tanto quanto prima".

Milena Gabanelli incalza dallo studio ricordando che, sulla sua produzione, Cremonini vanta e ha sempre vantato la rintracciabilità. Secondo la giornalista, una nota ditta di omogeneizzati avrebbe acquistato dall'Inalca 1500 tonnellate di carne in vasetti recanti la scritta "manzo al di sotto dei 24 mesi" mentre, da un'ispezione dei carabinieri dei Nas presso lo stabilimento Inalca di Castelvetro sarebbe emerso che i bovini utilizzati avevano tra i 5 e i 17 anni. Sulla documentazione spedita dall'Inalca alla famosa ditta di omogeneizzati viene indicato che le mucche utilizzate non superano i 24 mesi. Per indagare sulla vicenda, la procura di Torino avrebbe disposto il sequestro dei dati informatici dell'Inalca, che però sarebbero misteriosamente spariti dai database. Pochi giorni prima della trasmissione, si sarebbe svolto il primo interrogatorio dei responsabili dell'azienda; i reati ipotizzati sarebbero frode in  commercio, e frode processuale.

Dopo aver brevemente ricordato il destino della Beca Carni e il suo fallimento in seguito all'arresto del titolare, vicenda che avrebbe coinvolto anche Luigi Cremonini, accusato (e poi assolto) "di avere sottratto clienti alla Beca" durante la crisi aziendale, l'autrice fa notare come all'origine dei fatti vi fossero le scatole di carne spedite in Russia per conto della Comunità Europea, scatolette che, una volta messe sul mercato, iniziarono ad esplodere perché la carne si era deteriorata.

la Comunità Europea aveva destinato alla Russia un'eccedenza di carne di prima qualità; la Beca Carni vendeva invece questa eccedenza sul mercato europeo e spediva in Russia gli scarti.

E qui rientra in gioco Cremonini. La giornalista parla di un fascicolo giudiziario, relativo ad un procedimento archiviato nel 2000, dove si fa riferimento ad una vicenda di carne avariata e di risarcimento danni alle vittime da parte del gruppo Cremonini, che nel 1993 aveva vinto un appalto comunitario (tramite Acsal Montana) per una fornitura di carne in scatola destinata alla Russia.

L'autrice mostra alcuni documenti, ritrovati durante una perquisizione, fra i quali una lettera datata 8 aprile 1994, firmata da tre donne con lo stesso cognome, dove si legge che "in qualità del risarcimento danni causati dalla ditta Acsal Montana le famiglie sono d'accordo a riconoscere un totale dei danni nell'equivalente monetario uguale a 150.000 dollari americani". La lettera prosegue senza menzionare di che danno si tratti.

Per scoprire il motivo di questo risarcimento, la troupe di Report si reca in Russia, alla ricerca delle donne che firmarono la lettera.

Sono passati undici anni e in Russia non esistono gli elenchi telefonici, ma i giornalisti riescono a raggiungere i loro obiettivi proprio chiedendo di qualcuno che ha avuto problemi con la carne in scatola, tanto era conosciuta la vicenda dalla gente del posto. Al quarto piano di una modesta abitazione, due donne rivivono davanti alla telecamera i ricordi di quell'incidente.

Una di loro racconta di aver mangiato carne in scatola con la sua famiglia: "Quella carne l'abbiamo mangiata io, mio figlio di 16 anni. Mio nipote Sergej e sua madre, che è mia sorella. Poi Sergei è morto". E mostra la foto del bambino, appena dodicenne.

"Invece mio figlio ha avuto dei problemi alla vista", continua la donna, "Io e Irina siamo state ricoverate per le 3 settimane successive. Mia sorella Irina, dopo la morte del figlio ha avuto una depressione fortissima...è stata in un ospedale psichiatrico per un mese.  E ancora oggi non sta bene, specialmente quando si avvicina il 24 novembre, il giorno della morte di Sergei".

La signora Nikolaevna mostra i certificati sanitari relativi al suo ricovero e a quello del figlio maggiore. La figlia minore, all'epoca, aveva soltanto tre anni e fortunatamente non mangiò quella carne. La traduzione del certificato è la seguente: "Avvelenamento di botulina, ha avuto la terapia dal 24 novembre al 10 dicembre '93. Questo è il certificato di suo figlio. Uscito dalla clinica il 3 dicembre '93: botulina di gravità media. Allora, prodotti consumati: carne inscatolata. Avvelenamento di gruppo".

Nel racconto della donna, il giorno successivo a quello della morte del figlio, alcuni addetti al controllo sanitario hanno prelevato le tre scatole rimaste in casa, le hanno analizzate e vi hanno trovato il botulino. Dopodiché è stata diramata l'allarme perché chi avesse in casa quella carne la riportasse indietro.

La ripresa si sposta nello studio dell'avvocato che a quei tempi tutelò gli interessi delle vittime, Valentina Primak, che racconta di come le sia stata negata una risposta alla richiesta di sapere se questa merce era stata sottoposta al controllo sanitario. I sospetti del legale sono gravi: secondo la donna "quella merce non era stata sottoposta al controllo perché qualcuno aveva preso dei soldi per lasciarla passare".

I dialoghi dell'intervista dono diretti, da ambo le parti, e meritano di essere riportati per intero:

AUTRICE:  "Come mai questa azienda alla fine ha dato i soldi, ha pagato"?

VALENTINA PRIMAK – Avvocato: "Secondo me in quel periodo l'azienda che era appena entrata nel mercato russo stava concretizzando contratti di fornitura sostanziosi, non poteva permettersi di perderli. E se si fosse saputo...In sostanza i signori italiani hanno preferito pagare un risarcimento...detto in altre parole hanno preferito non portare via la spazzatura. Penso che sia andata così".

VOCE DELL'AUTRICE FUORI CAMPO:  "Il mercato russo sarebbe diventato importante. E infatti oggi l'azienda ha qui una sede operante. Questo non è più il paese affamato di 11 anni fa, quando non esistevano i fast food dove la gente oggi fa la fila per mangiare. Si legge nel documento destinato alla Acsal Montana: 'nel caso di rifiuto a soddisfare le nostre richieste nei termini stabiliti, saremo costrette a rivolgerci al tribunale per chiedere la riscossione forzata richiamando i mass media di ambedue i paesi'".

AUTRICE:  "In pratica lei li aveva ricattati, minacciati che se non avessero pagato lei lo avrebbe comunicato alla stampa"?

VALENTINA PRIMAK, Avvocato:  "È esatto affermarlo. Altrimenti rischiavano di perdere il contratto di fornitura, appena stipulato e che riguardava somme elevate".

VOCE DELL'AUTRICE FUORI CAMPO:  "Che il pagamento sia avvenuto lo dimostrano anche queste ricevute da 5 e 10 mila dollari, pagate a rate a partire dal 6 aprile al 9 giugno 1994, data della consegna del saldo di 75 mila dollari: totale 150 mila. Ma visto che le autorità russe sapevano perché  preoccuparsi di tribunali o della stampa? In fondo il botulino è un incidente che nell'industria alimentare può capitare. Ma di questo incidente le nostre autorità doganali non hanno avuto notizia, forse ne sa qualcosa in più l'allora direttore commerciale delle relazioni con l'ex Unione Sovietica che come si legge in questo documento viene delegato a risolvere una controversia in Russia dalla presidente della Acsal Montana, Claudia Cremonini".

E' a questo punto che la storia drammatica di un incidente si fa torbida, testimoniando una assoluta mancanza di trasparenza di Cremonini. E facendo nascere un dubbio legittimo sulla correttezza dell'operato dell'azienda.

Al telefono, l'ex direttore commerciale addetto ai rapporti con la Russia, che risulterebbe aver consegnato dei soldi per risarcire alcune persone in Russia, si rifiuta di spiegare i motivi del risarcimento e invita a chiedere all'azienda. Milena Gabanelli in studio dichiara di avere chiesto un incontro ma che le è stato negato. Mostra però una lettera inviatale dal legale del gruppo Cremonini, che nega il fatto che qualcuno sia mai stato rimborsato.

"... Non risulta comunque che sia mai stata pagata alcuna somma a titolo di risarcimento danni a favore delle vittime di tali asseriti casi di intossicazione alimentare. Qualunque versione dei fatti che possa risultare difforme da quanto sopra riportato deve considerarsi destituita da ogni fondamento", questo è ciò che recita la lettera a proposito della vicenda della morte del bambino.

La conduttrice fa notare che se nessun risarcimento è mai avvenuto, allora bisognerebbe considerare falsi i diversi documenti che testimoniano l'accaduto, come la lettera di incarico aziendale a risolvere la faccenda, la delega ad incassare autenticata dal notaio e le ricevute di pagamento.

"Non siamo noi i giudici di questa vicenda, di cui non esiste traccia su nessun organo di stampa dell'epoca. Sta di fatto che negli anni a venire la carne in scatola per l'esportazione cambia nome", conclude Milena Gabanelli.

Ma le vicende della carne in scatola proveniente da Cremonini-Inalca non terminano con la Russia. L'autrice dell'inchiesta arriva fino a Cuba dove, in un magazzino della capitale destinato ai "cubani ricchi", zeppo di alimenti provenienti anche da paesi che applicano l'embargo (come pomodori e salse dagli Stati Uniti), sono presenti anche delle scatolette di carne a marca Texana e Bill beef, carne italiana. Texana e Bill Beef sono prodotti dall'Inalca, l'industria di macellazione del gruppo Cremonini, che da anni esporta a Cuba. Originariamente il marchio era Montana ma in seguito sono stati usati altri marchi appositamente creati per la carne da esportazione.

Dai documenti in possesso dei giornalisti, le autorità cubane avrebbero chiesto all'Inalca di riprendersi una parte della sua carne in scatola, quella a marchio Texana.

Due mesi dopo l'arrivo dei primi carichi, nel settembre del 2004, il Ministero dalla Salute Pubblica scrive di essere stato informato sul fatto che "all'apertura di queste latte avevano osservato delle scatole sporche di grasso, alcune erano rigonfie, esplose. con conseguente perdita di liquido. Il tutto determinava uno stato non igienico, con uscita di odori e presenza di vermi".

La lettura del documento del ministero termina con la frase "L'Inalca ha operato in mala fede non rispettando gli accordi presi con la parte cubana esportando un prodotto non adatto al consumo umano".

I giornalisti di Report mostrano anche una lettera spedita a maggio, sempre dal Ministero della Salute cubano, indirizzata all'importatore statale, per informarlo circa il fatto che le conserve di carne ancora si dilatano ed esplodono, e che "Questo costituisce un pericolo per la salute umana, pertanto questa carne non deve essere immessa al consumo per nessuna ragione".

Le autorità cubane hanno negato un'intervista ai reporter della Rai per via del fatto che le trattative erano ancora in atto al momento della trasmissione, e infatti l'autrice dell'inchiesta esibisce un documento di accordo presentato da Inalca, nel quale l'azienda dichiara che "riesporterà tutti i lotti di carne marca Texana prodotta nello stabilimento di Rieti considerando così saldati tutti i costi addizionali. Per i lotti prodotti a Castelvetro verranno realizzate analisi in forma congiunta in un laboratorio svizzero".

La versione di Cremonini è sintetizzata invece dalla lettera inviata da un suo avvocato a Report il 29 ottobre 2005, qualche giorno prima della messa in onda della trasmissione:

"apprendo potrebbe essere interesse di Report approfondire aspetti inerenti una  spedizione di carne in scatola effettuata dall'Inalca con destinazione Cuba. Nei primi mesi del 2005 sono state avanzate contestazioni dal Ministero cubano per la salute pubblica poiché in un primo momento si ritenne che la carne non fosse conforme agli accordi. Fu quindi deciso, in accordo con le autorità cubane di far sottoporre le scatolette interessate a verifiche di un laboratorio svizzero. Le analisi si sono recentemente concluse senza alcun problema di qualità della carne".

In allegato alla lettera, c'è una copia delle analisi del laboratorio svizzero di Bellinzona ma, per i giornalisti, qualcosa non quadra.

La scena torna a Cuba, a l'Havana, dove è appena passato l'uragano Wilma e il governo ha ordinato consegne gratuite di provviste per gli abitanti dei quartieri colpiti. Tra le provviste c'è anche la carne in scatola di marca Bill Beef. Ma non quella a marchio Texana, che manca anche nella lista dei lotti controllati dal laboratorio svizzero, nonostante sia la partita più "problematica".

L'autrice torna nel magazzino cubano dove aveva visto la carne texana nella sua visita precedente; qui, un capo magazziniere la informa che le scatole a marchio Texana stanno per essere reimbarcate per l'Italia.  Dopo questa informazione la troupe di Report si reca al porto, per cercare una traccia della spedizione imminente. Al porto, Sabrina Giannini scopre che è appena partita una nave, la Holland Mass, con un carico di quasi 2.000 tonnellate di carne bovina inscatolata a marchio Texana. La giornalista mostra un documento di trasporto chiamato "bill of lading", datato 31 ottobre 2005. Il trasporto è stato effettuato per conto della Inalca di Castelvetro e il destinatario è l'Inalca con sede a Luanda, in Angola, Africa.  "Se le 2.000 tonnellate sono tutte conformi", si chiede l'autrice, "perché sono state spostate sul mercato angolano"?

La puntata si chiude con Milena Gabanelli che afferma "È possibile che ci sia stato solo un problema con i cubani, e una partita è stata dirottata in Africa. Ma perché non dirlo anche a noi che avevamo chiesto informazioni in merito? Sarebbe stato un modo per allontanare alcuni sospetti, per esempio che venga commercializzata carne non buona, oppure che a Luanda venga distrutta, perché riportandola a casa bisognava poi restituire i contributi comunitari e spiegare anche il perché.  I tentativi di chiarire la vicenda con il gruppo Cremonini sono stati ripetuti, e ripetuti sono stati i dinieghi, l'azienda precisa che la verità è nella loro versione dei fatti e cioè che i controlli non hanno evidenziato problemi di salubrità, e ci diffida dal diffondere notizie contrarie. Il nostro mestiere come sempre è quello di informare".


Le reazioni dell’opinione pubblica e dell’azienda

 

La puntata di Report appena narrata, disponibile sul sito rai, è molto importante sia per la gravità delle accuse che di fatto vengono formulate dalle due giornaliste nei confronti dell'azienda, sia per la rarità di simili documenti, non avendo i media tradizionali in agenda setting la trattazione degli scandali dei propri inserzionisti.

Una rassegna stampa tentata sulle principali testate cartacee ha restituito infatti risultati assai modesti e assolutamente insufficienti a ricostruire la vicenda (due articoli sullo stesso quotidiano).

Un articolo apparso sul Corriere della Sera del 24 febbraio 2001, intitolato "Frode in commercio, indagato Cremonini. Sotto accusa la pubblicità della carne", conferma quanto esposto nella puntata di Report circa i guai giudiziari di Luigi Cremonini a causa della pubblicità scorretta dei suoi prodotti. Secondo il procuratore aggiunto di Torino, Luigi Guariniello, le etichette di provenienza sarebbero "non conformi" e i prodotti non potevano essere certificati perché nel 2000 i test rapidi per individuare la BSE non erano ancora obbligatori.

Dall'articolo si apprende anche che la comunicazione di Cremonini è tutta in mano della società di consulenza Barabino e Partners di Roma, la cui scelta di non parlare di mucca pazza rappresenta una scelta strategica.[175]

Il secondo articolo, del 3 febbraio 2001, sempre sul corriere della sera, si intitola "Giallo sulla fine di 30 quintali di carne sospetta" ed è piuttosto inquietante, narrando delle indagini compiute dai Nas di Roma, dai carabinieri del Noe e del reparto operativo di Rieti, sulla Inalca di Cittaducale, uno stabilimento del gruppo Cremonini, in un capannone del quale sono stati sequestrati oltre cento quintali di "carne avariata, marcia, piena di muffa e vermi".[176]

I carabinieri, con l'ausilio di teleobiettivi infrarossi, avevano registrato di notte movimenti sospetti in un capannone: "luci che filtrano e operai che si alternano a turni serrati per tutta la notte".

Nel giugno del 1999, l'irruzione in forze nello stabilimento svela il contenuto del capannone sospetto: "in un tanfo insopportabile si alternano scatolette sventrate di razioni militari scadute, piene di muffa, carcasse, contenitori colmi di tagli andati a male ronzanti di mosche".[177]  In attesa del processo, il materiale sequestrato è stato restituito all'Inalca e l'autore dell'articolo si domanda che fine farà la parte di quelle sostanze dichiarata come destinata ad uso zootecnico, paventando l'ipotesi delle farine animali, vietate in Italia dal 1994.

Alla scarsa eco sui media tradizionali fa da contraltare la discreta risonanza su cui le vicende di Cremonini possono contare sul web. Su internet infatti non mancano dibattiti e commenti sull'argomento; ci sono anche richieste firmate di genitori che chiedono alla mensa di tutelare i figli da simili fornitori.[178]

Il 15 novembre 2005, due giorni dopo la puntata di Report, un post di Beppe Grillo sul suo blog, intitolato "Carne kamikaze"[179], cattura l'attenzione del pubblico del web raccogliendo ben 1246 commenti dei lettori. Il post è un invito a guardare il servizio di Rai3, e una bastonata a chi ha provato a difendere Cremonini accusando Report.

Beppe Grillo scherza chiedendosi perché, "se le scatolette a Cuba esplodevano, mandarle in Africa e non direttamente in Iraq come armi di distruzione di massa".  E cita "il dipendente" Carlo Giovanardi, in quel periodo  Ministro per i Rapporti con il Parlamento, che avrebbe affermato "Sono rimasto allibito del modo con il quale la trasmissione Report ha tentato di distruggere l'immagine di una grande azienda italiana come l'Inalca di Modena. Dalla riesumazione delle paure dei consumatori per la mucca pazza alle forniture all'estero, dal fallimento di altre ditte al malizioso collegamento di singoli episodi, il tutto è stato affastellato per criminalizzare le società del gruppo. I danni economici e morali per l'azienda e per il nostro Paese rischiano di essere incalcolabili: rimane da scoprire a chi giovano queste trasmissioni, chi le suggerisce e chi pensa di lucrare profitti su un mercato nazionale ed internazionale, indebolendo un pericoloso concorrente in grado di reggere la competizione mondiale".[180]

Grillo suggerisce a Giovanardi un possibile racket dei vegetariani, e un suo lettore sottolinea la vuotezza delle parole dell'allora ministro chiedendo chi fosse "il pericoloso concorrente", alludendo forse al fatto che quello di Cremonini con la carne sembra quasi un monopolio.

Nel post, il "comico" genovese dà spazio anche al pensiero della conduttrice di Report, la quale ha replicato: "come fa l'Onorevole Giovanardi a sostenere che quanto è stato raccontato non corrisponde al vero... L'inchiesta era molto documentata e l'azienda in questione è stata più volte invitata al contraddittorio, proprio per evitare ogni ombra sulla trasparenza delle operazioni, inviti sempre negati dal Gruppo Cremonini tramite il suo legale rappresentante, e attraverso missive di cui si è data lettura durante la trasmissione. Forse le Istituzioni del Paese non considerano il giornalismo serio una risorsa, ma solo una minaccia".[181]

Per quanto riguarda le reazioni dell'azienda, Cremonini ha adottato l'arma della querela e della minaccia di querela.

Milena Gabanelli ha annunciato di aver ricevuto una querela per la puntata mentre sul web una comunicazione ricorrente minaccia "tutti" di denuncia per diffamazione. Il testo, ad opera di Luca Macario, dell'Ufficio Comunicazione e Stampa di Cremonini, è talmente ricorrente che appare ovunque si parli male di Cremonini sul web (è anche fra i commenti del post di Beppe Grillo) ed è importante perché rappresenta il dialogo dell'impresa con il pubblico, l'altra faccia della comunicazione pubblicitaria:

"Gent.li Signori,

negli ultimi 5 anni il Gruppo Cremonini e’ stato oggetto di violente e ripetute campagne di accuse, soprattutto attraverso Internet, con l’invito al boicottaggio dei prodotti del Gruppo Cremonini utilizzando espressioni apertamente diffamatorie ed altamente lesive della immagine dell’Azienda.

I contenuti di questi messaggi, diffusi anche attraverso interminabili catene di email, traggono pretesto principalmente da una puntata della trasmissione Report, andata in onda su Rai Tre nel 2005 i cui argomenti sono stati oggetto di indagini da parte delle Procure della Repubblica di Roma e di Rieti. Entrambi i procedimenti si sono conclusi con due rispettivi decreti di archiviazione che hanno evidenziato l’infondatezza delle notizie diffuse e, contestualmente, la correttezza della condotta del Gruppo.

Vista l’insistenza dei messaggi, sempre uguali, il Gruppo Cremonini è stato costretto a presentare denuncia per diffamazione e richiesta di risarcimento dei possibili danni economici subiti contro tutti coloro, identificabili direttamente dal testo dei messaggi o attraverso gli strumenti di indagine delle Autorità inquirenti, che continueranno a perpetrare questo tipo di diffamazione gratuita e destituita di fondamento.

Con la certezza di aver contribuito a chiarire definitivamente la questione, rimaniamo a disposizione per qualsiasi ulteriore informazione.

Luca Macario,

Ufficio stampa Cremonini"[182]

 

Oltre alla scelta dello scontro in luogo del confronto, anche questa comunicazione è viziata da una forma "pubblicitaria". Secondo quanto scritto infatti i decreti di archiviazione evidenzierebbero "l’infondatezza delle notizie diffuse e, contestualmente, la correttezza della condotta del Gruppo" mentre un decreto di archiviazione non dimostra nulla, non assumendo in giurisprudenza valenza di cosa giudicata, ed essendo ad arbitrio del pubblico ministero una eventuale richiesta al GIP (giudice per le Indagini Preliminari) di riapertura delle indagini, nel caso sorgano nuovi elementi atti a sostenere l'accusa.[183] Una archiviazione non è una assoluzione.

Ma del resto quale dialogo può esserci, se le comunicazioni dell'azienda sostengono che "in relazione a tutte le vicende delle quali è stata fornita notizia, non è mai stato accertato alcun problema relativo alla salubrità dei prodotti alimentari distribuiti da società del Gruppo"?[184]

Secondo Wikipedia, la sterminata enciclopedia aperta del web, moderno sogno compiuto di Montesquieu, Diderot, Voltaire e degli altri illuminati enciclopedisti, il gruppo Cremonini avrebbe querelato anche il comico Luttazzi, non per la battuta "Mi sbaglio, o quello stronzo sembra improvvisamente più appetitoso?" ma per l'averla fatta dopo aver raccontato fatti basati sull'articolo del Corriere della Sera sopra citato, quello sui 130 quintali di carni avariate.

Sempre su Wikipedia si può leggere (senza però poterne verificare la fonte) che il gruppo Cremonini ha citato per diffamazione il Corriere della Sera e Il Messaggero sentendosi diffamata da alcuni articoli (compreso quello citato). Nella stessa pagina si afferma che Cremonini avrebbe "vinto la causa" contro i quotidiani e vengono riportate le date di due sentenze, purtroppo non consultabili. Mentre Luttazzi avrebbe vinto la causa, avendo solo citato e non affermato; ma questa sarebbe solo una curiosità.[185]

In letteratura, il gruppo Cremonini appare nella “Guida al consumo critico”[186], a cura di Francesco Gesualdi, coordinatore del Centro Nuovo Modello di Sviluppo. L’autore del volume, che analizza  i comportamenti delle imprese operanti in Italia, rimprovera all’azienda il fatto che “alcune finanziarie attraverso cui la famiglia Cremonini controlla il gruppo sono domiciliate in paradisi fiscali. Tra queste la Ci-Erre Lux, domiciliata in Lussemburgo”.[187]

Nella sezione “consumatori e legalità”, la guida riporta la notizia di una multa di 1,5 milioni di euro inflitta nel 2011 dalla Consob (Commissione Nazionale per le Società e la Borsa) a Luigi Cremonini e ad altri dirigenti del gruppo per violazione delle norme sulla compravendita di azioni al fine di trarne un vantaggio. [188]

Il manuale di Gesualdi monitora le imprese anche per quanto riguarda la loro eventuale partecipazione in paesi con regimi oppressivi (i criteri per definire i quali sono di Amnesty International): Cremonini risulta avere uno stabilimento produttivo in Russia, una piattaforma di distribuzione nella repubblica democratica del Congo e uffici commerciali a Cuba e in Nigeria.

“Il primo carico di carni l’abbiamo inviato in Angola quando c’era ancora la guerra”, afferma Luigi Cremonini in una intervista al Sole 24 ore. “Avevamo aderito a una gara indetta dal Governo locale e non erano molte, allora, le aziende disposte a esporsi verso questo Paese. Ma io avevo viaggiato a lungo in Africa ed ero convinto che, una volta raggiunta la pace (e prima o poi doveva arrivare), ci sarebbe stato un rapido decollo. E noi saremmo stati in prima fila. Oggi oltre all’Angola, operiamo nella Repubblica Democratica del Congo, nel Congo Brazzavile, in Nigeria, in Algeria e Mozambico”.[189]


I fornitori dei Mc fornitori

 

Fra le 10 regole della responsabilità sociale pubblicate da Cremonini sul suo sito, al punto 9 si può leggere la seguente affermazione: "Sorvegliamo e gestiamo la ricaduta sociale connessa all’attività di impresa tramite l’applicazione di codici etici di comportamento elaborati o recepiti dalla società, in particolare:

- i dipendenti sono adeguatamente retribuiti e possono contare su salari conformi alle leggi e regolamenti locali vigenti;

- non sussistono discriminazioni nelle assunzioni e nelle pratiche di impiego per motivi di razza, colore della pelle, religione, sesso, età, capacità fisiche, nazionalità o qualsiasi altra motivazione non accettabile;

- forniamo ai nostri dipendenti un ambiente lavorativo sicuro e salubre".[190]

E ancora, al punto successivo (la decima regola della responsabilità di Cremonini): "Coinvolgiamo i fornitori nel perseguimento dei nostri codici etici". [191]

Ma chi sono i lavoratori?  Quando McDonald's afferma che "Gli hamburger sono carne bovina, proveniente da allevamenti italiani, di muscolo intero, disossato a mano e poi macinato", chi è che disossa e macina la carne per assemblare i suoi hamburger? [192]

La realtà degli operai che lavorano nel comparto della macellazione si perde in un dedalo di cooperative, che prosperano grazie al fenomeno diffuso dell’affitto, o anche dell’appalto, di fasi lavorative e interi reparti degli stabilimenti produttivi.

Nel 2008, nello stabilimento Inalca di Cremonini, sono presenti due cooperative, la cooperativa Minerva e la cooperativa Real, che fanno entrambe capo a PowerLog, un consorzio di cooperative di facchinaggio.

Power Log è un colosso specializzato in appalti di manodopera, che raggruppa cooperative iscritte a Legacoop e Confcooperative, con appalti in importanti industrie alimentari, della macellazione e della grande distribuzione.

Il consorzio affitta e talvolta acquisisce interi rami di azienda per poi distribuire il lavoro alle sue associate, tramite contratti di appalto. Per i sindacati, si tratta di "Un modo per aggirare le normative sulla somministrazione di manodopera e per allungare la filiera delle responsabilità nella gestione e nella retribuzione dei lavoratori". [193]

Il sistema  degli appalti di manodopera produce un notevole risparmio di risorse economiche per le imprese committenti poiché, tramite appalti, esternalizzazioni, affitti o cessioni di rami di azienda l'impresa può evitare di assumere direttamente i lavoratori. Un'ora di lavoro, per un dipendente di un impresa della macellazione, costa mediamente all'impresa 23 euro, a cui bisogna sommare le incidenze contrattuali e previdenziali; mentre un'ora di lavoro di un socio lavoratore di una cooperativa di facchinaggio si traduce in un corrispettivo riconosciuto alla cooperativa inferiore ai 15 euro.  Le cooperative, infatti, applicano generalmente il contratto nazionale Trasporti Merci e Logistica in luogo del contratto nazionale dell’industria alimentare; nelle aziende Agroindustriali l’applicazione di questo contratto produce un differenziale retributivo rispetto ai lavoratori dipendenti della azienda committente di circa il 25%.

I lavoratori delle cooperative sono soggetti a tutte le deregolamentazioni atte ad abbattere il costo del lavoro: allungamento degli orari, flessibilità, straordinari e precarietà.

Macellai con contratti da facchini o facchini con mansioni da macellai? Per Umberto Franciosi, Segretario provinciale FLAI CGIL Modena, il fenomeno è generalizzato: l’organizzazione del lavoro presente negli stabilimenti della lavorazione delle carni del modenese sarebbe tutta basata su "discutibili e molto spesso illegali terziarizzazioni, appalti ed esternalizzazioni di parti del processo produttivo, che vedono la presenza d’imprese, per la maggioranza false cooperative di facchinaggio, che hanno le sembianze di un moderno e nuovo caporalato... Attualmente, nel mercato degli appalti di manodopera, molti committenti delle industrie alimentari sono disponibili a pagare anche meno di 12.00 euro per ogni ora lavorata dallo 'schiavo' associato in cooperativa".[194]

Per attirare attenzione su questa situazione, Umberto Franciosi ha aperto un sito web in cui racconta, attraverso fatti vissuti, comunicati sindacali, testimonianze e una nutrita rassegna stampa che va dal 2002 ad oggi, "una realtà che non ha nulla a che fare con la storia sindacale e di diritti che questi territori possono vantare".

Il nome di dominio del sito è nuovocaporalato.it e fra le sue pagine vi si può ricostruire anche la storia dei lavoratori degli stabilimenti produttivi del gruppo Cremonini.

Nel cantiere Inalca di Modena, fino al 2008, a svolgere compiti di macellazione, c'è il consorzio Powerlog, attraverso i soci della cooperativa Minerva. La situazione che racconta Franciosi è quella di un meccanismo economico evidentemente viziato: "il committente risparmiava sulla manodopera, che i “benefattori” della PowerLog offrivano a prezzi contenuti, mentre il consorzio e le cooperative associate non avevano marginalità economica e si dissanguavano per acquisire o affittare il ramo di azienda su cui prestavano servizi. Servizi che venivano poi venduti all’impresa che gli aveva affittato o venduto il ramo di azienda. Questo è ciò che accadeva, in particolare, nel settore della macellazione e della lavorazione delle carni. L’importante era ottenere un bel volume di fatturato perché, con esso, aumentavano le credenziali per ottenere prestiti dalle banche. Chi, fra gli istituti bancari, poteva contestare nel merito quei fatturati se erano ottenuti con importanti e rinomate imprese? "[195]

Nel 2007, secondo una inchiesta dell'Espresso, pur avendo debiti colossali, Power Log fa una donazione politica di 100.000 euro, versati al partito dei Democratici di Sinistra di Bologna, donazione che avviene ad insaputa dei soci lavoratori, ai quali viene decurtato il 10% dello stipendio l'anno successivo.[196]

All’inizio del 2008, le cooperative si accorgono che i conti non tornano e che le quote sociali dei soci lavoratori non sono più sufficienti per mantenere l’indebitamento a un livello accettabile; il correttivo viene individuato in "contenimento dei costi" rappresentato da una trattenuta sullo stipendio. I soci lavoratori insorgono e interviene il sindacato.[197]

Grazie all’intervento delle organizzazioni sindacali vengono alla luce alcune irregolarità nei trattamenti retributivi e nelle applicazioni dei contratti di lavoro ma, durante il confronto, il  direttivo di Power Log mette in liquidazione volontaria il consorzio.

Dalle ceneri di Power Log, annunciata da una lettera ai soci delle cooperative consorziate, nasce un altro consorzio, KeyLog.[198] Secondo Franciosi, "alcuni furbetti spariscono, altri ruotano in altre società e altri rimangono inguattati nei loro posti. Cambia l’orchestra, ma la musica rimane la stessa"!

Il 13 gennaio 2010 una quindicina di dirigenti del Consorzio di cooperative di Castel Maggiore viene iscritto nel registro degli indagati per bancarotta fraudolenta. L'accusa è di aver dissipato "in spese folli e operazioni sbagliate" i profitti del consorzio, lasciando senza stipendio i lavoratori.

Il curatore fallimentare nominato dal giudice per le indagini preliminari verifica che il passivo ammonterebbe alla cifra di 49 milioni di euro, accumulati in tre anni.  I dirigenti avrebbero compiuto operazioni disinvolte con le banche, ottenendo crediti sostanziosi sulla base di garanzie inverosimili (come il fatturato, dal quale invece si sarebbero dovute detrarre le fatture delle cooperative che svolgevano il lavoro). Nelle indagini vengono alla luce anche i lauti stipendi dei dirigenti, le auto di lusso e le spese di rappresentanza gonfiate.[199]

La nascita di un altro consorzio nuovo di zecca, "lindo, pulito e immacolato", non può cambiare, secondo il sindacalista, lo stato delle cose perché la situazione determinatasi in Powerlog è soltanto emblematica del più generale problema degli appalti attraverso l’utilizzo di cooperative di facchinaggio.

Il problema dei soci lavoratori che "ufficialmente" eseguono lavori di facchinaggio nelle imprese di lavorazioni delle carni, mentre nella realtà eseguono lavori afferenti il ciclo produttivo, investe anche la dimensione dei ritmi di lavoro, oltre che quella dei salari.

La prime catene di montaggio della storia non furono, contrariamente a quanto si è soliti ritenere, quelle realizzata dalle industrie automobilistiche ma quelle impiegate nei macelli. Lo stesso Henry Ford avrebbe esclamato, a proposito della catena di montaggio:" L'idea mi era venuta in linea generale dai carrelli sopraelevati che si usano nei mattatoi di Chicago per la lavorazione della carne".[200]

I "facchini" delle "cooperative della carne" subiscono tutti i limiti del lavoro sulla catena di montaggio: ritmi veloci, orari prolungati e pause scarse.

"Le linee di produzione vanno sempre più forte", afferma Franciosi,"e i lavoratori vengono sempre adibiti alla stessa mansione causando le inevitabili malattie professionali caratteristiche del settore. Nelle linee del disosso dei prosciutti crudi, ogni operatore in media deve effettuare un’operazione ogni tre secondi con coltelli, in alcuni casi elettrici. Lavorazioni faticose che si possono protrarre anche per oltre 10 ore al giorno, effettuate in ambiente bagnato e freddo, con scarse pause, a velocità altissime e senza turnazioni. Elementi estremamente pericolosi, che causano, con la lunga esposizione, inevitabili danni all’apparato muscolo scheletrico”.[201]

In effetti gli infortuni non mancano e, quando sono gravi, finiscono anche sulla stampa.

Il 27 luglio 2007, un operaio di 39 anni, Giancarlo Dacio, muore dissanguato per un pugno al vetro del portellone antipanico dell'azienda in cui prestava lavoro, la Real beef di Flumeri[202], appartenente al gruppo Cremonini.[203]

Il 18 giugno 2008, Roberto Gallipani, 24 anni, socio lavoratore di una "falsa cooperativa", viene trafitto al cuore dalla lama affilata del coltello che stava utilizzando, mentre sezionava un capo di bestiame presso il macello Rama Carni di Varese, e muore dopo pochi istanti davanti agli occhi dei suoi colleghi di lavoro. Nel comunicato sindacale diffuso per solidarietà dai sindacati dei lavoratori Inalca si parla di un sistema deregolamentato di appalti e sub-appalti, in cui si ottiene l’abbattimento del costo del lavoro attraverso deregolamentazioni che vanno contro i lavoratori: allungamento degli orari, flessibilità, straordinari e precarietà del lavoro".

"Roberto è un morto degli appalti", si legge nel comunicato, "Un lavoratore invisibile di un sistema produttivo che sta andando sempre più alla deriva. Un sistema che gioca la sua competitività affidando parti delle sue lavorazioni, reparti o singole postazioni di lavoro, ad avventurieri senza scrupoli, o meglio, a nuovi caporali..."[204]

Il 2 agosto 2010, una nota ANSA riporta la notizia di un incidente sul lavoro accaduto nello stabilimento Inalca di Castelvetro. A un dipendente di 53 anni e' stato amputato un braccio dopo che l'arto era finito in un tritacarne.[205]

Dunque, quando McDonald's afferma che "Gli hamburger sono carne bovina, proveniente da allevamenti italiani, di muscolo intero, disossato a mano e poi macinato",  questi sono i disossatori.

E questa è la vera storia degli hamburger di McDonald's in Italia.


La relatività del concetto di “responsabilità”. I settori esclusi dalla RSI

 

Nel definire e mettere in atto politiche di responsabilità sociale d'impresa, studiosi e operatori sono concordi nell'escludere alcuni settori merceologici dalle possibilità di essere anche solo definite "responsabili".

Anche se non esiste una letteratura univoca sull'argomento, i settori esclusi risultano essere soprattutto quelli del tabacco, dei superalcolici, delle armi e del nucleare. A cui si aggiungono talvolta l'industria pornografica, il business del gioco d’azzardo, e anche la sperimentazione sugli animali.

Quando, nel 2010, l’indice mondiale di sostenibilità di Dow Jones e SAM (il Dow Jones Sustainability Index, precedentemente citato), rispondendo alla richiesta degli investitori istituzionali di poter avere un maggior numero di società sostenibili in cui investire, si allarga al 10% delle 2.500 società che fanno parte degli indici globali Dow Jones, un comunicato che ne annuncia i cambiamenti riporta la notizia che il nuovo indice avrà un sottogruppo di 459 società, dal quale saranno escluse quelle operanti nei settori del tabacco, dell’alcol, del gioco d’azzardo, degli armamenti e delle armi da fuoco, e dell’intrattenimento per adulti.[206]

L’elemento distintivo della finanza etica non consiste nel destinare a progetti etico-filantropici parte del rendimento dell’attività finanziaria ma "nella compatibilità tra massimizzazione del rendimento e massimizzazione dei benefici globali degli investimenti". La scelta degli investimenti viene compiuta a seguito di una attenta attività di screening, che si basa su criteri positivi (di inclusione) e negativi (o di esclusione).[207]

Sono i criteri di esclusione, quelli negativi, che dovrebbero cancellare dal portafoglio di investimenti responsabili "le imprese che operano nei settori dell’alcool, del tabacco, dell’energia nucleare, della pornografia, del gioco d’azzardo, dell’industria militare e delle armi, le imprese che violano i diritti umani, che praticano la vivisezione, che operano in regime di monopolio o che hanno dato vita a cartelli o che in generale offrono scarse garanzie in fatto di qualità dei beni o dei servizi prodotti".[208]

Le varie forme di charity e di filantropia non possono avere influenza sui criteri di scelta inclusivi, in quanto "assumono carattere asistematico, non creano di norma un vincolo riconoscibile col marchio, né sono necessariamente correlate ad un prodotto dal valore sociale comprovato. Si tratta per lo più di iniziative di corporate giving collaterali rispetto all’offerta aziendale che, paradossalmente, potrebbe addirittura essere “viziata” da un basso livello di conformità ai valori del rispetto dell’uomo e dell’ambiente".[209]

Andrea Baranes, in "Responsabilità e finanza. Guida alle iniziative in campo socio ambientale per gli Istituti di Credito e le imprese finanziarie", traccia una storia dei criteri di impiego per le attività nelle quali si investe. Non esistendo parametri oggettivi per qualificare l’eticità di un investimento, un primo metodo di selezione si basa su criteri merceologici, "ovvero l’analisi delle finalità di un investimento o di un prestito. In quest’ottica, alcuni prodotti e servizi non sono etici e vanno quindi evitati. Secondo alcuni critici, questo approccio si dimostra debole essenzialmente per la soggettività del concetto di etica: l’esempio classico è quello dei profilattici che sono da escludere per un cattolico, mentre per un’altra persona sono da raccomandare per la prevenzione delle malattie veneree".[210]

Secondo questo approccio, nessuna attività dovrebbe essere esclusa a priori, "perché ognuno di noi ha una sua etica e può giudicare moralmente accettabile un prodotto o l’altro secondo i propri parametri". Come superamento di questa soggettività, si è andato via via sviluppando un approccio legale alla responsabilità, basato sull’analisi delle modalità con le quali il prodotto o servizio viene realizzato. Questo criterio "prende in considerazione il rispetto delle norme e delle leggi promulgate da alcune organizzazioni ed enti di riferimento, ma non va ad indagare sulla natura finale del prodotto. Per fissare criteri il più possibile oggettivi, le normative prese in considerazione sono generalmente quelle emanate dalle maggiori istituzioni internazionali". [211]

Ambedue gli approcci, quello merceologico e quello legale, non si escludono ma garantiscono meglio, assieme, dell'eticità del prodotto. Trasparenza e accesso all’informazione vengono considerate requisiti indispensabili per mettere in grado l'investitore di decidere se le scelte del proponente rispecchiano i propri principi etici.

Nella realtà, la decisione di esclusione non sembra molto vincolante per le entità escluse: la Philip Morris, il colosso del tabacco, settore escluso per eccellenza dalla responsabilità sociale, il 27 gennaio 2003, cambia il suo nome in Altria Group, che nel 2011 pubblica un report di responsabilità sociale. [212] La parola Altria, secondo un professore di latino citato da TheStreet.com, non significherebbe niente, essendo "altr" "una radice che non esiste" ma il nome "suona davvero bene", e "non suggerisce per niente un enfisema o un cancro ai polmoni".[213] Nel 2001 il Reputation Institute aveva piazzato la Philip Morris al penultimo posto nella classifica dell'opinione pubblica.[214]

Secondo Enterprise IG, una nota agenzia di consulenza specializzata sull'identità azienzale, nel 2001, 3602 corporazioni degli Stati Uniti avrebbero adottato nuovi nomi.[215] La Benton Oil and Gas Company, che estrae greggio e gas in Russia e Venezuela, è ora la Harvest Natural Resources, la Nuclear Engineering, che si occupa di smaltire rifiuti tossici e radioattivi, ha trasformato il suo nome nome in US Ecology, e la Monsanto Specialty Chemicals, una spin-off della Monsanto che, secondo Greenpeace, sta distruggendo l'intero pianeta, adesso si chiama Solutia.[216]

Mentre l'attività della fabbrica d'armi Beretta non dev'essere così esecrabile se nel gennaio 2012 il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano consegna a Ugo Gussalli Beretta il Premio Leonardo Qualità Italia 2011, "in quanto realtà capace di distinguersi nell’anno appena trascorso per qualità e vocazione all’export, concorrendo in modo significativo ad affermare e promuovere l’immagine dell’Italia nel mondo".[217]

Del resto appare non privo di contraddizione il fatto di negare a priori una responsabilità sociale all'azienda che produce armi commissionate dalla nostra civile società per difendere sé stessa: "da molti anni le armi Beretta sono in dotazione alle Forze Armate e Forze di Polizia Italiane e di innumerevoli altri paesi". [218]

Beretta ha una fondazione, la fondazione Pier Giuseppe Beretta, costituita nel 1981, che finanzia la ricerca scientifica sulle neoplasie maligne, in particolare la ricerca inerente la patologia oncologica.[219]

Per tornare ai fini della trattazione, bisogna notare che, alla luce dei criteri comunemente usati nell'universo degli investimenti socialmente responsabili, non bisognerebbe investire in nessuna delle tre aziende oggetto di analisi di questo lavoro, Novartis, Bayer e McDonald’s.  Eppure, tutte e tre sono presentate agli investitori nel prestigioso Dow Jones Sustainability World Index.


Un prodotto-spreco: l’inefficienza del prodotto “carne”

 

Per giustificare subito l’affermazione del titolo, che il prodotto carne sia un prodotto-spreco, è sufficiente notare come gli animali d'allevamento siano delle perfette “fabbriche di proteine alla rovescia".

Gli animali d'allevamento, infatti, consumano molte più calorie, ricavate dai mangimi vegetali, di quante ne producano sotto forma di carne, latte e uova; come "macchine" (tali sono considerati nella moderna zootecnia) che convertono proteine vegetali in proteine animali, sono del tutto inefficienti. 

Immaginando un rapporto di conversione tra i mangimi vegetali destinati agli animali e gli stessi animali trasformati in cibo, si scopre che il rapporto può variare da 1:30 a 1:4, a seconda della specie animale. Per ricavare 1 kg di carne da un animale, quello stesso animale deve mangiare in media 15 kg di vegetali, appositamente coltivati.  Un bovino “ha un'efficienza di conversione delle proteine animali di solo il 6%: consumando 790 kg di proteine vegetali, produce meno di 50 kg di proteine”. [220]

Il  mangime serve per far vivere l'animale e non va tutto in carne: la gran parte del cibo che mangiano gli animali d’allevamento serve a farli vivere, non a farli ingrassare. Da qui la causa dello spreco insito in questa trasformazione vegetale-animale.

Il nostro “cibo”, per diventare cibo, mangia mediamente 15 volte più di noi; se mangiassimo direttamente ciò che mangia il nostro “cibo”, saremmo 15 volte più ricchi di risorse alimentari.

Uno spreco a cui aggiungere lo sfruttamento e la distruzione  di terreni fertili, non più utilizzabili per molti anni, il consumo di energia e acqua, l’utilizzo di agenti chimici e il costo di strutture atte a ridurre il danno causato dall’emissione di sostanze inquinanti.

Per quanto riguarda lo spreco di energia, è interessante notare che, per produrre una caloria di proteine dal grano, si spendono circa 2,2 calorie di combustibile fossile mentre ne occorrono circa 40 per produrre una caloria di proteine di carne bovina o di uova, 14 per una di latte o di carne di maiale. [221]

Mentre riguardo al consumo delle risorse idriche, si stima che produrre 1 kg di proteina animale richieda circa 100 volte più acqua che produrre 1 kg di proteina di grano.

Agricoltura e Zootecnia consumano circa il 70% della quantità totale d’acqua utilizzata sulla terra ma la maggior parte dei prodotti dell’agricoltura si trasforma in mangime per animali, in un circolo virtuoso di spreco delle risorse idriche, finalizzato alla produzione di cibo; nasce da questa consapevolezza la nota rivendicazione del “food, not feed (cibo, non mangime)”, slogan-appello inneggiante a una produzione sostenibile che mira all’autosufficienza alimentare dei popoli tutti e non all’inflazione di carni destinate solo a una rosa di mercati.

Concretamente, produrre 1 kg di manzo fresco può richiedere approssimativamente 13 kg di grano e 30 kg di fieno[222]. Questa quantità di foraggio e grano richiede approssimativamente 100000 litri di acqua per produrre i 100 kg di fieno, e 5400 litri per i 4 kg di grano. Sul terreno dove si è prodotto il foraggio si sono spesi più di 200000 litri di acqua per produrre 1 kg di manzo.[223]

Nella conversione risorsa-cibo, con una quantità d’acqua pari a quella consumata mediamente da una  famiglia americana in un anno, per tutte le sue necessità, si possono produrre solo 5 kg di carne bovina. [224] Una conversione molto costosa.

Anche organizzazioni “allineate” all’idea di cibo dominante (quella che gli animali possano divenire cibo per gli uomini), come l'OMS e la FAO, hanno cominciato da tempo a denunciare

l'impatto negativo che gli allevamenti industriali e il consumo di carne hanno sull’autosufficienza alimentare dei popoli.

La FAO, in un rapporto intitolato Livestock's long shadow (la lunga ombra degli allevamenti)[225], mette in guardia sull’aumento del consumo di prodotti animali in paesi come il Brasile e la Cina, consumi ancora ben al di sotto dei livelli del Nord America e della maggior parte degli altri paesi industrializzati, e su come questo trend di crescita rappresenti un problema per l’ambiente e, conseguentemente, per la possibilità di nutrire tutti i popoli del mondo.

Nel rapporto si nota come il numero di persone nutrite in un anno per ettaro vari da 22 per le patate a 19 per il riso, fino a solo 1 e 2 persone rispettivamente per il manzo e l'agnello. Nel testo viene anche constatato come i prodotti animali, rispetto a quelli vegetali, usino una quantità molto maggiore di acqua, risorsa qui riconosciuta come problematica in un futuro molto prossimo.

 Sempre ai fini di dimostrare che la trasformazione di animali in cibo per umani è un processo inefficiente, è doveroso aggiungere che l’attuale sistema di produzione zootecnica sembrerebbe non riuscire a sopravvivere senza le sovvenzioni pubbliche: in questo modo però quello che il consumatore non spende al momento dell’acquisto, lo spende quando paga le tasse, in forma di sovvenzioni agli allevatori. In sostanza, i prodotti della zootecnia costano poco sul mercato ma se la produzione avvenisse in modo autonomo e sostenibile (dal punto di vista ambientale, della salute del consumatore, e del “benessere” degli animali), i prezzi lieviterebbero di molto.


L’impatto delle pratiche zootecniche su ambiente e società

 

Il primo risultato della scelta di trasformare animali in cibo è rappresentato dalle deiezioni, ovvero gli escrementi degli animali.

Le deiezioni, liquide e semi-liquide, contengono livelli di fosforo e azoto molto alti, capaci di rovinare la qualità dei corsi d'acqua che li filtrano, danneggiando interi ecosistemi acquatici.  Circa il 70-80% dell'azoto fornito ai bovini, suini e alle galline ovaiole mediante l'alimentazione, viene eliminato nelle feci e nell'urina e finisce nei corsi d'acqua. [226]

Alcuni degli animali allevati producono enormi quantità di deiezioni: la quantità prodotta da una singola vacca da latte equivale a quella prodotta da 20-40 persone.  I depositi di deiezioni degli allevamenti intensivi sono spesso dei puzzolenti laghi di escrementi e hanno già causato disastri ambientali in molti stati degli USA, spandendo batteri infettivi nei fiumi circostanti e filtrando fino alle falde acquifere utilizzate come acqua potabile. [227]

Per avere un'idea dimensionale del problema, si consideri che, in Italia, gli animali d'allevamento producono annualmente circa 19 milioni di tonnellate di deiezioni a scarso contenuto organico, contenenti i prodotti chimici, come i farmaci e i fertilizzanti, di cui gli animali sono imbottiti. "Calcolando il carico equivalente, ovvero trasformando il numero di animali in quello equivalente di popolazione umana necessario a produrre lo stesso livello di inquinamento da deiezioni, in totale, in Italia, gli animali equivalgono ad una popolazione aggiuntiva di 137 milioni di cittadini, cioè più del doppio del totale della popolazione".[228]  

Negli stati Uniti, le deiezioni provenienti dagli allevamenti intensivi inquinano l'acqua più di tutte le altre fonti industriali raggruppate.[229] Molti studiosi sono concordi nel ritenere che lo spandimento delle deiezioni animali sia strettamente collegato alla "zona morta", 7.000 miglia quadrate nel Golfo del Messico senza più vita acquatica.[230]

Oltre alle deiezioni, la produzione di carne comporta lo smaltimento di tutte le parti di "scarto" degli animali uccisi per diventare cibo. Nel processo produttivo viene infatti accumulata anche un'enorme quantità di scarti non utilizzabili: la testa, i visceri, gli zoccoli, il contenuto dell'intestino, le cartilagini, le piume, le ghiandole, sono parti che non vengono normalmente usate[231].

Fino a pochi anni fa queste parti venivano essiccate e tritate, e successivamente trasformate in farine carnee che venivano aggiunte ai mangimi degli animali erbivori (nell'incuranza di far mangiare ad un animale un suo simile) mentre adesso, dopo il recente caso "mucca pazza", questa pratica non è più possibile (almeno non legalmente) e quindi vengono "stoccate", con conseguente spreco di spazio e denaro pubblico.

Uno studio pubblicato sul sito della South Dakota State University,[232] mostra che quello che gli scarti della macellazione variano dal 50% al 70%, con una media del 60%, a ulteriore conforto delle affermazioni fatte nel paragrafo precedente, circa l'inefficienza della carne come prodotto.

In caso di epidemie, vengono bruciati o seppelliti milioni di animali: la cremazione richiede una grande quantità di combustibile ed emette fumi inquinanti e tossici (compresa la diossina) mentre la sepoltura contribuisce all'inquinamento delle fonti d'acqua e all'inquinamento da antibiotici (di cui gli animali sono imbottiti).

L’inquinamento non è ancora la conseguenza più grave del consumo di prodotti animali: le conseguenze più drammatiche si verificano nel Terzo Mondo, dove il disboscamento operato per far posto agli allevamenti di bovini destinati a fornire proteine animali all'Occidente ha distrutto in pochi anni milioni di ettari di foresta pluviale. Ogni anno scompaiono circa 17 milioni di ettari di foreste tropicali: l'allevamento intensivo ne è la causa principale. Nella foresta Amazzonica l'88% dei terreni disboscati è stato adibito a pascolo e circa il 70 % delle zone disboscate del Costa Rica e del Panama sono state trasformate in pascoli. A partire dal 1960, in Brasile, Bolivia, Colombia, America Centrale sono stati bruciati o rasi al suolo decine di milioni di ettari di foresta, oltre un quarto dell'intera estensione delle foreste centroamericane, per far posto a pascoli per bovini. "Per dare un'idea delle dimensioni del problema, si pensi che ogni hamburger importato dall'America Centrale comporta l'abbattimento e la trasformazione a pascolo di sei metri quadrati di foresta".[233]

Paradossalmente, questa terra non è adatta al pascolo: nell'ecosistema tropicale lo strato superficiale del suolo contiene poco nutrimento, ed è molto sottile e fragile. Dopo pochi anni di pascolo il suolo diventa sterile, e gli allevatori passano ad abbattere un'altra regione di foresta. Secondo la geografa Susanna Hecht, il 90% degli allevamenti di bestiame nella ex-foresta amazzonica cesserebbe l'attività dopo circa otto anni, per ricominciare in altre zone. Nella nostra sinistra modernità, è possibile percorrere centinaia di chilometri di strada nella foresta amazzonica senza trovare altro che terre abbandonate dove cresce una vegetazione secondaria.

Si calcola che, in totale, la metà della foresta pluviale dell'America centrale e meridionale sia stata già abbattuta per l'allevamento. E il ritmo del disboscamento sarebbe in continua crescita.[234]

In sei anni (dal 1997 al 2003) c'è stato un incremento del 600% delle esportazioni di carne bovina, soprattutto in Europa.  L'incremento di popolazione bovina sarebbe stato assorbito per l'80% dalla foresta amazzonica. Assieme alla popolazione bovina è cresciuta però anche la deforestazione della regione, crescita che nel 2003 è stata del 40% rispetto all'anno precedente.

In soli 10 anni, la regione ha perso un'area pari a due volte il Portogallo. Gran parte di essa è diventata terra da pascolo.

In Africa, nelle zone semiaride, lo sfruttamento dei suoli per l'allevamento estensivo (i cui prodotti vengono esportati nei paesi più sviluppati) porta alla desertificazione, ovvero all'annullamento della produttività di queste terre. Le Nazioni Unite stimano che il 70% dei terreni ora adibiti a pascolo siano in via di desertificazione.

Anche alcune parti delle Grandi Pianure americane si stanno trasformando in deserto. Ampi fiumi sono diventati ruscelli o si sono prosciugati del tutto lasciando spazio a distese di fango. Dove prima vi erano vegetazione ed animali selvatici di ogni specie, oggi non cresce più nulla e non vi è più vita animale. Ne conseguono frane ed inondazioni, unitamente ad una diminuzione dell'approvvigionamento delle falde, che provoca desertificazione, disarticolazioni idrogeologiche e siccità ricorrenti.[235]

All'inefficienza che accompagna la produzione di carne e derivati sono collegate anche le ripercussioni che il sistema zootecnico ha sull'inquinamento atmosferico che causa il cosiddetto effetto serra.

Oltre all'emissione di gas serra dovuto all'utilizzo di energia nel processo di trasformazione vegetale-animale, anche le deiezioni degli animali, allevati in quantità industriali, causano un impatto diretto in termini di liquami inquinanti e di emissioni di gas serra, dovuti al processo digestivo degli animali.

Durante il processo digestivo i bovini emettono metano e ossido di azoto. Il 35-40% del metano e il 65% dell'ossido di azoto immessi globalmente nell'atmosfera vengono dagli allevamenti. Questi gas sono rispettivamente 23 e 296 volte più impattanti della CO2, nel concorrere all'effetto serra. [236]

Nel 2007, la rivista scientifica The Lancet pubblica un articolo dal titolo "Cibo, allevamenti, energia, cambiamenti climatici e salute" che mostra quanto questi aspetti siano correlati tra loro e quanto sia urgente una diminuzione drastica del consumo di carne per evitare il disastro ambientale.[237]

Nell'articolo si nota come le emissioni di gas serra causate dal settore zootecnico siano pari al 18% del totale; e come questa percentuale sia simile a quella dovuta all'industria, e maggiore di quella dovuta al settore dei trasporti, pari al 13,5% del totale.

Tutti gli studi più recenti concordano su questi dati: un articolo pubblicato nel 2007 dal New Scientist, intitolato "La carne è morte per l'ambiente", riporta i risultati di uno studio di un gruppo di scienziati giapponesi secondo i quali la produzione di un kg di manzo causerebbe una emissione di gas serra e altri inquinanti equivalente a quella che si otterrebbe "guidando per tre ore e lasciando accese nel frattempo tutte le luci di casa". [238] I dati coincidono con quelli forniti dal dossier FAO, Livestock Long Shadow.

Uno studio di due ricercatori della Carnegie Mellon University, indaga l'importanza del "chilometro zero", cioè la pratica di comprare prodotti realizzati vicino a dove si vive, invece che a migliaia di km di distanza. Ebbene, i risultati di questo studio mostrano che "comprare locale" ha un'importanza limitata, nel risparmiare emissioni di gas serra, mentre è molto più "potente" la scelta di consumare cibi vegetali anziché animali, consentendo un "risparmio" fino a 8 volte maggiore. [239]

Il grafico[240] che segue mostra come si ripartiscono i gas serra emessi per la produzione dei vari tipi di alimenti. Carne, pesce, uova e latticini sono responsabili di oltre la metà delle emissioni di gas serra (58%), quasi il triplo di quelle derivanti dalla produzione di cereali, frutta, verdura (22%).

Per quanto riguarda la questione del trasporto del cibo, il risultato dello studio è stato che le emissioni di gas serra (non solo di CO2, ma di tutti i gas che contribuiscono all'effetto serra) dipende molto di più dal cibo che si sceglie, piuttosto che dalla quantità di chilometri che fa il prodotto finito per arrivare alle nostre case.

In una famiglia media, scegliendo di comprare solo prodotti locali per un anno intero, si "risparmiano" 1600 km (i cosiddetti "chilometri-cibo"), mentre scegliendo di mangiare cibi non locali ma esclusivamente vegetali per un solo giorno la settimana, per un anno, si risparmiano 1860 km. Scegliendo di mangiare cibi esclusivamente vegetali per tutto l'anno, si risparmiano ben 13.000 chilometri-cibo.

Questi dati dimostrano che, in termini di risparmio di emissioni di gas serra, l'alimentazione 100% vegetale è otto volte più potente di quella che preveda solo consumi di prodotti locali.

Nell'agosto del 2008, l'associazione di consumatori tedesca Foodwatch pubblica un report sull'impatto dell'agricoltura e dell'allevamento sull'effetto serra, svolto dall'Istituto tedesco per la Ricerca sull'Economia Ecologica; lo studio tiene conto delle emissioni di CO2 risultanti dalla coltivazione dei mangimi per gli animali, dall'utilizzo dei pascoli per l'allevamento e dalle deiezioni prodotte dagli animali stessi. [241]

Il confronto è stato esplicitato in termini di "km equivalenti" percorsi in auto (una vettura di marca BMW, modello 118D), e determina a quanti km percorsi in auto equivale 1 kg di diversi alimenti come carne e grano. Ne risulta che il tipo di alimentazione più ecologista è quella 100% vegetale. L'alimentazione latto-ovo-vegetariana ha un impatto 4 volte più alto, quella onnivora 8 volte più alto.[242]

Nel 2011, uno studio dell’organizzazione americana Environmental Working Group stila la classifica dei prodotti che causano più emissioni di gas serra evidenziando l’enorme impronta ecologica dei cibi di origine animale.  Sono oltre 39 i kg di CO2 rilasciati in atmosfera per ogni chilo di carne di agnello prodotta, contro il solo chilo di anidride carbonica rilasciato dalla produzione di un chilo di lenticchie

Anche in questo studio si afferma che il consumo annuale di carne pro capite è destinato ad aumentare ulteriormente (dai 37 kg attuali ai ben 52 del 2050), assieme al numero dei capi bovini, che crescerà del 70% entro la metà di questo secolo. Tra i vari problemi causati da questa tendenza, gli scienziati evidenziano quello dei prezzi globali del cibo che, a causa delle sempre più vaste colture dedicate alla produzione di mangimi per bestiame, continueranno ad essere “sostanzialmente più alti”. [243]

Anche nell'articolo "Cibo, allevamenti, energia, cambiamenti climatici e salute" [244] il focus è sulle proiezioni di crescita del consumo di carne, e sulle sue conseguenze su ambiente e società.

I ricercatori, dopo aver esaminato l'impatto che ha sull'effetto serra la produzione di cibi animali, affermano che l'unica soluzione è quella di ridurre il consumo di prodotti animali da parte dei paesi più ricchi, e fissare una soglia da non superare per i paesi in via di sviluppo, in modo che tutti i paesi convergano verso lo stesso livello di consumo, molto più basso di quello attuale dei paesi ricchi (non più di 90 grammi di carne al giorno pro-capite mentre attualmente è di 101 grammi di media globale, di cui47 grammi nei paesi in via di sviluppo e 224 grammi nei paesi industrializzati).

Per arrivare a 90 grammi nei paesi industrializzati occorre dunque più che dimezzare il consumo di carne, per la precisione arrivare a un consumo che sia del 40% rispetto all'attuale. La conclusione degli scienziati è che il problema del cambiamento climatico richiede risposte forti. Come sostengono gli autori dell'articolo, all'obiezione secondo cui la diminuzione dei consumi e la convergenza verso un livello comune non potrà funzionare perché la gente ama mangiare carne, si deve rispondere con l'urgenza e la necessità estrema di un cambiamento per fermare un problema ben più serio delle preferenze alimentari degli individui.

Le persone più informate, nei paesi ricchi, specie in Gran Bretagna, stanno già dimostrando di voler ridurre il consumo di cibi animali, soprattutto allo scopo di prevenire il rischio di malattie cardiovascolari. Per spingere tutta la collettività a fare questa scelta, affermano gli autori, sarà utile eliminare i sussidi statali alla produzione di mangimi animali (grano e soia) e all'allevamento, in modo che il prezzo al consumo rispecchi i reali costi, aumentando e fungendo così da deterrente. Questo inoltre aiuterebbe a dirottare i raccolti verso i paesi poveri, per il diretto consumo umano, riducendo la "concorrenza" tra la coltivazione di cibo per gli animali e quella di cibo per gli umani.

Gli studiosi concludono affermando che la proposta porterebbe a molti effetti collaterali positivi quali una dieta più sana, una migliore qualità dell'aria, una maggiore disponibilità di acqua, e una razionalizzazione dell'uso dell'energia e della produzione di cibo.

"Non mangiare carne, va' in bici, sii un consumatore frugale", ecco come fermare il riscaldamento globale secondo Rajendra Pachauri, premio Nobel e direttore dell'IPCC, il Panel Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici delle Nazioni Unite, nelle parole pronunciate il 15 gennaio 2008 a una conferenza stampa tenutasi a Parigi.[245]

Il dossier emesso nel 2007 dall'IPCC[246] sottolinea infatti "l'importanza di cambiare stile di vita" per combattere il riscaldamento globale. In occasione della conferenza stampa parigina, il direttore dell'IPCC, per coerenza vegetariano, aggiunge anche: "E' qualcosa che l'IPCC ha avuto paura di affermare prima, ma ora l'abbiamo finalmente detto".

E continua chiedendo: "Per favore, mangiate meno carne, la carne e' un prodotto ad altissimo consumo di carbonio", sottolineando nella stessa frase che alti consumi di carne sono dannosi per la salute.


Gli animali: la responsabilità “vicariata” di determinare vita e morte di altri esseri senzienti

 

Verrà un tempo in cui considereremo l'uccisione di un animale con lo stesso biasimo con cui consideriamo oggi quella di un uomo.  Leonardo da Vinci.

 

Uccidere è un atto dalle forti connotazioni negative.

Sebbene nelle religioni e nelle istituzioni giuridiche che gli uomini si danno, venga considerata per lo più l'uccisione di un individuo appartenente alla propria razza (l'omicidio), anche l'uccisione di esseri viventi di altre specie, alle quali riconosciamo una sorta di fratellanza, assume per traslato almeno parte della stessa valenza negativa.

Molti di noi non sarebbero in grado di uccidere un animale, o proverebbero un certo dispiacere nel farlo.  E' questa una tendenza naturale dell'individuo sano, quella di cercare il piacere e fuggire il dolore. L'istinto naturale di riconoscere l’unicità di una vita, anche in un essere vivente diverso da sé.

Mangiare carne significa demandare quotidianamente la responsabilità di far cessare la vita di un essere vivente a una terza persona, la quale dovrebbe rinunciare agli scrupoli morali che avrebbe la maggior parte di noi nel compiere un tale atto. A fare il lavoro sporco ci pensano i facchini sottopagati delle cooperative, nell'alienazione dei macelli Inalca, ma i mandanti sono i consumatori del prodotto carne.

L'uomo, il consumatore, sa bene che gli animali sono esseri senzienti, capaci di provare anch'essi sensazioni, emozioni e sentimenti; e sa pure che una mucca, sotto questo aspetto, non è molto diversa da un cane. Ma, nel considerare altri esseri viventi come il suo cibo, deve abdicare alla ragione e trattare gli animali come cose, affinché l’attività di allevamenti, mangimifici, impianti di macellazione e catene di distribuzione risulti economicamente compatibile con i livelli produttivi richiesti dal mercato e il prodotto venga garantito ad un prezzo accessibile ai consumatori.

Per essere economicamente sostenibile infatti, la zootecnia chimica e intensiva deve giocoforza puntare sul contenimento dei costi: negli allevamenti intensivi gli animali vengono allevati in spazi ristrettissimi, senza la possibilità di godere della luce del sole, neanche una volta nella vita.

Nei macelli, gli animali sono soltanto “capi” da abbattere. Sono un numero. Sono cibo. Non può esservi alcuna compassione per loro.

Per riuscire a digerire moralmente un pasto morto, l'uomo ha bisogno di separare l'immagine dell'animale che ha nel piatto dalle circostanze della sua morte. I macelli sono sempre nascosti alla vista del pubblico; nelle pubblicità, la mucca viene messa in scena in una improbabile e anacronistica fattoria, non nell'atto di venire stordita e poi smembrata da un facchino con mansioni da macellatore.

Nei paesi di lingua anglosassone la separazione fra animale vivo e animale cibo viene operata anche sul piano linguistico: la mucca viva si chiama cow mentre la mucca cibo si chiama beef, evitando così l'uso dello stesso termine per ciò che è vivo e ciò che è morto. Difficilmente la parola "porc" ricorderà a un anglosassone il simpatico maialino rosa, scodinzolante e giocoso, osservabile ormai quasi soltanto nei documentari televisivi sugli animali; quello scodinzolante e simpatico infatti si chiama "pig", ed è quello “bello”; mentre il “porc” è quello “buono”. Questo meccanismo aiuta gli inglesi a non pensare di che cosa è morto il proprio cibo.

Nel corso della propria vita (calcolata in 80 anni), "ogni italiano uccide per cibarsene circa 1400 animali tra bovini, polli, tacchini e altri volatili, maiali, conigli, cavalli".[247]

E' bene conoscere l'entità delle proprie responsabilità ma, eticamente, uccidere cento non fa differenza dall'uccidere uno. E non si tratta solo di dare la morte a qualcuno (per taluni a qualcosa).

Le sofferenze degli animali infatti, con la morte, finiscono. Mentre cominciano con la sottomissione e l'imprigionamento, e continuano con l'alienazione, la deprivazione, i maltrattamenti, le mutilazioni. Il continuum è rappresentato dalla negazione sistematica delle loro esigenze naturali, finanche fisiologiche. E da un comportamento che, se fosse esercitato sull'uomo, l'uomo stesso non esiterebbe a definire inumano (la sistematizzazione dello sterminio è molto simile, per efficienza e per metodi, a quella operata dai nazisti ai danni degli individui di fede ebraica e non solo, in nome di una presunta diversità tra le razze).

Negli attuali allevamenti industrializzati, "miliardi di animali destinati al macello sono costretti a vivere incatenati o chiusi in gabbie sovraffollate, incompatibili con le loro esigenze fisiologiche, privati della minima libertà di movimento, impediti nella pratica di istinti affettivi e sessuali, mutilati, sottoposti a costanti terapie antibiotiche ed ormonali (sia per prevenire l’esplosione di epidemie che per velocizzare la loro crescita), ad un’illuminazione ininterrotta che impedisce loro di dormire, nutriti con alimenti inadeguati, chimici e innaturali (fino ai casi delle mucche costrette al cannibalismo), costretti a respirare un’aria satura di anidride carbonica, idrogeno solforato, vapori ammoniacali, polveri varie e povera d’ossigeno".[248]

Gli animali sfruttati in questo modo, "oltre a manifestare gravi patologie organiche e psicologiche (galline che si uccidono beccandosi fra loro, cannibalismo della madre verso i piccoli fra i conigli, suini che si divorano la coda), subiscono menomazioni e manipolazioni genetiche".[249]

Le pecore sono animali da reddito privilegiati poiché sono le uniche a vivere per lo più all’aperto. In cambio di questo privilegio, vengono costrette a sopportare i rigori dell’inverno senza la protezione naturale del loro mantello, a causa della tosatura, che per gli animali rappresenta una menomazione e un momento di grande sofferenza, essendo questa pratica molto più violenta di quanto comunemente si immagini.[250]

Inoltre, le pecore sono costrette a figliare continuamente, pena la macellazione in caso di perdita di capacità produttive, mentre gli agnellini maschi vengono uccisi a poche settimane di vita, specialmente in occasione delle festività pasquali, per una "tradizione" degli umani. La Natura viene negata dalla cultura.

Nonostante la globalizzazione dei mercati, l’Italia è uno dei pochi paesi al mondo che consuma carne di cavallo. I cavalli arrivano dai paesi dell’est dopo una vita di duro lavoro, con viaggi estenuanti in condizioni infernali, per venire infine ammazzati nei nostri macelli.

La morte degli animali allevati è preceduta da trasporti lunghi ed estenuanti verso i mattatoi. "Stipati nei camion, senza potersi muovere per molte ore e spesso molti giorni, senza poter bere o mangiare, soffrendo il caldo o le intemperie, arrivano al macello in gravi condizioni di stress, spesso così debilitati da non riuscire nemmeno ad alzarsi. Qui, a causa della rapidità delle linee di macellazione (talvolta fino a 400 capi all’ora ognuna) spesso non sono storditi in maniera corretta e sono quindi coscienti quando viene loro tagliata la gola, quando sono scuoiati, decapitati, squartati, o quando giungono nell’acqua bollente delle vasche di scottatura.

Un operaio di un macello americano, nel corso di un’intervista, ha dichiarato che almeno il 15% degli animali muore ogni giorno “pezzo dopo pezzo”, roteando gli occhi e muovendo la testa (alcuni suoi colleghi userebbero protezioni da hockey per non subire gravi lesioni dagli animali agonizzanti). Per i suini il momento del macello è particolarmente penoso, perché il numero delle uccisioni è altissimo, anche 1000 animali in una mattinata. In queste situazioni lo stordimento molte volte non viene ben applicato, e quindi gli animali vengono sgozzati, e poi gettati nelle vasche di acqua bollente, ancora coscienti. Infatti, quando se ne esaminano i polmoni, molto spesso si vede che contengono sia sangue che acqua, il che dimostra che gli animali erano ancora vivi e hanno respirato acqua bollente quando sono stati gettati nelle vasche. L’unica morte davvero indolore renderebbe necessario narcotizzare l’animale, ma questo non è possibile, perché le sue carni devono poi essere mangiate".[251]

Il decreto legislativo 333/98[252], sebbene si intitoli "Tutela del benessere degli animali durante la macellazione", "lascia la possibilità agli stabilimenti che non abbiano ancora adeguato ed ammodernato le proprie strutture di derogare, cioè di non procedere alle operazioni di stordimento degli animali per i volatili da cortile, i conigli, i suini, gli ovini e i caprini. Questo permette comportamenti che significano dolore, angoscia, terrore per gli animali: per chi avesse rimosso il significato reale di tale concessione significa macellazioni condotte su animali ancora vivi e senzienti che si dibattono, gridano, urlano”. Un altro punto critico del decreto è rappresentato dal persistere di alcuni sistemi di macellazione molto violenti, quali l'elettrocuzione attraverso elettrodi introdotti nell'ano o nella bocca, sistema molto utilizzato per gli animali da pelliccia, che possono essere eseguiti senza preventivo stordimento ed espongono gli animali ad acute sofferenze".[253]

La violenza non è legata solo al prodotto carne ma anche ai suoi derivati.

Le mucche “da latte” sono selezionate geneticamente e inseminate artificialmente allo scopo di produrre quanto più latte possibile. Dall’età di circa due anni, trascorrono in gravidanza nove mesi ogni anno. Poco dopo la nascita, "i vitelli sono strappati alle madri (provocando in entrambi un trauma), perché non ne bevano il latte, e rinchiusi in minuscoli box larghi poche decine di cm, in cui non hanno nemmeno lo spazio per coricarsi, e quindi neanche la possibilità di dormire profondamente. Sono alimentati con una dieta inadeguata apposta per renderli anemici e far sì che la loro carne sia bianca e tenera (come piace ai consumatori) e infine sono mandati al macello. La mucca verrà quindi munta per mesi, durante i quali sarà costretta a produrre una quantità di latte pari a 10 volte l’ammontare di quello che sarebbe stato necessario, in natura, per nutrire il vitello. Non sorprende che ogni anno un terzo delle mucche sfruttate nei caseifici soffra di mastite (una dolorosa infiammazione delle mammelle)". [254]

Per aumentare la produzione di latte, "la mucca è alimentata con proteine molto concentrate, ma neppure queste spesso sono sufficienti, tanto da provocare lacerazione dei tessuti per soddisfare la continua richiesta di latte (in Inghilterra hanno coniato un termine per definire questa pratica: “milking off the cow’s back”, ossia mungitura del posteriore della mucca). Ciò provoca una condizione chiamata acidosi, che può rendere zoppo l’animale e ciò accade ogni anno al 25% delle mucche sfruttate nei caseifici. A circa cinque o sei anni d’età, ormai esausta e sfruttata al massimo, la mucca verrà macellata. La durata della sua vita, in natura, sarebbe stata di circa 20 anni".[255]

Per quanto riguarda la produzione di uova, "le galline sono costrette a vivere (fino a gruppi di quattro) in gabbie delle dimensioni di un foglio A3", spesso non poggiate a terra. Le loro ali si atrofizzano a causa dell’immobilità forzata; crescendo a contatto della griglia di ferro della pavimentazione, le loro zampe crescono deformi.

Negli allevamenti che producono galline ovaiole, "i pulcini maschi (inutili in quanto non in grado di produrre uova, né adatti alla produzione di carne di pollo) sono gettati vivi in un tritacarne, o soffocati in buste di plastica, o schiacciati in apposite macchine per diventare mangime, mentre a quelli femmina viene tagliato il becco per impedire loro di beccare a morte le compagne. Questa procedura, che comporta il taglio di tessuti teneri simili alla carne che gli umani hanno sotto le unghie, è così dolorosa che molti pulcini muoiono per lo shock. Inoltre, questa operazione lascia spesso scoperti i terminali nervosi presenti nel becco, determinando così un dolore continuo per tutta la vita dell’animale". [256] Non appena la produttività delle galline diminuisce sotto il livello fissato, di solito dopo 2 anni, sono sgozzate per diventare carne di seconda scelta.

I polli “da carne” invece "sono allevati in capannoni affollatissimi, fino a 10-15 polli per metro quadrato, sotto la luce sempre accesa, perché crescano in fretta. A 45 giorni vengono ammazzati, mentre in natura potrebbero vivere fino a 7 anni”.[257]

Le oche ricevono un trattamento particolare poiché vengono sottoposte alla pratica del “gavage”: vengono immobilizzate e ingozzate con un imbuto fino a che il loro fegato si spappola, producendo il famoso “paté de foie gras”, altro capriccio umano basato sulla menomazione della natura che, se rivolto agli uomini, si chiamerebbe tortura.

Nella fantasiosa rappresentazione della natura che sottende i rapporti che gli umani hanno con gli animali, i pesci quasi non sono considerati animali. Silenziosi, occupano un gradino ancora più basso degli altri animali, nella scala dell’umana compassione. Eppure, "i pesci provano dolore, molti di loro hanno sistemi nervosi complessi, alcuni, come il polpo, sono particolarmente intelligenti e capaci di compiere attività elaborate. La loro morte è ancora peggiore: muoiono asfissiati, in una lenta agonia, muta, perché non siamo in grado di sentire i suoni che emettono. A volte arrivano nei banchi delle pescherie ancora vivi a terminare la loro agonia tra il ghiaccio. I crostacei e i molluschi finiscono bolliti vivi.

Fuor di pubblicità, sono queste le pratiche necessarie per garantire ai consumatori globali il prodotto carne.

Il mondo è in continua evoluzione e forse, come affermò il filosofo Jeremy Bentham, "Verrà il giorno in cui il resto degli esseri animali potrà acquisire quei diritti che non gli sono mai stati negati se non dalla mano della tirannia. I francesi hanno già scoperto che il colore nero della pelle non è un motivo per cui un essere umano debba essere abbandonato senza riparazione ai capricci di un torturatore. Si potrà un giorno giungere a riconoscere che il numero delle gambe, la villosità della pelle, o la terminazione dell’osso sacro sono motivi egualmente insufficienti per abbandonare un essere sensibile allo stesso fato. Che altro dovrebbe tracciare la linea invalicabile? La facoltà di ragionare o forse quella del linguaggio? Ma un cavallo o un cane adulti sono senza paragone animali più razionali, e più comunicativi, di un bambino di un giorno, o di una settimana, o persino di un mese. Ma anche ammesso che fosse altrimenti, cosa importerebbe? Il problema non è 'Possono ragionare?', né 'Possono parlare?', ma 'Possono soffrire?'”.[258]

Nel testo del filosofo c'è l'elemento più problematico del comportamento dell’uomo verso gli altri esseri viventi: i diritti umani sono spesso vilipesi mentre quelli degli animali non vengono neanche riconosciuti.


Un prodotto pericoloso: l’impatto della carne sull’organismo umano

 

Secondo un numero crescente di persone, l'uomo sarebbe un frugivoro adattabile. Di conseguenza, gli alimenti più indicati alla sua alimentazione sarebbero la frutta matura, capace di fornire i carboidrati complessi essenziali per il sangue e l'energia, e i vegetali a foglia verde, contenenti i minerali essenziali.

E in effetti, immaginando uno stato di natura primordiale, è pacifico che i primi uomini non mangiassero carne ma soltanto ciò che era alla loro portata, ovvero frutta. La caccia è una "abilità", una dote acquisita e non innata.  L'uomo non possiede nel suo corpo le armi per predare, che costruirà soltanto in uno stadio successivo come artefatti. Non vede nel buio, non ha denti per scarnificare o uccidere le prede, né artigli. Molti uomini, a mani nude, non riuscirebbero a predare nemmeno una zanzara.

La differenza più evidente fra l'uomo e un qualsiasi predatore è che l'animale carnivoro ha l'intestino corto mentre quello dell'uomo appare, nel confronto, decisamente lungo. La nostra conformazione anatomica e i nostri processi digestivi ci rendono simili alle scimmie antropomorfe da cui infatti discenderemmo, le quali hanno abitudini alimentari vegetali. L’essere umano, come i primati, è sprovvisto dell’enzima che consente agli animali carnivori di eliminare l’acido urico, che nell’uomo provoca la gotta. Gli animali carnivori, per digerire la carne, dispongono di succhi gastrici molto più potenti di quelli su cui possono contare gli umani.

Da questa prospettiva di comparazione, quando gli scienziati affermano che l'uomo è onnivoro, essi esprimerebbero semplicemente un'evidenza della condizione attuale, condizione che potrebbe essere solo un’aberrazione di quella originaria naturale. I gabbiani di oggi, nelle città,  mangiano cose inimmaginabili che trovano nei rifiuti, ma non per questo sono "rifiutivori".

Una misura della reale adattabilità dell'essere umano però può ragionevolmente evincersi da come questo reagisce ai diversi alimenti che introduce nel suo corpo.

Pare infatti ormai assodato dalla comunità scientifica che una dieta a base di alimenti di origine animale porti a molte malattie degenerative che costituiscono le prime cause di morte nei paesi ricchi. La presunta adattabilità dell'uomo vacilla davanti a un numero sempre più massiccio di studi nutrizionali il quale dimostrerebbe che per prevenire e curare le più comuni e gravi patologie degenerative tipiche dei paesi industrializzati occorrerebbe cambiare dieta, riducendo il più possibile, o escludendo del tutto, i prodotti di origine animale.[259]

Da anni, l'American Dietetic Association (ADA) promuove un'alimentazione che esclude totalmente i prodotti animali dalla dieta di uomini, donne, donne gravide, donne che allattano, bambini e sportivi.  Forti di oltre 250 lavori scientifici pubblicati su riviste mediche internazionali, la più importante associazione di nutrizionisti a livello internazionale afferma che "le diete vegetariane correttamente bilanciate sono salutari e nutrizionalmente adeguate, consentendo l’assunzione di tutti i nutrienti necessari, in ogni fase della vita".[260]

La posizione dell'ADA è che tali diete consentirebbero la prevenzione e il trattamento di una serie di importanti patologie, mentre l’assunzione di alimenti animali porterebbe con sé un’elevata probabilità di contrarre le cosiddette malattie del benessere: diabete, problemi renali, obesità, osteoporosi, ipertensione, malattie cardiache, calcoli biliari, cancro. Queste disfunzioni costituiscono le principali cause di mortalità nei paesi sviluppati.[261]

Sono molte le ricerche che correlano al consumo di alimenti animali un rischio superiore a quello di sostanze universalmente considerate nocive quali il tabacco, o l'alcool. Secondo un rapporto del Surgeon General degli Stati Uniti, più di 1,5 dei 2,1 milioni di decessi riscontrati nel 1987 possono essere messi in relazione a fattori alimentari, soprattutto al consumo di grassi saturi e colesterolo contenuti nella carne.[262]

Tutti gli studi concordano nel ritenere che le patologie cardiovascolari, neoplastiche e l'obesità siano in diretta correlazione con l'eccessivo consumo di grassi, in particolare di grassi saturi, che farebbero depositare il colesterolo nei vasi arteriosi, causando danni irreparabili all'organismo umano. I prodotti di origine animale sono ricchi di questi grassi, mentre quelli di origine vegetale ne sono poverissimi. [263] Un cospicuo numero di studi epidemiologici ha infatti accertato come, in una dieta vegetale, "grazie all'abbondante introduzione di vitamine, minerali, fibre, carboidrati complessi, oligoelementi, biostimoline e molte altre sostanze sinergiche, nei soggetti che si alimentano in questo modo sia considerevolmente minore l'incidenza di patologie gravi quali tumori, ipertensione, arteriosclerosi, infarto, ictus, diabete, obesità, osteoporosi, calcoli e altre patologie che costituiscono le principali cause di malattia e mortalità nei paesi industrializzati".[264]

Secondo il National Cancer Institute, le percentuali stimate di casi di cancro dovuti a fattori di rischio specifici sarebbero del 35-60% per la dieta e del 30% per il tabacco. Le stime attribuiscono all'inquinamento ambientale dall'1 al 5% dei casi e all'alcol il 3%, seguito dai farmaci, con un punto percentuale in meno[265]

Il più importante studio epidemiologico sull’argomento è rappresentato dal China Health Project, che il New York Times celebra come “il Gran Premio dell’Epidemiologia”, che esamina gli effetti dei cambiamenti nella dieta dal 1978 al 1990 in 25 diverse province della Cina.

I dati degli 8000 soggetti esaminati hanno confermato che l’aumento delle calorie e delle proteine provenienti da alimenti animali, in netto trend di crescita, ha provocato un aumento proporzionale di obesità, tumori, malattie cardiocircolatorie e diabete.[266] Secondo uno dei direttori della ricerca, “Il disastro inizia quando la gente introduce nella propria dieta gli alimenti di origine animale”.[267]

Molti altri studi si sono concentrati sull’influenza dell’alimentazione su singole malattie quali l'infarto,[268] l'insufficienza renale cronica,[269] le neoplasie,[270] in particolare il cancro alla mammella,[271]alla prostata,[272] alle ovaie, all’utero,[273] al colon,[274] e l'osteoporosi.[275]

Questo paragrafo potrebbe essere molto lungo. Le ricerche che sottolineano la pericolosità di carne e derivati si susseguono a ritmi davvero sostenuti.  Un mese fa, nell'ottobre 2012, viene pubblicata una ricerca della Western University, in Canada, che dimostra come mangiare rossi d'uovo acceleri l'aterosclerosi in modo simile al fumare sigarette.[276] Neanche un mese prima, il 12 settembre 2012, uno studio pubblicato sul British Medical Journal Open, evidenziava come i soggetti che hanno consumato minor quantità di prodotti a base di carne rossa e trasformati aveva ridotto il rischio di contrarre malattie cardiache, diabete e cancro del colon-retto, rispetto a coloro che ne consumano di più.[277]

Sul sito della Società Scientifica di Nutrizione Vegetariana, è disponibile una rassegna stampa delle ricerche internazionali sul tema della connessione tra alimentazione e salute, con i collegamenti ai testi degli studi e alla loro traduzione in italiano. La quantità di pubblicazioni è impressionante e servirebbero diverse pagine soltanto per citarle.

Ci sarebbe anche da discorrere intorno al fatto che le sostanze tossiche, sempre più presenti nell’ambiente, tendano ad accumularsi nei tessuti grassi. Più un animale è posto in alto nella catena alimentare, più è elevato il rischio di contaminazione delle sue carni e dei prodotti da esso derivati, trasferendosi le sostanze trasferiscono dal cibo ingerito ai suoi tessuti. A parità di inquinamento ambientale, i cibi animali sono molto più tossici dei cibi vegetali, in cui le sostanze velenose transitano velocemente.

Negli allevamenti, le mucche sono costrette a produrre una quantità di latte pari a dieci volte l'ammontare di quello che produrrebbe in natura per nutrire il proprio vitello. In piena attività produttiva, le mammelle producono circa 40 litri di latte al giorno. Ogni anno un terzo delle mucche sfruttate nei caseifici soffre di mastite, una dolorosa infiammazione delle mammelle, che viene curata con antibiotici, [278]

Gli animali d'allevamento, essendo tenuti in condizioni di deprivazione e sofferenza, e mantenuti in vita solo grazie alla grande quantità di farmaci e antibiotici che viene mescolata ai mangimi, non sono mai sono animali sani. Come potrebbero esserlo i loro prodotti?

Nello specifico del latte, il liquido secreto dalle ghiandole mammarie delle mucche d'allevamento può contenere farmaci di vario genere, erbicidi e pesticidi usati per coltivare i mangimi per gli animali, sangue, pus, feci, batteri e virus.

Una normativa comunitaria[279] definisce la quantità massima di pus ammessa nel latte, fissandola in 400.000 "cellule somatiche" (il nome scientifico per indicare quello che comunemente e' chiamato "pus") per millilitro. Mentre il tetto per il tenore di germi è fissato in 100.000 unità. In un litro di latte dunque, sono ammessi per legge fino a 400 milioni di cellule di pus e 100 milioni di germi.

A completare il quadro clinico dei prodotti di origine animale, bisogna almeno nominare le patologie indotte dai microrganismi presenti nella carne, nel pesce o nei derivati, contaminazione che avverrebbe tramite il contatto con le feci durante il processo di macellazione o, precedentemente, attraverso acqua contaminata, quali Salmonella,[280] Campylobacter, E.coli[281] e Yersinia.[282]

Ma lo scopo di questo paragrafo è soltanto quello di dimostrare che il consumo dei prodotti della zootecnia, ovvero di carne e derivati, comporta diversi pericoli per la salute umana.

Un prodotto che fa male non può essere un prodotto responsabile, e la carne fa male.


Una questione di punti di vista: Richard Berman e il Center for Consumer Freedom

 

Che fine fanno le evidenze scientifiche riportate, solo in parte, nel paragrafo precedente? O le informazioni squalificanti accertate sul conto di Novartis, Bayer e McDonald's? Cosa arriva al consumatore, agli investitori e alle istituzioni che non avessero già un'opinione dell'azienda fondata su informazioni autonomamente reperite?

Il parere di chi scrive è che si perdano tra i numerosi stimoli che raggiungono l'uomo contemporaneo il quale, paradossalmente, pur avendo i mezzi per costruire una sua immagine della realtà autonomamente, è costretto a operare una scelta "pigra": l'informazione che lo raggiunge prima è quella vincente, poiché non viene verificata, per mancanza di tempo, di interesse, di risorse, di fonti, o semplicemente perché l'individuo viene distolto da un altro stimolo. In natura ciò che è dato a una cosa, necessariamente è tolto a un'altra. Questo vale anche per l'attenzione, e il tempo[283].

A rendere parzialmente conto della natura del flusso comunicativo volto alla formazione di opinioni e atteggiamenti intorno al prodotto, ma anche a rompere un po' la serietà delle argomentazioni sin qui portate, è Richard Berman, spin doctor[284] e lobbista d'assalto americano per eccellenza, autoappellatosi "Dr Evil".

Berman è un uomo che va conosciuto. Almeno per quello che fa; perché conoscendo Berman si può intravedere parte di un meccanismo comunicativo intrusivo e assertivo, ma soprattutto assolutamente autoreferenziale, che raggiunge e influenza una buona fetta di pubblico.

Rick Berman è presidente, direttore esecutivo e direttore del CCF (Center for Consumer Freedom), una organizzazione non profit "dedicata a promuovere la responsabilità personale e a proteggere le scelte del consumatore". Sul sito web del CCF si legge anche:"Noi crediamo che il consumatore sia re. E regina".[285]  Sempre sul sito, con toni patriottici, si inneggia alla libertà del consumatore di comprare, mangiare e bere ciò che vuole, e si invita alla lotta contro "una cabala crescente di attivisti che si è immischiata nella vita degli americani", contro la "polizia del cibo" e i "misantropi dei diritti animali", il cui comun denominatore sarebbe quello di "sapere sempre ciò che è meglio per te". I toni sono quelli della propaganda di guerra. Tutta la comunicazione è giocata sulla distanza tra il lettore e gli altri (scienziati, attivisti, politici, organizzazioni, rei di limitare il consumatore nelle sue legittime scelte), che vengono insultati e derisi.

Nella home page (la pagina principale), un video, fra l'orwelliano e il demenziale, che mette in scena un improbabile processo ai biscotti, a rappresentare la futilità delle argomentazioni di coloro che tentano di manipolare il consumatore.

Berman riceve donazioni da industrie del settore della ristorazione (tra le quali McDonalds), degli alcolici e del tabacco, di cui difende gli interessi a suon di campagne e di siti web. La sua tattica è quella di creare una moltitudine di "front group", altre organizzazioni non profit e altri canali il cui compito è quello di contrastare le informazioni nocive al prodotto da difendere.

Ha un sito per tutto: volendosi documentare sul mercurio contenuto dal pesce, è facile imbattersi in "mercuryfacts.com", un sito di Berman dove si incoraggiano anche le donne in gravidanza a mangiarne tranquillamente (il sito venne aperto nel 2006 per contrastare le raccomandazioni "proibitive" della "U.S. Food and Drug Administration").

Se una proposta di legge minaccia di ridurre il tasso alcolico consentito ai guidatori, l'"American Beverage Institute", di cui Berman è direttore esecutivo e presidente, è pronto a promuovere un "consumo responsabile di alcohol" difendendone il consumo sociale e sostenendo, attraverso campagne televisive o a mezzo stampa, che i tassi proposti dalla legge “sono roba da neoproibizionisti". Il claim è "Bevi in modo responsabile e guida in modo responsabile".

Berman argomenta contro il bando del fumo nei locali pubblici e la soglia di alcol nel sangue imposta dalle autorità, negai pericoli del consumo di carne rossa, quelli degli insetticidi, si oppone agli aumenti del salario minimo, nega i benefici di cibi organici, appoggia i cibi modificati geneticamente[286], nega i pericoli dei grassi trans[287] e la correlazione obesità infantile - dieta.[288] 

Rich Berman ha organizzato campagne contro Mothers Against Drunk Driving, contro lo U.S. Centers for Disease Control and Prevention, e il Center for Science in the Public Interest; ha lottato contro la legislazione che riduce l'uso di buste di plastica per la spesa, e recentemente si è beffato pubblicamente del sindaco di New York Bloomberg per gli sforzi profusi nella lotta all'obesità infantile. In quell’occasione il lobbista contrastava la proposta del sindaco, poi ratificata dal Board of Health[289], di vietare la vendita di alcune bibite gassate in bicchieri di volume superiore alle 16 once.[290] Uno spot recitava: “In America, nessuno ti dice in che quartiere  devi vivere, per che squadra sportiva devi tifare, o cosa devi mangiare. Lasceremo il dunque sindaco dirci di quale misura comprare una bibita? Se noi permettessimo loro questo, dove questo finirà” ?[291]

La disinformazione di Berman è rozza e diretta ma pervasiva, e non disdegna di azioni di guerriglia, fra cui un tentativo goffo di modificare la voce riservatagli su wikipedia, scoperto perché la traccia della connessione internet (il cosiddetto indirizzo ip) portava alla rete del CCF;[292] una imprudenza dovuta a ignoranza evidente del mezzo tecnico.

Il CCF cita ricerche autoprodotte prive di qualsiasi validità scientifica; David Martosko, l'uomo accreditato da Berman come un esperto scientifico nella campagna per screditare il parere del National Cancer Institute intorno alla pericolosità della carne rossa, si è scoperto essere un collaboratore del CCF con una laurea sì, ma in musica (opera lirica, per la precisione).[293]

La storia del "dottor Evil" non manca di dettagli drammatico-scandalistici. Nel 2009 il cantante e figlio del lobbista, David Berman, stupisce i suoi fans con una lettera in cui rivela che fra i motivi dell'abbandono della sua band (i Silver Jews), c'è proprio il padre, che il giovane descrive come "uno sfruttatore, una canaglia", e “il segreto più grave che ha dovuto portare, peggiore del tentativo di suicidio e della dipendenza dal crack".[294]

Nella lettera, dove il cantante ammette la sua vergogna per le pratiche ingannevoli del padre, c'è un ammonimento: "Letteralmente, se mangi cibo o hai un lavoro, lui ti sta contattando". [295]

Fuori dalle rappresentazioni (drammatiche o umoristiche, a seconda di quanto si deve subire il dottor Evil), nella realtà dei fatti, Berman rappresenta un ostacolo alla verità, frapponendosi prepotentemente fra questa e i consumatori.

Ogni anno il CCF spende milioni di dollari in disinformazione e distrazione dei pubblici.[296]

Berman viene usato dalle Companies come l'ultimo baluardo a difesa dell'indifendibile e la sua singolarità sta soltanto nell'estremizzare una pratica relazionale atta ad influenzare i pubblici che viene messa in atto normalmente dalle aziende, seppure con intensità, e soprattutto qualità, differenti.

Se un individuo dovesse venire a contatto con le ricerche allarmanti o le informazioni scomode che talvolta accompagnano un prodotto o una azienda cliente di Berman, è altrettanto probabile che lo stesso individuo possa trovare un antidoto (o abbia già trovato un vaccino) nelle comunicazioni e nei siti del “dottor Evil”.


Conclusioni

 

Le conclusioni di questo lavoro sono tre, e tutte molto semplici.

La prima è che, nei casi citati, rappresentati da due grandi case farmaceutiche e dalla più grande catena di ristorazione del mondo, la Responsabilità Sociale d'Impresa rappresenta soltanto una nuova logica gestionale, in risposta alle crescenti pressioni ambientali e alle sempre più numerose (e organizzate) istanze sociali. Una carta che viene giocata esclusivamente in funzione della sua comunicazione, che di fatto non corrisponde al vero, poiché l'agire degli attori economici, non rispondendo del benessere degli individui e dell'ambiente ma anzi danneggiandoli, non può dirsi responsabile.

Per Stefano Zamagni, professore di economia all'Università di Bologna, "La nozione di responsabilità rinvia sempre a quella di affidabilità, di ponderazione. Responsabile è chi sa venire a capo delle situazioni valutandone adeguatamente i rischi e gli esiti... La previsione degli effetti dell’azione è parte integrante del comportamento etico".[297]

Una buona metà di questo lavoro rende conto proprio degli "effetti" delle azioni compiute dalle imprese oggetto di analisi sull'ambiente, sulla società e sugli individui. E non sono effetti positivi.

Secondo la definizione di Lorenzo Sacconi, professore di Economia e Management all'università di Trento, la responsabilità sociale d’impresa consiste in “un modello di governance allargata d’impresa, in base alla quale chi governa l’impresa ha responsabilità che si estendono dall’osservanza di doveri fiduciari nei riguardi della proprietà ad analoghi doveri fiduciari nei riguardi in generale di tutti gli stakeholder”.[298]

In questa definizione è ben esplicitata la separazione tra il dovere fiduciario classico, quello rivolto agli shareholders (gli azionisti), e il dovere fiduciario discrezionale, quello verso tutti gli altri stakeholders. Nei casi in esame, l'unico dovere fiduciario visibile è il primo, testimoniato dalle ottime performances economiche delle compagnie; mentre è totalmente assente la seconda dimensione, che è quella propriamente caratterizzante la filosofia di RSI.

Si potrebbe notare che, con riferimento alla piramide di carrol, talune imprese si affrettano a costruirne la punta senza che essa poggi sui piani intermedi, quelli dell'obbedienza alle leggi e dell'agire etico.[299]

Lo sforzo compiuto dalle imprese nel comunicare la propria adesione a standard di eticità che poi tradiranno nella pratica del proprio business, e nel celebrare risultati ottenuti nel sociale, attraverso operazioni di carità in cui il soggetto beneficiato è scelto secondo logiche di ritorno della comunicazione, fa sospettare che lo scopo dell'adozione di politiche di responsabilità rappresenti sostanzialmente per l'azienda soltanto una possibilità di implementazione di questo strumento strategico che è la comunicazione.

L'uso opportunistico della Responsabilità Sociale d'Impresa e della sua comunicazione, però, oltre a tradire gli ideali originari e gli stakeholders, può rappresentare anche un'arma per combattere le imprese concorrenti o ridurne la forza competitiva.

Come fa notare Zamagni nel suo working paper del 2004, testo in cui l'autore si cimenta in una critica delle critiche alla RSI, in un mercato dove operino "imprese opportuniste ed imprese intrinsecamente motivate verso la RSI", e dove una massa in continuo aumento di consumatori critici punisca le prime e premi le seconde, potrebbe accadere che "le  imprese opportuniste decidano di comportarsi inizialmente in maniera ancora più etica delle altre allo scopo di marginalizzarle sul mercato e di tornare poi a comportarsi come in precedenza". [300]

"In questo caso", continua l'autore "l’eterogenesi dei fini sarebbe assicurata: la RSI diventerebbe strumento per fare crowding out; per spiazzare cioè le imprese virtuose ed accrescere la rendita monopolistica".[301]

Un altro elemento di critica alla RSI che anche Zamagni riconosce come giusto nel suo esame, è il pericolo di "trade-off tra impegno morale e impegno sociale" che i comportamenti socialmente responsabili possono occultare.

Assunto che non è socialmente responsabile l’impresa che non ha scrupoli mentre produce ricchezza e diventa compassionevole al momento della distribuzione della ricchezza prodotta, il pericolo è rappresentato dal fatto che, dietro al social commitment (spesso erroneamente confuso dai pubblici con la RSI), "manager cinici possano coprire l’assenza di scrupoli morali. E poiché la capacità di donazioni filantropiche è correlata alle dimensioni d’impresa, potrebbe accadere che i grandi gruppi di pressione riescano, più facilmente dei piccoli, a 'comperarsi' la reputazione ritenuta necessaria, salvo mutare strategia quando il contesto competitivo diventasse particolarmente severo".[302]

La reputazione è un trait d'union con la seconda conclusione di questo lavoro, che è la seguente: indici, certificazioni di enti terzi, classifiche, recensioni e riconoscimenti di organizzazioni preposte alla diffusione della RSI non sono strumenti in grado di garantire la responsabilità realmente assunta dalle imprese.  Novartis, Bayer e McDonald's, pur non potendosi dire imprese responsabili, compaiono tutte nel prestigioso Dow Jones Sustainability World Index, la bibbia degli investitori mondiali. Questo nonostante la loro dubbia reputazione.

Per Lorenzo Sacconi, la responsabilità sociale d'impresa "E’ la base per conservare e accrescere uno degli asset più preziosi, benché intangibili, dell’impresa: la reputazione".[303] Secondo il Sacconi, non ci sarebbe nessun vantaggio strategico nella manipolazione: "il rischio è perdere la propria reputazione o addirittura distruggere totalmente la fiducia".

L’autore ammette anche la possibilità che alcune organizzazioni possano, con i loro comportamenti, "danneggiare la reputazione di altre".[304]

Il fuoco è sempre sulla reputazione. Anche il vantaggio della relazione con enti terzi sarebbe in reputazione: “La verifica indipendente e certificazione di terza parte può aumentare l’impatto e il premio reputazionale a favore delle imprese che 'fanno sul serio'”.[305]

Il sistema su cui si innesta il modello del Sacconi può contare su una serie di parametri numerosi e difficili da mantenere costanti nella complessità del reale, quali una verifica con conseguente certificazione, che sia esterna, "attuata da organi effettivamente indipendenti", e che "adottino effettivamente il punto di vista dello stakeholder medio".

Questi enti, "per il loro disegno organizzativo" non dovrebbero poter "essere sospettati neppure lontanamente di agire in conflitto di interessi”, dovendo la verifica "operare come un 'watch dog' indipendente che garantisce gli stakeholder e premia le imprese meritevoli". Inoltre, "Occorre un’istituzione della società civile (un ente multistakeholder) che 'possieda' gli standard, ne diffonda la conoscenza, accrediti i verificatori e ne controlli l’operato e in ultima istanza rilasci l’attestazione di qualità/conformità del sistema di gestione per la CSR".[306]

L'ente dovrebbe "Garantire gli stakeholder circa l’attendibilità della comunicazione d’impresa sulla CSR", così come svolgere indagini sul profilo di responsabilità delle imprese e offrire al pubblico le informazioni necessarie a formarsi un giudizio, e in particolare agli operatori della finanza etica, ai consumatori ecc.".[307]

Il Sacconi è ottimista, poiché teorizza un "meccanismo" composto da "ingranaggi" numerosi e congegnati per garantire qualcosa soltanto a condizione che funzionino tutti.

Inoltre l'autore non specifica quali categorie di stakeholders sarebbero ammesse a partecipare al cosiddetto ”ente multistakeholder”; in che modo e in che proporzione.

Ma introduce almeno un meccanismo di controllo basato sui fatti nel tempo, prevedendo che "Gli stakeholder baseranno il loro giudizio sulla corrispondenza fra eventi / principi e procedure annunciate ex ante / comportamenti adottati".[308]

Tornando alla reputazione, frutto degli "standard di comportamento" adottati e comunicati, esiste una interessante letteratura intorno all'applicazione del suo concetto nel campo pratico della RSI.

Stefano Scarcella Prandstraller ne rende conto in una trattazione su "Identità, immagine e reputazione",[309] dove l'autore comincia con l'analizzare le diverse definizioni delle tre dimensioni dell'azienda, quelle del titolo della trattazione appunto, e finisce col dipingere il meccanismo comunicativo che alla creazione di quelle dimensioni contribuisce.

Ai fini di questo lavoro, molto utili si rivelano la definizione del Devoto Oli, che descrive la reputazione come "la considerazione altrui sentita come misura della qualità e della moralità delle azioni", quella dell'Oxford Dictionary, che suggerisce "l'opinione che la gente ha di qualcuno o di qualche cosa, in base a ciò che è avvenuto nel passato", e quella di Muzi Falcone, per cui la reputazione si riferisce alla "percezione dell'organizzazione che ne hanno i soggetti in base alle loro esperienze nel tempo, diretta o indiretta".

Tutte le definizioni legano la reputazione a una dimensione concreta, fattuale e temporale. E' questa concretezza che caratterizza la reputazione e la separa dall'immagine, che è invece "frutto di una deliberata costruzione, spesso priva di ogni rapporto realistico con l'identità profonda dell'impresa". [310]

Anche Emanuele Invernizzi ravvisa in queste due dimensioni, del tempo e dell'azione, l'esplicazione del concetto, le cui differenze con l'immagine sono evidenti nel fatto che "la reputazione si forma solo con il passare del tempo e che la si può perdere, ma non la si può migliorare rapidamente", e che "la reputazione si fonda sui comportamenti e sulle azioni compiute dall'organizzazione e quindi sulla storia reale".[311]

Ebbene il passato di Novartis, Bayer e McDonald's è pieno di zone oscure, costituite da vicende del passato e del presente che le imprese preferirebbero nascondere. E, se è vero che la reputazione viene costruita dai fatti nel tempo, allora è anche vero che la reputazione di queste aziende è una pessima reputazione.

Ma allora quali sono le fonti della reputazione per Sodalitas, Dow Jones e SAM? Perche quelle relative alla reputazione di Novartis, Bayer e McDonald's, reperite in questa sede, non coincidono con quelle di cui dovrebbero disporre gli organismi che valutano positivamente la responsabilità di queste imprese?

La terza conclusione di questo lavoro è che la mancanza di responsabilità si estende lungo tutta la catena degli stakeholders, fino a toccare colui che la responsabilità esige, l'individuo consumatore.

Ne è la prova l'abitudine alimentare, dominante, di mangiare carne, che giustifica un intero settore insostenibile, quello zootecnico, per quanto riguarda l'impatto su ambiente e società.

La ricerca della Carnegie Mellon University[312] citata nel paragrafo 2.2.2 concludeva che l'impatto dei singoli individui sul pianeta è dovuto a tre fattori principali: il cibo, l'energia usata in casa, e i trasporti. Di questi tre fattori, quello del "cibo", cioè di che cosa ciascuno sceglie di mangiare, è il più "potente", perché è quello che in termini quantitativi ha il maggior impatto, ma anche perché offre il maggior grado di scelta personale, non dipendendo dalle normative, dalla disponibilità di mezzi pubblici o di fonti di energia alternative ma soltanto dalla volontà dell'individuo. Sul cosa mangiare il singolo consumatore ha pieno potere, ed è un potere che può esercitare immediatamente.

Scegliendo di non mangiare o utilizzare prodotti animali, è possibile ridurre gli sprechi e la produzione di gas serra, permettere l'autosufficienza alimentare anche ai popoli meno sviluppati, evitare che altre foreste vengano disboscate per coltivarci soia geneticamente modificata da destinare alla produzione di mangimi, ridurre e talvolta eliminare il rischio di malattie gravi, e anche mettere fine alle inutili crudeltà verso altri esseri viventi nostri fratelli, compagni di viaggio in quell'avventura irripetibile che è la vita.

Le evidenze scientifiche svelano il patetico controsenso del nutrirsi di carne per poi piangere lo stato disastroso dell’ambiente, o magari per ricorrere a palliativi quali il chilometro zero; pur tuttavia gli individui (o almeno la maggior parte di essi) non sono disposti a compiere una scelta di rottura con le proprie abitudini alimentari, dimostrando una scarsa propensione ad una reale assunzione di responsabilità.

Ma, se non è responsabile l'individuo come padre dei futuri abitanti e fratello degli abitanti attuali del pianeta in cui vive, uomini e animali, come si può pretendere che lo sia un'impresa, governata da individui e orientata al profitto per sua stessa vocazione?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Fabrizio Ceciliani, Roma, 12/04/2013



01 Eurispes, Istituto di Studi Politici Economici e Sociali, rapporto Italia, 2011, 2006, sintesi per la stampa, http://www.territorioscuola.com/download/1893-Eurispes-Sintesi-Rapporto-Italia-2011.pdf

[2] Nel Green Paper, il documento pubblicato dalla Commissione Europea nel 2001, la Responsabilità Sociale d’Impresa viene più efficacemente definita come "l’integrazione volontaria delle preoccupazioni sociali ed ecologiche delle imprese nelle loro operazioni commerciali e nei loro rapporti con le parti interessate". (commissione Europea, 2001:7)

[3] ISPO, 2003, Importanza degli aspetti relativi alle politiche sociali nella decisione d'acquisto dei consumatori

[4] sito del gruppo, http://www.vitaconsulting.it/noi/chi-siamo.html

[5] http://www.trendence.com/en/company/rankings/europe-all-countries.html

[6] http://www.pharmalive.com/magazines/medad/

[7] Anne Harding, September 21, 2012 http://sciencecareers.sciencemag.org/career_magazine/previous_issues/articles/2012_09_21/science.opms.r1200125

[8] http://www.workingmother.com/best-companies/novartis-pharmaceuticals-0

[9] Universum, Stockholm, September 20th 2012 http://www.universumglobal.com/IDEAL-Employer-Rankings/Global-Top-50

[10] Press Release - Responsible Business Award Winners 2012 Announced, EC Newsdesk on Jun 26, 2012,  http://www.ethicalcorp.com/business-strategy/press-release-responsible-business-award-winners-2012-announced

[11] Barron's Cover, Monday, June 25, 2012, http://online.barrons.com/article/SB50001424053111903882904577478993057727490.html#articleTabs_article%3D1

[12] The Scientist, June 2012, http://www.the-scientist.com/?articles.view/articleNo/32124/title/Best%20Places%20to%20Work%20Industry,%202012

[13] Interbrand’s Most Valuable Swiss Brands 2012, http://interbrandonline.com/bestswissbrands/?page_id=12. Fortune’s World’s Most Admired Companies 2012, March 21, 2011 issue, http://money.cnn.com/magazines/fortune/mostadmired/2011/industries/43.html

[14] http://www.news-medical.net/news/20120618/18412/Italian.aspx

[15] MSF rilancia la campagna a tutela dei farmaci generici, 15/02/2012, http://www.medicisenzafrontiere.it

[16] MSF rilancia la campagna a tutela dei farmaci generici, 15/02/2012, http://www.medicisenzafrontiere.it

[17] La Repubblica, 07/08/2007, India, smacco a Novartis "Sì ai farmaci dei poveri", Francesca Caferri e RSInews.it, "Brevetti, Novartis perde un altro round in India", Beniamino Bonardi, 06/08/2009, http://www.rsinews.it/newsformat1.asp?news=2878

[18] Public Eye Swiss Award 2007, http://www.evb.ch/cm_data/Novartis_e.pdf

[19] Berne Declaration, Open letter to Novartis, 10 ottobre 2006, http://www.evb.ch/en/p25011413.html

[20] Reply from Novartis to the open letter from the Berne Declaration on the Novartis legal action in India, 6 febbraio 2007, Petra Laux, Head of Global Public Affairs, http://www.evb.ch/en/p25012591.html

[21] Reuters, New Delhi, martedì 11 settembre 2012, "Novartis argues for Glivec patent at India's top court", http://www.reuters.com/article/2012/09/11/us-india-novartis-glivec-idUSBRE88A0BN20120911, Suchitra Mohanty e Kaustubh Kulkarni, e Repubblica, 13 settembre 2012, "Novartis - Governo indiano. La sfida sui farmaci a basso costo", Valeria Fraschetti

[22] sito Novartis, Tutela dei brevetti in India, chiarezza sulle opportunità per l’innovazione, http://www.novartis.it/media/fatti-notizie/glivec.shtml

[23] The Berne declaration, http://www.evb.ch/en/p25012749.html

[24] ibidem

[25] http://www.medicisenzafrontiere.it/msfinforma/news.asp?id=2839

[26] sito Novartis, Tutela dei brevetti in India, chiarezza sulle opportunità per l’innovazione, http://www.novartis.it/media/fatti-notizie/glivec.shtml

[27] Petizione di Medici Senza Frontiere, http://www.medicisenzafrontiere.it/Immagini/File/petizione_novartis.pdf

[28] ibidem

[29] chiacchierata con Vandana Shiva, Martedì 9 ottobre 2012, Città dell'Altra Economia, Roma

[30] Vandana Shiva, Il mondo sotto brevetto, Introduzione - Brevetti: un problema etico

[31] http://www.unimondo.org/Notizie/Liberta-dei-semi-la-disobbedienza-nonviolenta-di-Vandana-Shiva-137533

[32] Replica di Novartis, pubblicata su Repubblica il 2 marzo 2012 a firma Angela Bianchi, direttore comunicazione Novartis Italia, http://www.repubblica.it/solidarieta/diritti-umani/2012/03/02/news/la_replica_della_novartis-30820632/

[33] Petizione di Medici Senza Frontiere, http://www.medicisenzafrontiere.it/Immagini/File/petizione_novartis.pdf

[34] Comunicato dipartimento della Giustizia: http://www.justice.gov/opa/pr/2010/September/10-civ-1102.html e Comunicato Novartis: http://www.novartis.com/newsroom/media-releases/en/2010/1448151.shtml

[35] FDA, “Bad Ad Program”, http://www.fda.gov/Drugs/GuidanceComplianceRegulatoryInformation/Surveillance/DrugMarketingAdvertisingandCommunications/ucm211498.htm e BNET Pharma,

http://industry.bnet.com/pharma/10008115/under-obama-fda-warnings-to-drug-companies-increased-50-from-bush-era/

[36] Comunicato dipartimento della Giustizia, http://www.justice.gov/opa/pr/2010/May/10-civ-522.html

[37] Financial Time, 22 settembre 2008, Setback for Sandoz as WHO points to plant problems, Andrew Jack, http://www.ft.com/cms/s/0/7eb0c820-883f-11dd-b114-0000779fd18c.html

[38] Toxic 100 Air Polluters Index: 2008 report, http://www.peri.umass.edu/toxic100_2008/

[39] Toxic 100 Air Polluters Index 2012, http://www.peri.umass.edu/toxicair2012/

[40] Pur essendo il core-business di Novartis la ricerca, la produzione e la commercializzazione di specialità farmaceutiche, il portfolio di Novartis Consumer Health è estremamente ampio.  Soltanto nel settore della nutrizione, detiene marchi noti largamente distribuiti nei supermercati quali Cereal, Dietor, Dietorelle, Frizzina, Fruttil, Gerber, Idrolitina, Isostad, La buona Natura, Lecinova, Leciplus, Lievito Vit, Meritene, Novo Sal, Ovomaltina e PesoForma (http://www.medinews.it/news,639).  Per organizzare e circoscrivere la ricerca, in questo lavoro Novartis viene analizzata solo in riferimento al suo core business, che la vede agente nel settore farmaceutico: il fatto qui riportato intorno al pesticida della Syingenta è un pretesto per almeno menzionare gli assetti proprietari della compagnia

[41] 11 luglio 2007, Regno di Svezia /Commissione delle Comunità europee, Sentenza del Tribunale di primo grado nella causa T-229/04,

http://curia.europa.eu/juris/document/document.jsf?text=&docid=62401&pageIndex=0&doclang=IT&mode=lst&dir=&occ=first&part=1&cid=5331349

[42] ibidem

[43] Comunicato Dichiarazione di Berna: http://www.evb.ch/en/p25012968.html

[44] Testo Patteggiamento: http://amlawdaily.typepad.com/NovartisSettlementAgreement.pdf e Comunicato congiunto Novartis - legali querelanti: http://www.novartis.com/newsroom/media-releases/en/2010/1431791.shtml

[45] Business Insider, Nov. 17, 2011, "Yes, Bayer Promoted Heroin for Children. Here Are The Ads That Prove It", Jim Edwards, http://www.businessinsider.com/yes-bayer-promoted-heroin-for-children-here-are-the-ads-that-prove-it-2011-11

[46] Financial Times, October 27, 2011, "The serial painkiller", Andrew Jack, http://www.ft.com/intl/cms/s/0/f7345e36-ffbc-11e0-8441-00144feabdc0.html#axzz2Ac6mCJ3z

[47] CBG, http://www.cbgnetwork.org/22.html

[48] Per notizie fino a 5 anni fa, sono state raccolte tutte quelle pertinenti, da 5 a 10 solo quelle necessarie alla dimostrazione della tesi di lavoro, oltre i 10 solo quelle indispensabili alla trattazione.

[49] http://www.ambiente.bayer.it/ebbsc/cms/it/ambiente/Strategie.html

[50] Department of Brain Development and Neural Regeneration, Tokyo, Nicotine-Like Effects of the Neonicotinoid Insecticides Acetamiprid and Imidacloprid on Cerebellar Neurons from Neonatal Rats, February 29, 2012,

http://www.plosone.org/article/info%3Adoi%2F10.1371%2Fjournal.pone.0032432

[51] Direttiva 2006/41/CE della Commissione, del 7 luglio 2006 , che modifica la direttiva 91/414/CEE del Consiglio con l'iscrizione delle sostanze attive clothianidin e petoxamide ,

http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:L:2006:187:0024:0027:IT:PDF

[52] Il Manifesto, 26/08/2008, Le api pungono la Bayer, Luca Fazio

[53] The Guardian, Pesticides linked to bee decline, say green groups, Friday 6 August 2010, http://www.guardian.co.uk/environment/2010/aug/06/pesticides-bee-decline-green-groups

[54] Department of Entomology, Purdue University, West Lafayette, Indiana, United States of America, "Multiple Routes of Pesticide Exposure for Honey Bees Living Near Agricultural Fields", Krupke1, Hunt, Eitzer, Andino, Given, http://www.plosone.org/article/info%3Adoi%2F10.1371%2Fjournal.pone.0029268

[55] Countermotion from Axel Köhler-Schnura for the BAYER Annual Stockholders’ Meeting onApril 27, 2012, Item 3, pag.3, http://www.asm2012.bayer.com/en/countermotions-2012.pdfx?forced=true

[56] Nota della United States Environmental Protection Agency, 2 novembre 2010, reperibile sul sito di PANNA, Pesticide Action Network North America: http://www.panna.org/sites/default/files/Memo_Nov2010_Clothianidin.pdf

[57] http://www.panna.org/sites/default/files/Clothianidin-Condl-Reg-Timeline.pdf

[58] Memorandum dell'EPA: http://www2.grist.org/files/EPA_bee_memo.pdf

[59] comunicato Natural Resources Defense Council del 18 agosto 2008: http://www.nrdc.org/media/2008/080818a.asp

[60] http://www.panna.org/sites/default/files/Clothianidin-Condl-Reg-Timeline.pdf

[61] Decreto del Ministero della Salute, 25 giugno 2012, Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 151 del 30 giugno 2012,  http://www.federapi.biz/images/Neo-Nicotinoidi/MinSalute_Decreto_NoNeonicotinoidi_2012.pdf

[62] lettera aperta di Basf, Bayer e Syngenta, indirizzata "ai Ministri della Salute, delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali e dell'Ambiente e Tutela del Territorio e del mare in data 16 marzo 2011", http://www.federapi.biz/images/Neo-Nicotinoidi/FAI-Pro-Concia-mais.jpg

[63] lettera di adesione di Agrofarma, Milano, 27 aprile 2011, http://www.federapi.biz/images/Neo-Nicotinoidi/FAI_Agrofarma.pdf

[64] Il Fatto Quotidiano, 23 aprile 2012, Moria delle api, disastro ambientale causato dagli insetticidi: “Bisogna vietarli”, Gian Luca Mazzella, http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/04/23/moria-delle-disastro-ambientale-causato-dagli-insetticidi-bisogna-vietarli/206616/

[65] RSInews.it, 04/07/2011, "Contaminazione da riso Ogm, Bayer risarcisce 750 milioni di dollari a undicimila agricoltori Usa", Beniamino Bonardi, http://www.rsinews.it/newsformat1.asp?news=3645.

[66] Comunicato stampa - 14 dicembre, 2009, http://www.greenpeace.org/italy/it/ufficiostampa/comunicati/bayer-ogm-riso/

[67] Greenpeace, http://www.greenpeace.org/international/en/publications/reports/risky-business/

[68] http://www.ambiente.bayer.it/ebbsc/cms/it/ambiente/Strategie.html

[69] Sustainable agriculture that combines economic, ecological and social aspects to provide sufficiently high-quality and safe agricultural produce plays an important role in helping to solve these problems. In doing so, the environmental impact of farming must be minimized and biological diversity protected as far as possible.", http://www.sustainability2011.bayer.com/en/helping-to-shape-the-future-of-agriculture.aspx

[70] Greenpeace, June 16, 2008, "The Dirty Portfolios of the Pesticides Industry", http://www.greenpeace.org/eu-unit/en/News/2009-and-earlier/greenpeace-publishes-pesticide/

[71] Comunicato Greenpeace, http://www.greenpeace.org/seasia/en/press/releases/greenpeace-slams-del-monte-and

[72] Coalition against BAYER-Dangers, http://www.cbgnetwork.org/22.html

[73] Qui è possibile leggere il testo integrale del verdetto emanato dalla Suprema Corte Tedesca in data 9 ottobre 1991, in occasione di una battaglia legale durata sei anni e vinta da CBG: http://www.utexas.edu/law/academics/centers/transnational/work_new/german/case.php?id=625

[74] Golem L´Indispensabile, n° 8 - novembre 2004, Azionisti consapevoli, Francesca Sala, www.golemindispensabile.it  http://www.cbgnetwork.org/266.html

[75] Countermotion from Axel Köhler-Schnura for the BAYER Annual Stockholders’ Meeting on April 27, 2012, http://www.asm2012.bayer.com/en/countermotions-2012.pdfx?forced=true

[76] Ibidem

[77] Ibidem

[78] The Indipendent, Monday 14 November 2011, Without consent: how drugs companies exploit Indian 'guinea pigs', Andrew Buncombe, Nina Lakhani, http://www.independent.co.uk/news/world/asia/without-consent-how-drugs-companies-exploit-indian-guinea-pigs-6261919.html

[79] La Repubblica, Economia & Finanza, 7 novembre 2011, Indiani usati come cavie. Bufera sui big del farmaco, Andrea Tarquini , http://www.repubblica.it/economia/finanza/2011/11/07/news/indiani_usati_come_cavie_bufera_sui_big_del_farmaco-24594230/

[80] Coalizione contro i pericoli derivanti dalla Bayer, 27/01/2005, "Bayer e la IG Farben. Gli orrori dei lager nazisti: responsabilità dei medici e dell'industria farmaceutica", Giovanni De Martis, http://www.cbgnetwork.org/250.html

[81] Annual Stockholders' Meeting on April 27, 2012, Countermotions, http://www.asm2012.bayer.com/en/countermotions-2012.pdfx?forced=true

[82] Frankfurter Allgemeine, 21 gennaio 2011

[83] Ibidem

[84] Countermotion from Christiane Schnura for the BAYER Annual Stockholders’ Meeting on April 27, 2012, http://www.asm2012.bayer.com/en/countermotions-2012.pdfx?forced=true, pagina 7 del documento elettronico

[85] Prescription Medicines Code of Practice Authority, Comunicato del 2 agosto 2011, http://www.pmcpa.org.uk/files/2402%20Aug%202011.pdf

[86] Comunicato dell'Associazione Britannica dell’Industria Farmaceutica, http://www.abpi.org.uk/links/assoc/PMCPA/Bayer_GlaxoSmithKline_for_breaching_ABPICode_of_Practice.pdf

[87] Comunicato ABPI, Association of the British Pharmaceutical Industry, febbraio 2009, http://www.pmcpa.org.uk/?q=node/699

[88] Bloomberg News, Bayer Yasmin Lawsuit Settlements Climb to $142 Million, Jef Feeley and Margaret Cronin Fisk - Apr 26, 2012, http://www.bloomberg.com/news/2012-04-26/bayer-yasmin-lawsuit-settlements-climb-to-142-million.html

[89] Ibidem

[90] Food and Drug Administration, 10/3/2008, Warning Letters and Notice of Violation Letters to Pharmaceutical Companies, http://www.fda.gov/downloads/Drugs/GuidanceComplianceRegulatoryInformation/EnforcementActivitiesbyFDA/WarningLettersandNoticeofViolationLetterstoPharmaceuticalCompanies/ucm053993.pdf

[91] AboutLawsuits.com by Saiontz & Kirk, P.A., Yasmin and Yaz Birth Control Lawsuits Mount Against Bayer, July 24th, 2009 http://www.aboutlawsuits.com/yasmin-and-yaz-birth-control-lawsuits-mount-5062/

[92] Risk of non-fatal venous thromboembolism in women using oral contraceptives containing drospirenone compared with women using oral contraceptives containing levonorgestrel: case-control study using United States claims data, Published 21 April 2011, S Jick, K Hernandez, http://www.bmj.com/content/342/bmj.d2151; Risk of venous thromboembolism in users of oral contraceptives containing drospirenone or levonorgestrel: nested case-control study based on UK General Practice Research Database, Lianne Parkin, Katrina Sharples, Rohini K Hernandez, Susan S Jick, http://www.cbgnetwork.org/downloads/BMJ_Study_Drospirenone.pdf

[93] Annual Stockholders’ Meeting on April 29, 2011 http://www.asm2011.bayer.com/en/countermotions-20110415.pdfx

[94] PMCPA, Prescription Medicines Code of Practice Authority, 27/05/2011, Chiesi Limited, Eli Lilly and Company Limited and Bayer Healthcare named in advertisements for breaches of the ABPI Code of Practice, http://www.pmcpa.org.uk/media/Pages/Chiesi-Limited,-Eli-Lilly-and-Company-Limited-and-Bayer-Healthcare-named-in-advertisements-for-breaches-of-the-ABPI-Code-of.aspx

[95] Food and Drug Administration, Department of Healt and Human Services, 4/10/2012, "Revisions to the Highlights, Section 5.1 Thromboembolic Disorders and Other Vascular Problems", http://www.accessdata.fda.gov/drugsatfda_docs/appletter/2012/021098s022,021676s012,022532s004,022574s004ltr.pdf

[96] http://www.mybayerjob.it/it/Valori/Valori.html

[97] Attività di Tutela e Promozione della Concorrenza, I procedimenti conclusi nel 2011, http://www.agcm.it/trasp-statistiche/doc_download/3220-cap22.html

[98] Commissione della concorrenza, Berna, 01/12/2009, http://www.news.admin.ch/message/index.html?lang=it&msg-id=30454

[99] Coalizione contro i pericoli derivanti dalla Bayer, Comunicato stampa del 12 maggio 2009, http://www.cbgnetwork.org/2900.html; intervista ad Alfredo Pequito: http://www.cbgnetwork.org/2580.html

[100] Comunicato del Dipartimento della Giustizia statunitense: Bayer Healthcare to Pay U.S. $97.5 Million to Settle Allegations of Paying Kickbacks to Diabetic Suppliers, November 25, 2008, http://www.justice.gov/opa/pr/2008/November/08-civ-1050.html

[101] Comunicato dello studio legale Hagens Berman, http://www.hbsslaw.com/AWP_tracktwo_settlement

[102] Comunicato Commissione Ue, 29/11/2006, Concorrenza: la Commissione infligge ammende per 519 milioni di euro a produttori e rivenditori di gomme sintetiche che avevano costituito un cartello per la fissazione dei prezzi, http://europa.eu/rapid/press-release_IP-06-1647_it.htm?locale=en

[103] Il traguardo del 400° punto vendita è stato raggiunto nel 2010: http://www.mcdonalds.it/azienda/storia

[104] http://www.aboutmcdonalds.com/mcd/our_company/mission_and_values.html

[105] http://www.aboutmcdonalds.com/mcd/csr.html

[106] Corriere della Sera, 14 novembre 2008, Milano prenota un doppio Big Mac, Tamos Ettore

[107] www.mcdonalds.it/azienda/ambiente

[108] http://www.aboutmcdonalds.com/mcd/our_company/awards_and_recognition.html

[109] http://www.fondazioneronald.it/who_we_are.asp

[110] http://www.fondazioneronald.it/what_case_ronald_SGR.asp

[111] http://www.osservatoriomalattierare.it/attualita/2990-apre-allospedale-infantile-di-alessandria-la-family-room-finanziata-dalla-fondazione-ronald-mcdonald-italia

[112] Federazione Italiana Distributori Bevande, 21/05/2012, Q-Qualivita: un nuovo marchio di certificazione, http://www.italgrob.it/sezione.asp?IdPost=2869&M=Locali%20AND%20Professioni&C=Ristoranti,%20Pizzerie

[113] http://www.mcdonalds.it/azienda/storia

[114] http://www.mcdonalds.it/azienda/il-remodelling

[115] http://www.persapernedipiu.info/qualita/fatti-unopinione/stile-di-vita-slow-contro-fast.aspx

[116] http://www.mcdonalds.it/lavorare/lavorare-da-mcdonald-s

[117] "The Court Service - Queens Bench Division - Judgment - McDonald's Corporation & McDonald's Restaurants Limited against Helen Marie Steel & David Morris". Hmcourts-service.gov.uk. Archived from the original on 2008-06-05. Retrieved 2008-11-13, http://web.archive.org/web/20080605062408/http://www.hmcourts-service.gov.uk/judgmentsfiles/j379/mcdonalds_190697.htm

[118] Francesco Gesualdi, Manuale del consumo responsabile, Feltrinelli, quarta edizione giugno 2004; testo del volantino originale: http://www.mcspotlight.org/case/pretrial/factsheet.html

[119] Francesco Gesualdi, Manuale del consumo responsabile, Feltrinelli, quarta edizione giugno 2004; testo del volantino originale: http://www.mcspotlight.org/case/pretrial/factsheet.html

 

[120] sentenza del processo, pagina 26, "The Court Service - Queens Bench Division - Judgment - McDonald's Corporation & McDonald's Restaurants Limited against Helen Marie Steel & David Morris". Hmcourts-service.gov.uk. Archived from the original on 2008-06-05. Retrieved 2008-11-13.

http://web.archive.org/web/20080605062408/http://www.hmcourts-service.gov.uk/judgmentsfiles/j379/mcdonalds_190697.htm

[121] http://www.persapernedipiu.info/qualita/fatti-unopinione/giochi-e-bambini.aspx

[122] Financial Times December 13, 2010, McDonald’s chief attacks children’s meal ‘food police’, By Greg Farrell and Hal Weitzman in Oak Brook, December 13, 2010;  Ordinanza Contea di Santa Clara: http://www.sccgov.org/keyboard/attachments/BOS%20Agenda/2010/April%2027,%202010/202926863/TMPKeyboard203046978.pdf

[123] Campaign for a Commercial-Free Childhood, January 17, 2008, Ronald McDonald Report Card Ads Expelled from Seminole County. CCFC Campaign Ends Controversial In-School Marketing Program, Josh Golin, http://www.commercialexploitation.org/pressreleases/ronaldmcdonald.htm

[124] La comunicazione di McDonald’s è talmente pervasiva da trattare anche l'argomento del vegetarianesimo, banalizzandolo: sul sito www.persapernedipiu.info, è presente un box dal titolo "Fatti un'opinione", con due collegamenti ad altrettanti "articoli" sulla scelta vegetariana. Uno a cura di un Docente di Scienza dell'alimentazione e di Dietetica, e l'altro ad opera di Medico Chirurgo, Specialista in Endocrinologia. Andandoli a leggere, entrambi gli articoli sono in realtà solo una serie di domande e risposte che, oltre ad essere molto superficiali (la spinta principale al vegetarianesimo, quella di non voler partecipare allo sfruttamento e all'uccisione di altri esseri viventi, non è nemmeno menzionata), contengono anche diverse inesattezze (per esempio dove si afferma che da sempre l'uomo è onnivoro, laddove è ovvio che i primi uomini dovessero mangiare soltanto frutta, essendo la caccia una abilità acquisita e non innata, sviluppatasi in uno stadio successivo del percorso evolutivo umano) e più di una conclusione antiscientifica (lo è l'affermazione: "Una dieta onnivora che rispetti i principi della dieta mediterranea è sicuramente il modo più corretto di alimentarsi" poiché un numero sempre maggiore di ricerche, alcune delle quali citate nel capitolo successivo, dimostrerebbe esattamente il contrario.

[125] Institute of Medicine, November 16-18, 2010, IOM Food Insecurity and Obesity Workshop, Food Insecurity and Obesity: The Role of the Physical and Social Environment, Angela M. Odoms, University of Illinois at Chicago

Department of Kinesiology and Nutrition, http://www.iom.edu/~/media/Files/Activity%20Files/Nutrition/FoodInsecurityandObesity/Odoms-Young.pdf e Community Interventions to Address Obesity, January 8,2009,

http://www.iom.edu/~/media/Files/Activity%20Files/PublicHealth/ObesFramework/LynnSilverIOM11420091.pdf

[126] http://www.mcdonalds.it/lavorare/lavorare-da-mcdonald-s

[127] http://en.wikipedia.org/wiki/McJob

[128] BBC News, 2007/03/20, "McDonald's seeks McJob rewrite", http://news.bbc.co.uk/2/hi/business/6469707.stm

[129] http://www.persapernedipiu.info/lavoro/fatti-unopinione/approfondimenti-mcjob/mcjob-%E2%80%93-che-cose.aspx

[130] Servizio KARK TV su Youtube: http://www.youtube.com/watch?v=rwhw-Inji0k

[131] abc News, Feb. 25, 2009, McDonald's Worker Shot; Hailed As Hero, Steve O sunsami, http://abcnews.go.com/US/story?id=6958997&page=1#.UJjQ-meDxEM

[132] China Daily Europe, 2007-04-04, Fast-food giants 'did violate laws', Guan Xiaofeng, http://www.chinadaily.com.cn/china/2007-04/04/content_842948.htm

[133] Agenzia Xinhua, 2007/09/03, Multinationals need to rebuild corporate image as business models in China, Song Shutao,  http://news.xinhuanet.com/english/2007-09/03/content_6656692.htm

[134] The Times of India, Apr 21, 2006, McJob: It's no longer dull and dreary, Rashmee Roshan Lall, http://timesofindia.indiatimes.com/business/international-business/McJob-Its-no-longer-dull-and-dreary/articleshow/1499500.cms?

[135] Il Sole 24 Ore, 19/04/2006, Cade il modello McDonald's, Marco Ludovico

[136] Eric Schlosser e Charles Wilson, Chew on This. Everything You Don't Want to Know About Fast Food, Houghton Mifflin Harcourt, 2006

[137] American Library Association, John Peters http://www.amazon.com/Chew-This-Everything-Dont-About/dp/0618593942

[138] L'unità, sabato 22 ottobre 2005, McDonald’s" Uno scontrino ogni 40 secondi,l.v., Pagina 16 Economia & Lavoro, http://www.filcams.cgil.it/home.nsf/IFrameCorpo1l?OpenPage&http://www.filcams.cgil.it/stampa.nsf/c96313cd4b728252c12576030053ac41/19ba88191be45347c12570a4003093c3!OpenDocument

[139] www.mcdonaldsmenu.info

[140] http://www.mcdonaldsmenu.info/nutrition/

[141] http://www.mcdonalds.it/azienda/dietro-quinte

[142] Ministero della Salute, OKkio alla SALUTE 2010: Sintesi dei risultati, giugno 2010, https://www.okkioallasalute.it/?q=node/44

[143] MCV, Tuesday, January 8th 2008, McDonald’s boss: ‘Games to blame for childhood obesity’, Tim Ingham, http://www.mcvuk.com/news/read/mcdonalds-boss-games-to-blame-for-childhood-obesity

[144] Comitato Amig@s Sem Terra Italia, 16 marzo 2011, Milano, Cibo spazzatura: quale realtà in Italia e nel Mondo, relazione del convegno a cura del dott. Antonio Lupo, http://www.cibosostenibile.it/lspazza.shtml

[145] Center for Science in the Public Interest, CSPI, June 2, 2008, Dyes Called "Secret Shame" of Food Industry and Regulators, http://www.cspinet.org/new/200806022.html

[146] University of Southampton, Major study indicates a link between hyperactivity in children and certain food additives, 06 September 2007, Ref: 07/99, http://www.southampton.ac.uk/mediacentre/news/2007/sep/07_99.shtml e Food Standards Agency, Tuesday 11 September 2007, Agency revises advice on certain artificial colours, http://webarchive.nationalarchives.gov.uk/20120206100416/http://food.gov.uk/news/newsarchive/2007/sep/foodcolours

[147] Financial Times, September 6, 2007, Their true colours, http://www.ft.com/cms/s/0/967e5a32-5cab-11dc-9cc9-0000779fd2ac.html

[148] Food and Drink Federation, press release, Thursday, 6 September 2007, Industry responds to FSA additives, https://www.fdf.org.uk/pressreleases/secure/pressrelease_060907.pdf

[149] California Department of Justice, Tuesday, April 24, 2007, KFC Corp. Agrees to Comply with Proposition 65 Warnings, http://ag.ca.gov/newsalerts/release.php?id=1412&year=2007&month=4

[150] Center for Science in the Public Interest, CSPI, June 25, 2002, Snack Chips, French Fries Show Highest Levels Of Known Carcinogen. CSPI Calls On FDA To Test More Food, http://www.cspinet.org/new/200206251.html

[151] Associated Press, 13/02/2006, McDonald's fries contain allergens, http://msnbc.msn.com/id/11326937/#.UJq_fGeDxEN

[152] Overlawyered, February 20, 2006, New Class Action Against McDonalds, Andrew Grossman, http://overlawyered.com/2006/02/new-class-action-against-mcdonalds/

[153] Associated press, 08/02/2006 , McDonald’s french fries just got fatter — by nutritional measurement, http://www.msnbc.msn.com/id/11241228/ns/health-fitness/t/mcdonalds-french-fries-just-got-fatter/#.UJq_imeDxEM e Financial Times, 08/02/2006, http://msnbc.msn.com/id/11227448/

[154] Chicago Tribune, http://www.chicagotribune.com/business/chi-0701280346jan28,0,2355564.story?coll=chi-business-hed e Plaintiffs' press release on settlement of McDonald's trans fat litigation, February 11, 2005, http://www.bantransfats.com/images/Trans%20Fat%20Litigation%20Plaintiffs%27%20Press%20Release.pdf

[155] Sito web italiano di McDonald's, http://www.mcdonalds.it/azienda/dietro-quinte

[156] http://it.wikipedia.org/wiki/Olio_vegetale

[157] Legge comunitaria in vigore dal 1º luglio 1979, Direttiva 76/621/CEE, del 20 luglio 1976

[158] The New York Times, McDonald's To Settle Suits On Beef Tallow In French Fries, March 09, 2002, http://www.nytimes.com/2002/03/09/us/mcdonald-s-to-settle-suits-on-beef-tallow-in-french-fries.html e il manifesto, 25 maggio 2001, La multinazionale ammette: "Le nostre patatine sono prefritte anche con grassi animali", Luca Fazio

[159] http://persapernedipiu.staging.tbwaitalia.it/qualita/i-nostri-fornitori.aspx

[160] http://www.persapernedipiu.info/le-domande-piu-frequenti.aspx

[161] Gesualdi, Francesco, a cura di, Centro Nuovo Modello Di Sviluppo, Guida al consumo critico. Informazioni sul comportamento delle imprese per un consumo consapevole, Editrice Missionaria Italiana - edizione 2011

[162] http://www.cremonini.it/it/produzione

[163] http://www.cremonini.it/it/responsabilita_sociale

[164] http://www.cremonini.it/it/responsabilita-sociale/sostenibilita

[165] Adnkronos, Cremonini con il nuovo impianto di biogas Inalca risparmierà l'80% di energia, http://www.adnkronos.com/IGN/Sostenibilita/Risorse/Cremonini-con-il-nuovo-impianto-di-biogas-Inalca-risparmiera-l80-di-energia_311238914874.html

[166] http://www.cremonini.it/it/responsabilita-sociale/ricerca

[167] Sito web della trasmissione; pagina in cui è possibile leggere o guardare la puntata: http://www.report.rai.it/dl/Report/puntata/ContentItem-3c79d537-8132-49e9-bb43-40422ba7de19.html

[168] L'encefalopatia spongiforme bovina (BSE, Bovine Spongiform Encephalopathy) è una malattia neurologica cronica, degenerativa e irreversibile che colpisce i bovini. Il virus è noto all'opinione pubblica come morbo della mucca pazza. La BSE è una malattia trasmissibile che colpisce diverse specie animali, fra le quali l'uomo, http://it.wikipedia.org/wiki/Encefalopatia_spongiforme_bovina

[169] TG2, 02/12/1999

[170] TGR Emilia Romagna, 21/05/1994

[171] Porta a porta, puntata del 13/11/2000

[172] Ibidem

[173] Sabrina Giannini, nella puntata di Report citata

[174] Porta a porta, puntata del 13/11/2000

[175] Corriere della Sera, 24 febbaraio 2001,"Frode in commercio, indagato Cremonini. Sotto accusa la pubblicità della carne", Mario Porqueddu

[176] Corriere della Sera, 3 febbraio 2001, Giallo sulla fine di 30 quintali di carne sospetta, Lazzaro Claudio, Di Frischia Francesco, http://archiviostorico.corriere.it/2001/febbraio/03/Giallo_sulla_fine_quintali_carne_co_10_0102033700.shtml

[177] Ibidem

[178] (Una lettera firmata con nome e cognome recita "Io, prima di tutto come genitore, e in secondo luogo, come membro della commissione mensa, vorrei approfondire appunto le modalità di svolgimento delle gare d'appalto e i criteri di scelta, per questo le chiedo un incontro per poter visionare tutti i contratti con le relative scadenze. Le dico chiaramente che mi adopererò affinchè il contratto con la Inalca, non venga rinnovato. Nel caso la mia e-mail rimanga inevasa, cercherò altri canali". La lettera è tuttora pubblicata qui: http://www.forumscuole.it/zona-5/documenti/milano-ristorazione-e-le-mozzarelle-tedesche)

[179] http://www.beppegrillo.it/2005/11/carne_kamikaze_1.html

[180] Ibidem

[181] Ibidem

[182] Una delle molte fonti: http://palazzolo5stelle.com/2010/09/15/diritto-di-replica-del-gruppo-cremonini/

[183] http://it.wikipedia.org/wiki/Archiviazione

[184] http://www.cremonini.it/vpo_new/home.asp?Action=dett&IdArticolo=394&Target=PRREL

[185] http://it.wikipedia.org/wiki/Cremonini

[186] Gesualdi, Francesco, a cura di, Centro Nuovo Modello Di Sviluppo, Guida al consumo critico. Informazioni sul comportamento delle imprese per un consumo consapevole, Editrice Missionaria Italiana - edizione 2011.

[187] Camera di commercio, industria e artigianato di Modena, Elenco dei soci e degli altri titolari di diritti su azioni e quote sociali al 25 maggio 2010, in Gesualdi, Guida al consumo critico, Editrice Missionaria Italiana. 2011.

[188] Commissione nazionale per la società e la borsa, delibera n. 17777, 11 maggio 2011.

[189] Newsmercati, Newsletter n. 121 - 29 settembre 2011, In collaborazione con Agenzia Radiocor - Il Sole 24 ore,

Il business del gruppo Inalca in Africa, http://images.newsmercati.com/f/pdf/2011/art_6176.pdf)

[190] http://www.cremonini.it/it/responsabilita_sociale

[191] Ibidem

[192] http://www.persapernedipiu.info/le-domande-piu-frequenti.aspx

[193] Umberto Franciosi, Segretario provinciale FLAI CGIL Modena, http://www.nuovocaporalato.it/ilCracPowerLog.htm

[194] Umberto Franciosi, Segretario provinciale FLAI CGIL Modena,

www.nuovocaporalato.it

[195] Ibidem

[196] documentazione relativa ai finanziamenti concessi da privati e aziende a uomini politici e partiti.

Anno 2007, in ordine alfabetico per soggetto erogante, http://speciali.espresso.repubblica.it/grafici/erogazione/n-z.html

[197] Il resto del Carlino, 02/03/2008, facchinaggio all'Inalca. Scioperi per le paghe tagliate

[198] lettera inviata da keyLog ai soci delle cooperative consorziate a PowerLog, il 9 luglio 2008

[199] la Repubblica, 13/01/2010, Bancarotta fraudolenta per Powerlog, P.C.

[200] Goodenough, The evolution of Pastoralism, cit. pag 260, in Rifkin, Ecocidio, pag.138

[201] Il Fatto Quotidiano, 04/04/2011, Le mani della camorra sulle false cooperative, Felicia Buonomo, http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/04/01/le-mani-della-camorra-sulle-false-cooperative.html

[202] Per coerenza con la trattazione, sono state omesse in questo lavoro alcune informazioni (per esempio quelle circa i lavoratori di altri stabilimenti produttivi Cremonini, spesso soci di altre cooperative).

Su Youtube, il famoso video-canale web, è possibile visionare la "cronistoria di un calpestamento". Ad essere stati calpestati sarebbero i diritti primari dei lavoratori da parte dell'aziende Real Beef, del guppo Cremonini. Nell'intervista di Antonello Carbone, due uomini, Armando Orlando e Gerardo Vassallo, raccontano la loro esperienza lavorativa nell'azienda, che parte dal 2005, e l'affitto del ramo d'azienda alla cooperativa Boeing.  http://www.youtube.com/watch?v=YU_ILPv10as

[203] IrpiniaNews, venerdì 27 luglio 2007, 39enne muore dissanguato per aver infranto un vetro con un pugno, http://www.irpinianews.it/cronaca/news/?news=21442

[204] comunicato sindacale RSU FLAI CGIL INALCA, Castelvetro, 1 giugno 2008

[205] ANSA, Modena, 02/08/10, braccio amputato a operaio nel Modenese

http://www.ansa.it/web/notizie/regioni/emiliaromagna/2010/08/02/visualizza_new.html_1877899981.html

[206] Comunicato Dow Jones Indexes - SAM, 22/11/2010,

http://www.sustainability-indexes.com/djsi_pdf/news/PressReleases/101122_MR_DJSI_World_Enlarged_e_Vdef.pdf

[207] Ecole Supérieure de Commerce de Paris – EAP, 21-22 Gennaio 2005, Augusto D’Amico, Daniela Rupo, La componente socialware del prodotto: etica, oltre all’estetica, http://www.escp-eap.eu/conferences/marketing/2005_cp/Materiali/Paper/It/D%27Amico_Rupo.pdf

[208] Università degli Studi di Milano, Dipartimento di Economia Politica e Aziendale, Working Paper n. 17.2003.- Luglio, Il mercato italiano dei fondi di investimento socialmente responsabili, Daniela Vandone, http://www.economia.unimi.it/uploads/wp/wp157.pdf

[209] Ecole Supérieure de Commerce de Paris – EAP, 21-22 Gennaio 2005, Augusto D’Amico, Daniela Rupo, La componente socialware del prodotto: etica, oltre all’estetica

[210] Baranes Andrea: Responsabilità e finanza. Guida alle iniziative in campo socio ambientale per gli Istituti di Credito e le imprese finanziarie. Fondazione Culturale Responsabilità Etica, 2005, http://www.odg.cat/documents/enprofunditat/Transnacionals_espanyoles/responsabilita_finanza.pdf

[211] Ibidem

[212] http://www.altria.com/en/cms/Responsibility/2011-corporate-responsibility-report/default.aspx

[213] http://www.thestreet.com/

[214] The Wall Street Journal, 7 febbraio 2001, Survey Rates Companies' Reputation, and Many Are Found Wanting, Ronald Alsop,

http://www.reputationinstitute.com/frames/press/WSJ_Best_Rep_7Feb2001.pdf

[215] Enterprise IG, http://www.enterpriseig.com/

[216] http://www.greenpeace.org/usa/en/campaigns/genetic-engineering/ge-industry/monsanto/

[217] http://www.beretta.it/fondazione-beretta/index.aspx?m=53&did=1569

[218] http://www.beretta.it/beretta-oggi/index.aspx?m=53&did=1570

[219] http://www.beretta.it/fondazione-beretta/index.aspx?m=53&did=1569

[220] Pimentel D, Pimentel M. Sustainability of meat-based and plant-based diets and the environment, American Journal of Clinical Nutrition 2003; 78(supplement); 660S-3S

[221] Pimentel D, Pimentel M. Food, energy and society. Niwot, CO: Colorado University Press, 1996

[222] Pimentel D. Handbook of energy utilization in agriculture. Boca Raton, FL: CRC Press, 1980

[223] Thomas GW. Water: critical and evasive resource on semi-arid lands. In: Jordan WR, ed. Water and water policy in world foodsupplies. College Station, TX: Texas A&M University Press, 1987:83–90

[224] Newsweek Magazine. The Cow Turns Green. Aug 22, 2009

[225] Livestock's long shadow: environmental issues and options - Food and Agriculture Organization of the United States. Rome, 2006

[226] CIWF, "The global benefits of eating less meat", CIWF Trust, 2004

[227] Natural Resource Defense Council, "America's Animal Factories How States Fail to Prevent Pollution from Livestock Waste", NRDC Report, 1999

[228] Le fabbriche degli animali, E. Moriconi, Ed. Cosmopolis, 2001

[229] Environmental Protection Agency 1996

[230] Howlett, Debbie "Lakes of Animal Waste Pose Environmental Risk", USA Today, 30 Dec. 1997, p. A7.

[231] Tutte le informazioni di questo paragrafo sono ottimamente aggregate su: www.saicosamangi.info. Un ringraziamento doveroso va a Marina Berati, ingegnere informatico  e attivista (www.agireora.org, tanto per citare una delle sue numerose iniziative nella direzione antispecista), che ha condiviso volentieri i suoi appunti da conferenza.

[232] South Dakota State University, Department of Animal and Range Sciences, Meat Science Extension and Research, Did the Locker Plant Steal Some of My Meat?, http://ars.sdstate.edu/MeatSci/May99-1.html

[233] Hamburger connection Fuels Amazon Destruction, Kaimowitz D., Mertens B., Wunder S., Pacheco P., April 2003, Center for International Forestry Research - CIFOR

[234] dati CIFOR, Centro per la Ricerca Forestale Internazionale e INPE, Istituto di Ricerca Spaziale del governo Brasiliano, nel rapporto citato nella nota precedente

[235] Hamburger connection Fuels Amazon Destruction, Kaimowitz D., Mertens B., Wunder S., Pacheco P., April 2003, Center for International Forestry Research - CIFOR

[236] Livestock's long shadow: environmental issues and options - Food and Agriculture Organization of the United States. Rome, 2006

[237] Anthony J McMichael, John W Powles, Colin D Butler, Ricardo Uauy, Food, livestock production, energy, climate change, and health, The Lancet, September 13, 2007

[238] Akifumi OGINO, Hideki ORITO, Kazuhiro SHIMADA, Hiroyuki HIROOKA, Evaluating environmental impacts of the Japanese beef cow-calf system by the life cycle assessment method, Animal Science Journal 78 (4), 424-432

[239] Christopher L. Weber and H. Scott Matthews, Food-Miles and the Relative Climate Impacts of Food Choices in the United States, Environ. Sci. Technol., 16 Apr 2008

[240] Tutti i grafici sono reperibili su: www.saicosamangi.info

[241] Foodwatch, Klimaretter Bio?, 25 agosto 2008

[242] La maggior parte di queste informazioni sono state ottimamente aggregate e strutturate da Marina Berati, ingegnere informatico e attivista per i diritti animali (vedi AgireOra Network).

[243] Environmental Working Group, Meat Eaters Guide to Climate Change + Health, "Meat. Eat less. Eat greener", July 2011, Kari Hamerschlag, www.ewg.org/meateatersguide

[244] Anthony J McMichael, John W Powles, Colin D Butler, Ricardo Uauy, Food, livestock production, energy, climate change, and health, The Lancet, September 13, 2007

[245] Rajendra Pachauri, comunicato stampa del 15/01/2008, Paris

[246] IPCC, Climate Change 2007: Synthesis Report. Contribution of Working Groups I, II and III to the Fourth Assessment Report of the Intergovernmental Panel on Climate Change, Core Writing Team, Pachauri, R. K. and Reisinger, A., Geneva, Switzerland, IPCC, 2007

[247] http://www.saicosamangi.info/

[248] Ibidem

[249] Ibidem

[250]  “Un momento di grande sofferenza per le pecore è quello della tosatura, durante il quale vengono maneggiate molto rudemente dai tosatori, e spesso rimangono ferite durante l’operazione. Nelle razze più pregiate viene procurata una ferita circolare attorno all’ano, in modo che con la cicatrizzazione si crei una zona che separa la lana dall’ano, e la lana non si sporchi”. http://www.saicosamangi.info/

[251] Ibidem

[252] decreto legislativo 333/98 recepimento della Direttiva Europea 93/119/Ce

[253] Le fabbriche degli animali: 'mucca pazza' e dintorni", E. Moriconi; Ed. Cosmopolis, 2001 - pagg. 44-46

 

[254] Ibidem

[255] Ibidem

[256] le pratiche di allevamento qui narrate possono essere ormai facilmente verificate sulle numerose investigazioni, anche in forma di riprese video, come questa sui macelli: http://www.agireora.org/info/news_dett.php?id=512

[257] http://www.saicosamangi.info/

[258] Jeremy Bentham, Introduzione ai princìpi della morale e della legislazione, seconda edizione, 1823, capitolo 17

[259] "Ridurre il più possibile il consumo di alimenti animali e sostituirli con alimenti vegetali", è questa l'affermazione generalmente usata dalle autorità sanitarie, affermazione ingannevole poiché induce a credere che una piccola quantità di alimenti animali sia indispensabile, cosa che non corrisponde al vero. Di più, “Ridurre il più possibile” è un’affermazione che ancora minimizza il pericolo legato all'assunzione di tali alimenti.

[260] American Dietetic Association, 2003, http://www.adajournal.org/article/PIIS0002822303002943/fulltext

[261] Secondo i dati Istat, riferiti al 2002, le prime due cause di mortalità in Italia sono costituite dai tumori e dalle malattie circolatorie, entrambe strettamente correlate con un’alimentazione a base di alimenti di origine animale, www.istat.it/dati/catalogo/20040728_00/tavole_00_02.zip

[262] Surgeon General’s Report on Nutrition and Health, U. S. Department of Health and Human Services,

1988, Pub. No. 88-50210, citato in J. Rifkin, Ecocidio, pagina 197

[263] American Heart Association, National Health Education Committee (US), 1961; Inter-Society Commission on Heart Disease Resources (US), 1970; National Heart Foundation of New Zealand, National Heart, Lung and Blood Institute (US), 1971; International Society of Cardiology, National Advisory Council on Nutrition of the Netherlands, 1973

[264] http://www.saicosamangi.info/salute/

[265] Cancer Rates and Risks, National Cancer Institute (Washington, DC: 1985), e R. Doll e R. Peto, Journal of the National Cancer Institute 1981;66(6):1191-1308

[266] USA Today, 6/6/1990, “In Healthful Living. East Beats West”, Nancy Hellmich

[267] Science, n. 248, 4/5/1990, China: a Living Lab for Epidemiology, Anne Simon Moffat

[268] Dovuto all’occlusione delle arterie da parte del colesterolo contenuto negli alimenti animali, l'infarto è la prima causa di morte negli Stati Uniti, dove colpisce circa 4000 persone al giorno (Roy Wafold, Maximum Life Span, Norton, NY, 1983, p. 8). Secondo l'American Medical Association, “una dieta vegetariana può prevenire il 97% delle occlusioni coronariche” (Diet and stress in vascular disease, Journal of the American Medical Association, Vol. 176, no.9, 3/6/1961, p. 806, in J.Robbins, Diet for a New America, pagina 247).

[269] Conseguenza di un superlavoro del rene, costretto a metabolizzare eccessive quantità di proteine: i cibi animali sono tra gli alimenti più ricchi di proteine, nonché di altre sostanze la cui digestione affatica i reni.

[270] Il 40% delle neoplasie, che rappresentano la seconda causa di morte negli Stati Uniti sarebbe provocato dalle abitudini alimentari errate come l’assunzione di cibi animali, grassi e sostanze chimiche cancerogene, e la mancanza di fibre (National Institute of Health, National Cancer Institute, Annual Cancer Statistics Review, 1989).

[271] Il cancro alla mammella uccide circa 50.000 donne l’anno nei soli Stati Uniti e da molte ricerche sembrerebbe essere una patologia strettamente correlata al consumo di grassi animali (Science News, 21/4/1990, Breast Cancer Rise: Due to Dietary Fat? J. Raloff; Journal of National Cancer Institute, 6/3/1991, A Cohort Study of Fat Intake and Risk of Breast Cancer, Howe et altera; Humane Society of the United States, The Hidden Cost of Beef, Washington D.C., 1989, Michael Fox, Nancy Wiswall, p. 20, in J. Rifkin, Ecocidio, pp. 198-199).

[272] Studi citati in J. Robbins, Diet For a New America, pp. 270-272

[273] Ibidem, pp. 266-268

[274] Neal Barnard, “The Beef Diet: Prescriptions for Disaster”

[275] Al contrario di quanto comunemente viene detto, il latte non solo sarebbe inutile alla formazione di calcio ma addirittura dannoso. Esisterebbe infatti una forte correlazione tra consumo di proteine animali, soprattutto provenienti da prodotti caseari, sale, ormoni e l’osteoporosi stessa: nei paesi in cui il consumo di latte e derivati è maggiore, maggiori sono anche i tassi incidenza di questa malattia (F. Ellis, “Incidence of Osteoporosis in Vegetarian and Omnivores”, in American Journal of Clinical Nutrition, 1972).

La perdita media di calcio nelle donne ultrasessantacinquenni che consumano cibi animali sembrerebbe essere del 35% mentre nelle donne di oltre sessantacinque anni ma vegetariane il tasso sarebbe del 18% (The Effects of Vegetable and Animal Protein Diets on Calcium, Urat and Oxalate Excretion”, J. Brockis, in British Journal of Urology, 1982, n. 54, p. 590).

[276] Egg yolk consumption almost as bad as smoking when it comes to atherosclerosis, articolo scientifico pubblicato nella rivista "Atherosclerosis", nel volume di ottobre 2012, testo in italiano, tradotto da SSNV- Società Scientifica di Nutrizione Vegetariana: http://www.societavegetariana.org/site/uploads/5d20f19f-a857-fa1d.pdf

[277] PCRM (Physicians Committee for Responsible Medicine - Comitato di Medici per una Medicina Responsabile), September 12, 2012, Meat Bad for You and Environment, http://www.societavegetariana.org/site/uploads/5d210bd8-1c84-c879.pdf

[278] http://www.infolatte.it/salute/latte_pus.html

[279] Direttiva Europea 92/46/CEE recepita dal DPR 14.01.1997 N. 54

[280] La Salmonella è l’agente patogeno più frequente in Italia: secondo l’Istituto Superiore di Sanità nel 2000 si sono avuti 10.000 casi di contagio umano.

[281] La famiglia di batteri E. Coli normalmente vive senza dare problemi nell’intestino umano e animale. Questo nuovo cebbo del batterio invece, anziché vivere simbioticamente con l’intestino umano attacca il colon e i suoi vasi sanguigni provocandone la rottura e causando crampi addominali e diarrea. L’amministratore del Food Safety and Inspection Service della USDA afferma che E.Coli O157:H7 può essere ritrovato in più del 50% delle carcasse bovine macellate (Physician Committee for Responsible Medicine, in P. Conti, pagina 56).

[282] Pretty J., Agri-Culture - Reconnecting People, Land and Nature. Earthscan Publications, London, 2002

[283] Nella ricezione dei messaggi, l’individuo metterebbe in atto una serie di strategie di selezione, oggetto di numerosi studi, parzialmente citati nel capitolo conclusivo.

[284] Nel dizionario della Oxford University Press, lo spin doctor viene definito come la "persona incaricata di presentare le scelte di un partito politico sotto una luce favorevole". Il termine ha assunto, nel corso degli anni, un significato dispregiativo, intendendosi un professionista a cui viene affidata la regia degli "effetti speciali", ottenuti attraverso qualsiasi mezzo, fra cui la menzogna (seppur creativa). Per wikipedia, lo spin doctor è ad esempio "colui che suggerisce alla stampa di non titolare in prima pagina 'Aumento delle tasse' ma 'Riassetto fiscale'".

[285] "devoted to promoting personal responsibility and protecting consumer choices. We believe that the consumer is King. And Queen", http://www.consumerfreedom.com/about/

[286] http://www.noprop37.com/facts/

[287] http://www.nyc.gov/html/doh/html/boh/boh.shtml

[288] Citizens for Responsibility and Ethics in Washington (CREW), http://www.bermanexposed.org/; CCF, Food Cops Run, http://www.consumerfreedom.com/oped_detail.cfm?oped=123; Don't Even Think About Having A Drink, http://www.consumerfreedom.com/news_detail.cfm?headline=1116; Latest Anti-Meat Study: The Real Story,  http://www.consumerfreedom.com/news_detail.cfm?headline=2724

[289][289] The New Yoork Times, September 13, 2012, Health Panel Approves Restriction on Sale of Large Sugary Drinks, Michael Grynbaum, http://www.nytimes.com/2012/09/14/nyregion/health-board-approves-bloombergs-soda-ban.html?_r=0

[290] Onearth, November 13, 2012, Does the Food Lobby Really Care about Freedom of Choice?, Joe Fassler, http://www.onearth.org/blog/does-the-food-lobby-really-care-about-consumer-choice

[291] http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=hWesQjECtVk

[292] http://en.wikipedia.org/wiki/Talk:Richard_Berman; http://samspade.org/whois/66.208.14.242

[293] Citizens for Responsibility and Ethics in Washington (CREW),

http://www.bermanexposed.org/node/117

[294] Center for Media and Democracy, January 30, 2009, Front Group King Rick Berman Gets Blasted by his Son, David Berman, Anne Landman, http://www.prwatch.org/node/8168

[295] Ibidem

[296] Citizens for Responsibility and Ethics in Washington (CREW), http://www.bermanexposed.org/

[297] Zamagni, Stefano, L'economia del bene comune, Business & Economics, 2007, pagine 159-160

[298] Sacconi,Lorenzo, Guida critica alla Responsabilità sociale e al governo d'impresa, Editore Bancaria Editrice, 2005

[299] I quattro piani della piramide teorizzata da Carrol sono, partendo dalla base, responsabilità economica, responsabilità legale, responsabilità etica e responsabilità "filantropica" (Carroll, A. B. 1991. ‘The Pyramid of Corporate Social Responsibility: Toward the Moral Management of Organizational Stakeholders’. Business Horizons, 34: 39–48).

[300] Zamagni, Stefano, L'ancoraggio etico della Responsabilità Sociale d'Impresa e la critica alla RSI, Dipartimento di Scienze Economiche Università di Bologna, Working Paper n.1, ottobre 2004

[301] Ibidem

[302] Ibidem

[303] Sacconi,Lorenzo, La responsabilità sociale d'impresa come modello di governance e sistema di gestione, Dipartimento di economia, Università di Trento, CELE-Centre for Ethics Law & Economics, Università Cattaneo-LIUC, Castellanza, 10 giugno 2003, http://csr.dima.unige.it/sacconi/sacconi_GE_10_giu_2003.pdf

[304] Ibidem

[305] Ibidem

[306] Ibidem

[307] Ibidem

[308] Ibidem

[309] Scarcella Prandstraller, Stefano, Relazioni Istituzionali e sociologia relazionale, Di Virgilio Editore, Roma, 2011

[310] Flinn D., The price of corporate vanity, Harvard Business Review, n.4, 1961, op. cit. in Scarcella Prandstraller, Stefano, Relazioni Istituzionali e sociologia relazionale, Di Virgilio Editore, Roma, 2011

[311] Invernizzi, Emanuele, Manuale di relazioni pubbliche, Le tecniche e i servizi di base, Mc Graw-Hill, Milano, 2005, p. 27, op. cit. in Scarcella Prandstraller, Stefano, Relazioni Istituzionali e sociologia relazionale, Di Virgilio Editore, Roma, 2011

[312] Christopher L. Weber and H. Scott Matthews, Food-Miles and the Relative Climate Impacts of Food Choices in the United States, Environ. Sci. Technol., 16 Apr 2008